INTELLIGENZA ARTIFICIALE: UNA NECESSITA’ PER NOBILITARE IL LAVORO UMANO (SOSTITUENDOLO)

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di Giovanni Dall’Aglio*

Il dibattito in merito all’impatto dell’automazione e dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro si divide spesso in due fazioni: turbo-ottimisti e catastrofisti. Questa diversità di prospettive ci spinge a riflettere su questioni antitetiche.

Riuscirà la tecnologia a sollevarci dal bisogno di lavorare o si limiterà a togliercelo (il lavoro)? L’aumento dell’automazione ci consentirà di creare un reddito senza lavorare o concentrerà i profitti nelle mani di pochi cancellando il lavoro per molti?

Prima di dare compimento a queste domande, facciamo un passo indietro.

Fin dai tempi dell’invenzione della ruota, l’uomo ha utilizzato la tecnologia per ridurre, se non eliminare, certe tipologie di lavoro. Ma è proprio grazie alle invenzioni dell’uomo che le nostre economie sono cresciute e il nostro tenore di vita è migliorato e aumentato. E soprattutto, il progresso tecnologico ha portato con sé la nascita di nuovi lavori (non li ha solo eliminati). Già solo queste considerazioni basterebbero a rassicurare chi vede un pericolo nell’avanzamento del processo di digitalizzazione ed automazione tecnologica.

Spaventa forse il fatto che la tecnologia in futuro venga usata per sostituire “il lavoro mentale” oltre che quello puramente manuale. Non verranno quindi colpiti solo i “colletti blu”, ma anche impiegati e professionisti.

Di fronte a questa preoccupazione reale, la visione prospettica della politica è molto limitata. Si ragiona come se questo futuro fosse lontano, concentrandosi a salvaguardare il lavoro che già c’è. Questo atteggiamento probabilmente viene giustificato dal fatto che le nuove tecnologie non stiano ancora rivoluzionando drasticamente la vita di tutti i giorni. Nel senso che, ad esempio, non siamo circondati da robot e che laddove vengano attualmente utilizzati i bot (per esempio nella telefonia), la resa non sia delle migliori.

Così facendo però non si coglie un aspetto fondamentale del progresso tecnologico e cioè che spesso è l’invenzione che fa nascere la necessità, e non viceversa.

La storia in questo, come spesso accade, ci fa da maestra. Pensiamo, ad esempio, all’invenzione del fonografo di Edison che venne pensata (da Edison stesso) per l’insegnamento della dizione, per la registrazione di libri per non vedenti o per fissare le ultime parole dei morenti. Solo una ventina d’anni dopo Edison, riluttante, dovette ammettere che il fonografo serviva principalmente per registrare e ascoltare musica. E ancora, quando Otto costruì il suo primo motore, all’epoca non si sentiva il bisogno di creare nuovi mezzi di trasporto, tant’è che fino alla prima guerra mondiale i cavalli e le ferrovie a vapore continuarono ad avere successo.

Le invenzioni quindi si riducono spesso a “novità”, ma è di fronte alla sollecitazione di un bisogno riconosciuto che prendono forma. La necessità che matura dall’invenzione è questione di volontà politica. Siamo noi (umani) che decidiamo ad esempio se dare spazio alle opere d’arte prodotte dai robot. Siamo noi che possiamo in ogni momento decidere di premiare artisti, scrittori, musicisti umani e ripristinare l’equilibrio economico della società ogni qualvolta che questo venga minacciato dall’intelligenza artificiale.

Occorre tuttavia decidere quale sia il bisogno riconosciuto a cui vogliamo ambire, tenendo a mente che le leggi della robot-economics prevedono che le macchine saranno sempre più efficienti e sostitutive all’uomo comportando quindi una progressiva riduzione dei salari per i “lavori sostitutivi”, ma al tempo stesso cresceranno le opportunità per l’uomo di “lavoro complementare” alle macchine.

Si dovrebbe quindi agire (politicamente) su due direzioni. Da un lato ragionare su come poter sfruttare l’utilizzo dei bot per la produzione di capitale, garantendo una parte di reddito a chi verrà sostituito dai bot. Dall’altro incentivare la formazione, quella vera, per puntare a svolgere lavori  a più alto contenuto intellettuale (e umano) che siano complementari all’utilizzo dei bot.

La prima direzione non è utopica, in quanto l’aumento di produttività causato dall’automazione si configurerà in veicolo per la produzione di capitale. Capitale le cui quote potrebbero in parte essere possedute dai lavoratori stessi. Potremmo quindi abbracciare l’idea che, grazie all’utilizzo dei bot, si possa ottenere una parte di reddito mediante il possesso di quote di capitale piuttosto che dal lavoro. Attraverso l’azionariato dei dipendenti ad esempio, parte della retribuzione dei lavoratori potrebbe convertirsi in forma di partecipazione agli utili. Non c’è nulla di marxista in questa visione, in quanto si è spesso sperimentato che in presenza di azionariato dei dipendenti le imprese producano e lavorino di più, probabilmente perché i lavoratori si sentono più “motore pulsante” che mero ingranaggio.

Parallelamente a questa strada, bisognerebbe poi ridisegnare il concetto di “formazione”, dando ad esso finalmente la dignità che merita. Come pensiamo di accompagnare il progresso tecnologico se abbiamo un livello di scolarizzazione tra i più bassi in Europa e se la “formazione permanente” nella carriera di un lavoratore si riduce spesso alla partecipazione a corsetti sporadici, spesso ridicoli e improvvisati?

Abituiamo i ragazzi ad avere un pensiero critico ed una forma mentis che permetta loro di affrontare con flessibilità la dinamicità del mondo che li aspetta. Le conoscenze tecniche sono nulla se non accompagnate alla capacità di astrazione. Inoltre, le conoscenze che possediamo possono diventare obsolete nel tempo, per questo è più importante avere una struttura mentale che ci permetta di apprenderne facilmente di nuove. Può sembrare paradossale ma per affrontare un mondo governato dalla tecnologia avremo bisogno di una formazione pensata e strutturata sulla conoscenza dell’uomo, dal pensiero filosofico alle scienze pure.

Tornando ai dilemmi iniziali, dovremmo forse preoccuparci di meno riguardo potenziali sostituzioni del lavoro umano da parte dei bot, quanto piuttosto ragionare su come condividere equamente nella società le prosperità che i robot produrranno e come formarci adeguatamente per nobilitare il lavoro umano e, di riflesso, la nostra esistenza.

*Ingegnere e PhD in Trieste

 

 

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