L’INFARTO OCCORSO AL DIPENDENTE DURANTE UNA STRESSANTE TRASFERTA DI LAVORO DEVE ESSERE CONSIDERATO COME INFORTUNIO IN ITINERE

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di Bernardina Calafiori e Michele Pellegatta*

Con la sentenza n. 5814 depositata il 22 febbraio 2022 la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha riconosciuto la natura di infortunio in itinere all’infarto occorso ad un dipendente di una società, a seguito di un forte stress patito durante una trasferta di lavoro all’estero, che aveva portato al decesso del lavoratore.

Nel caso di specie il dipendente si trovava in viaggio di lavoro in Cina nel corso del quale, “a seguito della cancellazione di un volo aereo, per maltempo”, dapprima affrontava una “lunga attesa in aeroporto, poi un pernottamento di fortuna, quindi un viaggio in treno di 700 km, per raggiungere la sede di partecipazione a una riunione”. Per tali eventi il dipendente veniva costretto a una “veglia di quasi 24 ore consecutive” e, all’esito, “veniva trovato morto nella camera d’albergo”.

Tribunale prima, e Corte d’Appello dell’Aquila poi, non ravvisavano un infortunio in itinere ritenendo che il decesso “non fosse collegato alla prestazione lavorativa in sé, ma derivasse da un rischio generico (cancellazione del volo per maltempo)”.

Gli eredi del dipendente promuovevano ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello per vedere riconosciuto il diritto alla “rendita ai superstiti ex art. 85 del DPR 1124 del 1965”.

La Suprema Corte accoglieva il ricorso degli eredi rilevando come la norma dell’art. 2, comma 3, del D.P.R.  n.1124 del 1965, nel testo applicabile ratione temporis (come modificato dall’art. 12 del d.lgs. 38/2000) dispone che “salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro” precisando che “l’interruzione o deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a causa di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti.

La norma tutela, pertanto, il rischio generico ed esclude solo il cd. rischio elettivo, da intendersi come “la scelta arbitraria del lavoratore, il quale affronti volutamente una situazione diversa rispetto a quella tipica «legata al cd. percorso normale» (v. Cass. 18659/2020)”.

Secondo la Suprema Corte, la sussistenza di un nesso finalistico tra il cd. “percorso normale” e l’attività lavorativa è sufficiente a garantire la tutela antinfortunistica al lavoratore. Per tali motivi “la situazione oggetto di giudizio” deve essere “attratta, a pieno titolo, nella nozione di infortunio in itinere”.

La sentenza in commento osserva altresì come “in caso di infarto, il carattere violento della causa va individuato nella natura stessa dell’infarto, dove si ha una rottura dell’equilibrio dell’organismo del lavoratore concentrata in una minima frazione temporale” (Cass. 1398 del 2000) di talché detto episodio morboso “configura infortunio sul lavoro quando è eziologicamente collegato ad un fattore lavorativo. La connessione non è peraltro esclusa dal contributo causale di fattori preesistenti o contestuali; sussiste cioè anche in concorso di altre cause, ove pure queste abbiano origine diversa e interna”.

Secondo la Suprema Corte “anche lo stress psicologico […] può integrare la causa violenta prevista dall’art. 2 D.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, idonea a determinare con azione rapida e intensa la lesione (così Cass. 8019 del 2003)” e tanto, a detta della Corte, era avvenuto nel caso di specie, visto il particolare stress patito dal dipendente nella di lui trasferta in Cina.

Il caso di specie presentava senza dubbio una serie di tratti peculiari, ma la sentenza in commento costituisce un precedente da tenere a mente, nell’ampia casistica dell’infortunio in itinere, specie con riferimento a situazioni o contesti lavorativi che possano comportare per il dipendente situazioni di “forte stress lavorativo.

*Avvocato in Milano

 

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