La disciplina del lavoro della gente di mare- L’istruttore di vela è un professionista,sarà ance un lavoratore sportivo?

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di Graziano Vezzoni*

L’Italia è un paese che ha la nautica nel suo DNA, con i suoi 8 mila chilometri di coste, le oltre 95 mila unità iscritte  presso  gli  Uffici  marittimi  e  in  quelli  della Motorizzazione Civile (U.M.C.), di cui il 78% da diporto, i 158 mila posti barca con una media generale di 60 unità da diporto per ogni 100 posti barca offerti e la presenza di cantieri nautici tra i più qualificati del mondo, solo per citare alcuni elementi significativi, ma ciò nonostante fino a poco tempo fa una delle figure più rilevanti del settore della nautica, ossia l’istruttore di vela, non era regolamentata, a differenza – ad esempio – del maestro di sci.

A questa lacuna ha posto rimedio il decreto legislativo 12 novembre 2020, n. 160, entrato il vigore il 22 dicembre successivo, che ha sancito la “nascita” della professione di istruttore di vela, mediante un intervento di integrazione e modifica del decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171 “Codice della nautica da diporto”. L’art. 49-quinquies del novellato d.lgs. 171/2005 stabilisce che “è istruttore professionale di vela colui che, in cambio di un corrispettivo o una retribuzione, insegna le diverse tecniche della navigazione a vela e istruisce alla pratica velica nelle acque marittime e in quelle interne anche per la preparazione dei candidati agli esami per il conseguimento delle patenti nautiche. L’attività dell’istruttore professionale di vela può essere esercitata anche in modo non esclusivo e non continuativo purché abitualmente  e  non  occasionalmente”. Mentre l’art. 49-sexies dello stesso d.lgs. 171/2005 ha istituito l’elenco nazionale degli istruttori professionali di vela presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel quale debbono essere iscritti coloro che intendono svolgere l’attività in discorso.

Per ottenere l’iscrizione nell’elenco nazionale degli istruttori professionali di vela occorrono i seguenti requisiti:

  • età minima di diciotto anni;
  • possesso di diploma di istruzione secondaria di secondo grado o di titolo di studio estero riconosciuto o dichiarato equipollente dalle competenti autorità italiane;
  • non aver commesso reati e non aver riportato condanne;
  • essere in possesso di un brevetto o di qualifica professionale rilasciato dalla Marina Militare, dalla Federazione Italiana Vela (FIV) o dalla Lega Navale;
  • aver stipulato una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile;
  • conoscere la lingua italiana, se cittadino straniero;
  • essere in possesso un certificato di idoneità psichica e fisica.

L’iscrizione nell’elenco degli istruttori professionale prevede il pagamento di un diritto ed è valida per cinque (5) anni, rinnovabili, se permangono i requisiti, per altri cinque (5) anni.

Il Codice della nautica (art. 49-quinquies), sposando una impostazione che negli ultimi tempi sta diventando maggioritaria in dottrina, prevede che la prestazione dell’istruttore di vela possa essere svolta in base a un rapporto di lavoratore autonomo o a un rapporto di lavoro dipendente, ma soprattutto deve essere esercitata abitualmente e non occasionalmente anche se non in modo esclusivo e continuativo.

Al riguardo è il caso di ricordare che il decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36 “riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo”, la cui entrata in vigore, per quanto riguarda il lavoro sportivo, è stata differita al 31 dicembre 2023 (leggasi 1° gennaio 2024), dal decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41, convertito con modificazioni dalla legge 21 maggio 2021, n. 69, ha introdotto nel nostro ordinamento la definizione di lavoratore sportivo (art. 25) nel seguente modo: “è lavoratore sportivo l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genereeindipendentementedal settore professionistico o dilettantistico, esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo al di fuori delle prestazioni amatoriali di cui all’articolo 29” (dello stesso d.lgs. 36/2021, n.d.r.). La stessa norma stabilisce, che il lavoro sportivo possa costituire oggetto di rapporto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, anche nella forma di collaborazione coordinate e continuative, così eliminando la differenza che è sempre esistita tra il mondo professionistico e il mondo dilettantistico.

Il d.lgs. 36/2021 ha anche regolato le attività svolte in modo occasionale, infatti, l’art. 29 introduce la figura della prestazione sportiva “amatoriale” dando quindi la possibilità al mondo associativo sportivo di potersi avvalere, nello svolgimento delle proprie attività istituzionali, di “amatori” che sono soggetti che mettono a disposizione delle associazioni, gratuitamente o dietro un minimo rimborso spese, il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport.

L’amatore deve, in definitiva, svolgere la propria attività sportiva a carattere complementare rispetto allo svolgimento di una vera e propria attività principale di carattere extra-sportiva. Inoltre per la sua prestazione, può percepire il rimborso delle spese sostenute o un compenso meramente simbolico. In pratica la prestazione del collaboratore può essere svolta in due modi:

  • in maniera abituale, anche se non in maniera esclusiva e non continuativa, a fronte di una retribuzione o di un compenso (lavoro dipendente, parasubordinato o autonomo);
  • in maniera amatoriale e quindi come reddito  diverso ai sensi dell’art.67, comma 1, lettera m) del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir).

A conferma e sostegno dell’indirizzo espresso dal legislatore recentemente è intervenuta la sentenza del 9 febbraio 2021, pronunciata dalla Corte d’Appello di Genova – sezione lavoro, emessa nei confronti di una società sportiva che ricorreva contro l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) per il pagamento dell’avviso di addebito in cui si contestava l’utilizzo di collaboratori ai quali veniva applicato l’art.67, comma 1, lettera m) del Tuir. La sentenza, in estrema sintesi, ribadisce il concetto che per avere l’esonero fiscale e contributivo il collaboratore deve svolgere l’attività per diletto, hobby e non come attività professionale principale. Fino ad oggi si era formata, dalle interpretazioni date dal legislatore e dalla giurisprudenza, la tesi della specialità del rapporto dilettantistico rispetto al mondo professionistico; la tesi si era formata negli anni passati (vedi nota del Ministero del lavoro del 21 febbraio 2014 n. 4036, circolare Ispettorato nazionale del lavoro 1 dicembre 2016 n.1 e Cassazione civile sezione lavoro, ordinanza 30 settembre 2019 n. 24365) ed era il riconoscimento della funzione sociale svolta dalle associazioni sportive che veniva “premiata” con la possibilità di inquadrare le prestazioni svolte da alcuni collaboratori come un rapporto speciale e quindi la possibilità di ricondurre tutte o quasi tutte le prestazioni tra i redditi diversi dell’art.67, comma 1, lettera m) del Tuir.

Questo orientamento giurisprudenziale è condivisibile, in quanto il” regime di favore” che il Legislatore ha previsto per e società sportive llo scopo di agevolare la diffusione e la pratica dello sport, ma non certo di alterare le regole sulla concorrenza nella misura in cui si apllicano al settore dello sport o, men che meno, favorire comportamenti elusivi. In ogni caso si può prevedere che queste novità determineranno un appesantimento, nei prossimi esercizi, dei bilanci delle associazioni sportive dilettantistiche o un utilizzo massiccio degli atleti amatori.

*Odcec Lucca

 

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