Omissione contributiva e prescrizione: un caso concreto

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di Stefano Ferri* 

Nel presente articolo vorrei analizzare un tema emerso in un contenzioso innanzi al Giudice del Lavoro del Tribunale di Reggio Emilia, che mi ha visto difensore di parte datoriale, relativamente al quale la chiarissima sentenza di primo grado e la recentissima conferma in sede di appello hanno fissato importanti principi.

La fattispecie riguardava un lavoratore che era stato chiamato a versare all’Inps una somma a titolo di riserva matematica ai sensi dell’art. 13 della legge n. 1338/1962 per costituire una rendita vitalizia reversibile di importo pari a quella perduta per effetto di una presunta omissione contributiva nel periodo 1/7/1974- 31/12/1977. Sosteneva infatti il ricorrente di aver prestato in quel periodo attività di lavoro subordinato a favore di una società che, a suo dire, non avrebbe versato i contributi previdenziali dovuti, generando quindi la mancanza di copertura contributiva per tale periodo: pertanto chiedeva alla società stessa di risarcire tale danno corrispondendo al lavoratore stesso la somma da lui versata all’Inps.

Già da una prima lettura emerge chiaramente un elemento di grande importanza: stiamo parlando di oltre quarant’anni or sono, i documenti contabili e la contabilità del periodo sono stati da tempo distrutti, gli archivi bancari e dell’Inps non aiutano e anche la memoria diviene scarsamente attendibile.

Prescindendo per brevità da ogni altro aspetto, e nel ricorso diverse ragioni sono state fatte valere, mi soffermerei sull’elemento decisivo che ha dato luogo al rigetto della domanda del lavoratore, sia innanzi al Tribunale del Lavoro di Reggio Emilia (Sentenza n. 63/2019 pubblicata il 15/03/2019), che alla Corte d’Appello di Bologna con Sentenza n. 561 del 07/07/2021: l’eccezione di prescrizione.

A dirimere la questione era intervenuta qualche anno prima del giudicato di primo grado la Sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 21302/2017: “Il diritto del lavoratore di vedersi costituire, a spese del datore di lavoro, la rendita vitalizia di cui all’art. 13, della n. 1338 del 1962, per effetto del mancato versamento da parte di quest’ultimo dei contributi previdenziali, è soggetto al termine ordinario di prescrizione, decorrente dalla data di prescrizione del credito contributivo dell’INPS, senza che rilevi la conoscenza o meno, da parte del lavoratore, della omissione contributiva”. Nel caso analizzato dalla Suprema Corte la lavoratrice ha chiesto la condanna della datrice di lavoro a versare all’Inps la riserva matematica: il termine di prescrizione iniziava a decorrere dal momento della prescrizione del credito contributivo dell’Istituto, per cui, nell’esemplificazione della Corte, “considerato che il periodo rispetto al quale si chiedeva l’accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro era compreso tra il mese di gennaio del 1973 e quello di settembre del 1974, ne conseguiva che nel mese di ottobre del 1984 si era prescritto il credito contributivo e nel mese di ottobre del 1994 il diritto alla costituzione della rendita, ragione per la quale erano da considerare tardive sia la richiesta pervenuta alla Regione Toscana in data 31 maggio 2008 per il riconoscimento contributivo, sia la domanda del versamento della riserva matematica all’Inps proposta col ricorso di primo grado depositato l’8.5.2012 e notificato il 9.10.2012”.

Tale posizione affonda le proprie radici e conferma due precedenti sentenze sempre della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione: la prima è la n. 983/2016 che testualmente riconosce che “il diritto del lavoratore di vedersi costituire, a spese del datore di lavoro, la rendita vitalizia di cui alla L. n. 1338 del 1962, art 13, comma 5, per effetto del mancato versamento da parte di quest’ultimo dei contributi previdenziali, è soggetto al termine ordinario di prescrizione che decorre dalla data di prescrizione del credito contributivo dell’INPS, senza che rilevi la conoscenza o meno, da parte del lavoratore, della omissione contributiva”. E la seconda sentenza (n. 12213/2004) precisa che “nel caso di omessa contribuzione previdenziale da parte del datore di lavoro e di prescrizione del corrispondente diritto di credito spettante all’ente assicuratore, il prestatore di lavoro subisce un danno immediato, diverso dalla perdita futura e incerta della pensione di anzianità o di vecchiaia, consistente nella necessità di costituire la provvista per il beneficio sostitutivo della pensione. La prescrizione del diritto al risarcimento di questo danno decorre dal momento di maturazione della prescrizione del diritto ai contributi, spettante all’ente assicuratore”.

Il tutto in ossequio al principio di certezza del diritto che impone la sussistenza di un termine finale entro il quale il lavoratore possa esercitare il diritto a chiedere il risarcimento del danno determinato sulla base della somma versata a titolo di riserva matematica per la costituzione di una rendita vitalizia di importo pari a quanto non ottenuto causa l’omesso versamento contributivo. E se anziché il danno chiede la costituzione della rendita, la valutazione giuridica è la medesima.

Altro aspetto approfondito dalle citate sentenze concerne la decorrenza di questo periodo di prescrizione decennale: in ossequio al principio della certezza, questa prescrizione deve decorrere dalla maturazione della prescrizione del diritto al recupero dei contributi da parte dell’Inps per l’accantonamento necessario alla costituzione della riserva matematica del relativo fondo di destinazione.

Nella fattispecie della mia difesa, come evidente, tali termini erano ampiamente decorsi e quindi la Corte d’Appello di Bologna, con la già citata Sentenza n. 561/2021, “per questi motivi, aventi carattere assorbente di ogni altro aspetto della vertenza, l’appello deve essere respinto, con conseguente integrale conferma della sentenza appellata”. 

Si tratta certamente di importante precedente in quanto se fosse stata accolta l’impostazione del lavoratore ricorrente di fatto si sarebbe posto a carico delle aziende un potenziale rischio di contenzioso temporalmente illimitato, con gravissima lesione del diritto di difesa che a distanza di oltre quarant’anni, come nella fattispecie in esame, è di fatto non utilmente esercitabile stante l’impossibilità di procurarsi idonei documenti, anche fiscali, bancari e contabili, necessari per comprovare le ragioni datoriali; inoltre testimonianze a così lunga distanza dai fatti sono scarsamente attendibili.

*Odcec Reggio Emilia

 

 

 

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