1

Bilateralità: obbligatorietà si o no?

di Lorena Marcugini*

Premessa

Con la riforma del mercato del lavoro, ed esattamente con la Legge 30/2003 e relative norme di attuazione, il legislatore si è voluto occupare della questione bilateralità considerata da molti come “la nuova frontiera” dell’azione sindacale. Tale istituto si propone come una delle possibili linee di intervento finalizzate a contribuire alla gestione ed alla regolamentazione delle parti sociali, favorendo un approccio più collaborativo e partecipativo in tutte quelle materie e ambiti che vede queste ultime coinvolte.Le parti sociali, quando insieme decidono di costituire un Ente Bilaterale, sono accomunate dalla finalità di garantire servizi a scopo mutualistico: istituti contrattuali, servizi, azioni e pratiche di sostegno socialmente rilevanti che, difficilmente esigibili in altro modo, sono assicurati dagli aderenti di quell’Ente dal patrimonio economico, costituito attraverso il versamento di quote prestabilite. Il patrimonio degli organismi bilaterali è così rappresentato dai contributi degli aderenti (lavoratori e datori di lavoro) le cui quote variano a seconda del tipo di organismo.

Interpretazione ministeriale

Con tale riforma si è voluto in più affidare agli enti bilaterali la costituzione e la gestione di fondi di solidarietà funzionali all’erogazione di forme di tutela nell’ambito di un rapporto di lavoro nel momento in cui si verifichi la necessità di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa a favore di lavoratori impiegati in settori in cui non vi è integrazione salariale.

Quando si parla di bilateralità, ci si interroga circa l’obbligatorietà o meno di tale tipo di contribuzione. A questo proposito è intervenuta la Circolare n. 43 del 15 dicembre 2010, in base alla quale il Ministero del Lavoro ha voluto ribadire quanto già precedentemente pronunciato con altre circolari, fra cui una risposta ad un interpello del 2006, ove si è visto affermare che l’obbligo di contribuzione si ha solo se il datore di lavoro aderisce ad una delle associazioni che ha stipulato il CCNL. Per tutti gli altri non vi è obbligo di iscrizione, tuttavia il datore di lavoro dovrà erogare al lavoratore un emolumento che vada a sopperire quelle maggiori prestazioni che invece avrebbe ottenuto se l’azienda fosse stata iscritta ad un’associazione stipulante il CCNL.

In particolare, è necessario che il datore di lavoro garantisca al lavoratore delle alternative forme di tutela (ad esempio sottoscrizione di polizze sanitarie e/o di previdenza integrativa) anche attraverso una quantificazione monetaria forfetizzata e quindi un elemento distinto della retribuzione, mediante l’erogazione di una somma e/o di una prestazione equivalente a quella erogata dalla bilateralità.

Il Ministero del Lavoro con la Circolare n. 4 del 15 gennaio 2004, in merito alla modifica dell’art. 3 del D.L. n. 71/93 (art. 10 della Legge n. 30/2003), ha voluto formulare chiarimenti riguardo al mancato rispetto degli accordi e dei contratti collettivi nazionali.

L’art. 10 della Legge n. 30 del 14 febbraio 2003 ha novellato l’art. 3 del D.L. n. 71 del 23 marzo 1993 convertito dalla Legge n. 51 del 20 marzo 1993 stabilendo che: “Per le imprese artigiane, commerciali e del turismo rientranti nella sfera di applicazione degli accordi e contratti collettivi nazionali, regionali e territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, il riconoscimento di benefici normativi e contributivi è subordinato all’integrale rispetto degli accordi e contratti citati, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

La norma ha così esteso il campo di applicazione dell’art. 3 del D.L. 71/93 ad ogni tipologia di incentivo normativo e contributivo, presente o futuro. Affinché si abbia il riconoscimento dei benefici economici e contributivi, la circolare ministeriale precisa che per “integrale rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali”, si intende l’integrale applicazione della sola parte economica e normativa degli stessi e non anche della parte obbligatoria di questi ultimi”. In questa ultima parte si è voluto salvaguardare il principio costituzionale della libertà sindacale in quanto la parte obbligatoria del contratto collettivo tratta appunto l’obbligo di adesione agli enti bilaterali.

Previsioni contrattuali

Vi sono contratti collettivi che dispongono l’obbligatorietà da parte del datore di lavoro che non aderisce alla bilateralità di riconoscere al lavoratore, in alternativa al versamento del contributo all’ente bilaterale di riferimento, delle analoghe forme di tutela anche attraverso una loro quantificazione in termini economici. Infatti, esistono contratti che attribuiscono al datore di lavoro l’onere di corrispondere mensilmente ai propri dipendenti degli importi forfettari oppure delle prestazioni equivalenti. L’obbligatorietà della tutela deve essere sempre riferita alla parte economica-normativa del contratto collettivo.

Laddove è previsto dai contratti collettivi nazionali, il lavoratore matura nei confronti del datore di lavoro non aderente alla bilateralità, un diritto contrattuale di natura retributiva che può essere adempiuto attraverso il riconoscimento di una somma o di una prestazione, equivalente a quella erogata dall’ente bilaterale di riferimento, nei limiti degli importi stabiliti dalla contrattazione collettiva.

