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CASSAZIONE CIVILE SEZ. LAV., 11 MAGGIO 2022, N.14961: è LEGITTIMO IL RECESSO DATORIALE DAL CONTRATTO AZIENDALE E IL CONSEGUENTE MANCATO RICONOSCIMENTO DEGLI EMOLUMENTI RETRIBUTIVI AGGIUNTIVI PREVISTI.

di Bernardina Calafiorie Simone Brusa*

Un’azienda concludeva un contratto integrativo aziendale con le rappresentanze sindacale aziendali. Il contratto prevedeva un’inziale scadenza ma, di fatto, continuava ad essere applicato anche successivamente a tale scadenza.

In un successivo momento, l’azienda decideva di recedere da tale contratto con comunicazione inviata alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto. I lavoratori contestavano giudizialmente la legittimità di tale recesso invocando l’intangibilità dei diritti e dei trattamenti (sia normativi che economici) previsti dal contratto integrativo aziendale.

Le pretese dei lavoratori erano accolte dal Tribunale di primo grado. La sentenza veniva però ribaltata dalla Corte d’Appello di Ancona che, seguendo le tesi della Società, respingeva il ricorso dei lavoratori dichiarando non dovuti pro futuro (dal momento del recesso) i pagamenti degli elementi retributivi previsti dal contratto integrativo.

I lavoratori impugnavano la sentenza avanti alla Corte di Cassazione lamentando l’illegittimità o l’inefficacia del recesso datoriale rispetto a diritti accessori e prestazioni integrative che, a dire dei ricorrenti, rivestirebbero “il carattere di diritti quesiti non suscettibili di modifica nel tempo”.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14961/2022, rigettava il ricorso dei lavoratori. In particolare, la Suprema Corte riconosceva che la prosecuzione del contratto integrativo oltre il termine lo aveva reso un contratto senza un “predeterminato termine di efficacia”.

Alla luce di tale premessa, la Suprema Corte ha ribadito il principio per cui non sarebbe accettabile per l’ordinamento un vincolo perpetuo “perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione”.

Il recesso della Società era da considerare quindi legittimo e, di conseguenza, l’unico limite è rappresentato dai diritti dei lavoratori limitatamente a una “prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita, e non anche quando vengano in rilievo delle mere aspettative sorte alla stregua della precedente più favorevole regolamentazione”.

Per la Cassazione, neppure la presunta natura “normativa” del contratto aziendale giustificherebbe il protrarsi dei pregressi anche per il futuro. Ciò in quanto “anche la cessazione degli effetti di una norma nei contratti di durata impedisce che essa possa continuare a trovare applicazione alla parte di rapporto che ricade nel vigore della regolazione successiva”.

* Avvocato Studio Legale Daverio & Florio