L’IMPATTO DELL’INFLAZIONE SULL’ISTITUTO DEL TFR

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di Marco D’Orsogna Bucci*

Gli anni precedenti al 2021 sono stati caratterizzati da bassi tassi di inflazione e di interesse. Nel corso del 2021, il costo della vita ha segnato invece incrementi a cui non si era più abituati da tempo.

È interessante vedere come tale situazione impatti sull’istituto retributivo del Trattamento di Fine Rapporto, in particolar modo sugli accantonamenti presenti in azienda.

È pero doverosa una brevissima premessa normativa. Il Trattamento di Fine Rapporto, come è noto, è un elemento retributivo la cui corresponsione è differita ad un momento successivo rispetto alla prestazione lavorativa resa mensilmente, venendo corrisposto in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro fatte salve le quote destinate alla previdenza complementare.

L’articolo 2120 del codice civile, ai primi 3 commi, disciplina il TFR come segue:

  1. In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto a un trattamento di fine Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni.
  2. Salvo diversa previsione dei contratti collettivi la retribuzione annua, ai fini del comma precedente, comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.
  1. In caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell’anno per una delle cause di cui all’articolo 2110, nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l’integrazione salariale, deve essere computato nella retribuzione di cui al primo comma l’equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro. 

In  questo  articolo  focalizziamo  l’attenzione  su quanto disciplinato ai commi 4 e 5 dell’articolo 2120 cc, relativamente alla rivalutazione del Fondo di accantonamento del TFR.

Si legge che:

  1. Il trattamento di cui al precedente primo comma, con esclusione della quota maturata nell’anno, è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5 per cento in misura fissa e dal 75 per cento dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno
  2. Ai fini della applicazione del tasso di rivalutazione di cui al comma precedente per frazioni di anno, l’incremento dell’indice ISTAT è quello risultante nel mese di cessazione del rapporto di lavoro rispetto a quello di dicembre dell’anno Le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si computano come mese intero. 

Si deduce che il TFR in azienda, al 31 Dicembre di ciascun anno, si rivaluta di:

  • almeno l’1,5%, nel caso in cui l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie accertato dall’ISTAT rimanga immutato o sia negativo nel periodo annuale;
  • oltre l’1,5% in caso di indice dei prezzi al consumo per le famiglie positivo.

Quindi il TFR non resta mai “fermo” e la sua rivalutazione  costituisce un costo per l’azienda mitigato o superato solo con una corretta gestione della liquidità aziendale e/o con l’utilizzo della disponibilità per effettuare investimenti utili ad incrementare gli indici di redditività aziendali.

Negli ultimi 10 anni la rivalutazione minima all’1,5% si è verificata per tre volte: nel 2014, 2015 e 2020. Negli anni 2013, 2016 e 2019 il coefficiente di rivalutazione restava comunque inferiore al 2%.

Arriviamo al 2021, anno nel quale l’inflazione ha rialzato la testa e l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie accertato dall’ISTAT per il periodo è stato del 3,8123%.

Conseguentemente il tasso al mese di dicembre 2021 per la rivalutazione dei trattamenti di fine rapporto (TFR) accantonati al 31 dicembre 2020 ha raggiunto la misura del 4,359238% (calcolato come previsto dall’art. 2120 cc 4° comma 1,5% + 0.75 x 3,8123%= 4,359238), misura più alta registrata dal 1995.

Cos’è accaduto quindi al 31.12.2021 sul TFR accantonato in  azienda?  Facciamo  un  semplice  esempio. Consideriamo una piccola azienda metalmeccanica con un solo dipendente in forze da diversi anni, il quale ha un TFR accantonato in azienda per euro 50.000,00 al 31.12.2020 e uno stipendio annuo lordo del 2021 pari a 24.000.

Semplificando abbiamo che nel corso del 2021:

  1. il TFR maturato è stato di 24000/13,5=1.777,77 euro;
  2. la rivalutazione del TFR accantonato al 31.12.2020 è stata di 50.000 x 4,359238%=2.179,61;
  3. complessivamente il TFR accantonato è cresciuto di oltre 957,00 euro, quota che rappresenta l’Accantonamento del TFR dell’anno e quindi voce di Costo in Conto economico.

Analizziamo tale esempio anche in un’ottica di contabilità industriale. Se prendiamo la tabella del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, pubblicata il 16.6.2021 con cui viene determinato il Costo medio orario del lavoro per il personale dipendente da imprese del settore metalmeccanico, verifichiamo come:

  1. le ore annue teoriche siano stabilite in 2088 (40 x 52,2 settimane);
  1. le ore annue mediamente non lavorate siano 488, suddivise tra:

o ferie 160

o festività 80

o permessi annui 104

o assemblee, diritto allo studio, permessi sindacali 25

o assenteismo medio per malattia, infortunio, maternità 103

o formazione Sicurezza 8

o altra formazione 8

  1. La differenza tra ore annue teoriche e ore annue

mediamente non lavorate porta ad un dato medio di 1600 ore mediamente lavorate in un anno.

La sola rivalutazione del TFR dell’esempio sopra riportato (2.179,61 euro) rappresenta un impatto sul costo orario del lavoro di circa 1,36 euro l’ora lavorata (!). La sola differenza di costo orario tra l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie del 2021 e quello del 2020, è di 0,89 euro l’ora.

Se immaginiamo l’incidenza di costi simili nelle attività socio-sanitarie, tipicamente caratterizzate dal lavoro in appalto, da rinnovi contrattuali sempre molto esigui, ci rendiamo conto di quanto possa incidere l’aumento del costo del lavoro di un euro nella erosione dei margini economici.

L’innalzamento dell’inflazione non sembra riguardare in via isolata l’anno 2021. Il corrente anno 2022, infatti, si è già presentato con una proiezione di inflazione ancor peggiore nei primi due mesi dell’anno, tanto che l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie accertato dall’ISTAT per il bimestre è stato del 2,44% che determina un coefficiente di rivalutazione del TFR accantonato al 31/12/2021 del 2,086158%.

Tale rivalutazione calcolata sul TFR accantonato al 31.12.2021 è stata corrisposta ai lavoratori il cui rapporto è cessato nel periodo 15 febbraio 2022-14 marzo 2022. Immaginiamo che il lavoratore del nostro esempio abbiamo cessato il rapporto di lavoro, il TFR accantonato al 31.12.2021 pari ad euro 53.957,00, in soli due mesi si è rivalutato di ulteriori 53.957 x 2,086158%= 1.125,62.

È quindi evidente che, sebbene da più parti l’attuale innalzamento dell’inflazione è visto come fenomeno di breve durata, ogni datore di lavoro dovrebbe adottare una  corretta  gestione  della  liquidità  aziendale. Parcheggiare il TFR dei propri dipendenti in cassa, infatti, può costare caro!

*Odcec Lanciano

 

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