Aspetti previdenziali e fiscali del contributo bilaterale

In merito agli aspetti previdenziali, sulle somme versate al fondo vige l’obbligo di versare all’INPS il contributo del 10% al fondo di solidarietà con il codice M980 che verrà altresì evidenziato in occasione della denuncia mensile Uniemens.

Contrariamente a quanto accade per altre forme contributive, tale versamento non dà diritto ad alcun tipo di prestazioni da parte dell’Istituto. Nulla è dovuto come premio all’Inail.

La contribuzione dovuta dal datore di lavoro, comprese le quote una tantum versate in occasione dell’iscrizione, non concorre a formare reddito imponibile nella misura massima prevista dall’art. 51 lett. a) del TUIR fino al limite di euro 3.615,20. Infatti l’art. 51 del Tuir così recita: “Non concorrono a formare il reddito: a) i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge; i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ad enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, che operino negli ambiti di intervento stabiliti con il decreto del Ministro della salute di cui all’articolo 10, comma 1, lettera e-ter), per un importo non superiore complessivamente ad euro 3.615,20”.

Tutto ciò premesso vale qualora il datore di lavoro si avvalga dell’iscrizione al fondo di assistenza sanitaria integrativa previsto dal CCNL; qualora si avvalga di prestazioni equivalenti queste saranno totalmente assoggettate sia a contribuzione che ad imposizione fiscale secondo le regole previste per tutti gli emolumenti. Dopo quanto esposto risulta pertanto conveniente optare per la bilateralità. Vediamo ora l’impatto che ha tale onere contributivo in materia di IRAP.

La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 61/E del 19 novembre 2007, in materia di deduzione dei contributi, stabilisce che “la deduzione spetta sia per i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro in ottemperanza a disposizioni di legge, sia per i contributi versati dal datore di lavoro alle forme pensionistiche complementari di cui al D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, ed a casse, fondi, gestioni previste da contratti collettivi o da accordi o da regolamenti aziendali, al fine di erogare prestazioni integrative di assistenza o previdenza. Non sono in ogni caso ammessi in deduzione i contributi corrisposti in relazione al personale dipendente impiegato all’estero”.

Confronto fra bilateralità e non bilateralità

Con la nota relativa al rinnovo del 29 luglio 2013 del CCNL metalmeccanico Confapi, Unionmeccanica ha effettuato un interessante raffronto di costo tra un’azienda del settore con numero di addetti inferiori a 15 unità che aderisce alla bilateralità Confapi, ed un’azienda che, invece, opta per il versamento dell’EAR (elemento aggiuntivo della retribuzione).

Costo adesione bilateralità Confapi

Contributo annuo: euro 5,00 x 12 mesi = euro 60,00 Contributo sol.. Inps: euro 60,00 x 10% = euro 6,00 Totale costo annuo = euro 66,00

Costo mancata adesione alla bilateralità Confapi EAR annuo: euro 25,00 x 13 mensilità = euro 325,00 Contribuzione Inps: euro 325,00 x 30,88% = euro 100,36 (dipendente con qualifica di operaio)
Premio Inail: euro 325,00 x 6,5% = euro 21,13 (lavorazioni di saldatura)

I conteggi riportati nella nota di Unionmeccanica riferiti ad un dipendente meritano un commento.

E’ evidente che la forbice tra il costo in caso di adesione e il costo in caso di mancata adesione all’ente bilaterale si allargherà ulteriormente, in termini assoluti, all’aumentare del numero dei prestatori di lavoro come si evince dall’esempio sotto riportato.

Esempio:
Se il numero dei dipendenti in forza per i quali è dovuta la contribuzione è pari, ad esempio, a dieci, i rispettivi costi totali annui diventano i seguenti:
Totale costo annuo in caso di adesione alla bilateralità euro 66,00 x 10 dipendenti = euro 660,00
Totale costo annuo in caso di mancata adesione alla bilateralità euro 446,49 x 10 = euro 4464,90.

Occorre inoltre considerare che l’elemento aggiuntivo della retribuzione incide su tutti gli istituti retributivi di legge e contrattuali, compresi quelli diretti, indiretti o differiti, escluso il TFR.

Il costo per la mancata adesione, quindi lieviterà ulteriormente. Si pensi, a titolo di esempio, che l’Ear inciderà sulla valorizzazione economica dei seguenti istituti contrattuali:

  • retribuzione per ferie e permessi;
  • retribuzione per festività;
  • retribuzione ai fini del calcolo dell’integrazione per malattia, maternità e infortunio;
  • indennità per mancato preavviso;
  • base di calcolo delle maggiorazioni per lavoro straordinario, notturno, festivo ecc.

Sul valore differenziale dei predetti costi si dovrà inoltre tenere conto della relativa contribuzione ai fini previdenziali. 

 Regime fiscale delle prestazioni per il lavoratore dipendente

La prestazione corrisposta dall’ente bilaterale concorre a formare il reddito di lavoro dipendente del beneficiario a fronte di un contributo non dedotto; si viene a configurare pertanto una sorta di duplicazione d’imposta. Infatti, l’art. 51 comma 1 del TUIR recita che “il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.” Pertanto, eccezion fatta per le uniche ipotesi previste dall’art. 51 comma 2 del TUIR, tutto ciò che viene percepito dal lavoratore, in relazione al rapporto di lavoro dipendente, concorre a formare l’imponibile fiscale in capo al lavoratore.

* Odcec Perugia