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LA CONTRATTAZIONE AZIENDALE DI RISULTATO E DETASSAZIONE: STORIA DI UN DECOLLO MAI AVVENUTO

di Marco D’Orsogna Bucci*

La Legge di Bilancio 2023, legge 197/2022, in materia di lavoro non porta grandi novità, semmai conferma per l’anno in corso misure già in vigore fino al 2022 in ambito di ammortizzatori sociali e agevolazioni su nuove assunzioni. Nessun exploit particolare dal momento che gran parte delle risorse sono impegnate su misure legate alla crisi energetica.

Un intervento poco atteso è quello previsto dall’art. 1 comma 63 della legge 197/2022, che però ci consente di ripercorrere storicamente gli interventi del legislatore in materia di detassazione di somme e valori legate alla premialità di risultato e valutarne la loro efficacia. La norma entrata in vigore dal 1° gennaio 2023 riduce per il solo anno corrente l’imposta sostitutiva applicabile ai premi di produttività dei lavoratori dipendenti, portando l’aliquota impositiva dal 10% al 5%. Il testo recita:

“per i premi e le somme erogate nell’anno 2023, l’aliquota dell’imposta sostitutiva sui premi di produttività, di cui all’art. 1, comma 182, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, è ridotta al 5%”.

Facciamo un passo indietro. Tutto ha inizio con il decreto-legge 93 del 27 maggio 2008, denominato “Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie”, con il quale il Governo di allora intendeva introdurre misure urgenti al fine di sostenere la domanda ed incrementare produttività del lavoro e potere di acquisto delle famiglie. All’art. 2 il decreto 93 prevedeva, in via sperimentale per il secondo semestre del 2008, l’applicazione di un’imposta sostitutiva (dell’Irpef e delle addizionali, comunali e regionali) sulle remunerazioni legate all’incremento della produttività del lavoro nel settore privato, sulle retribuzioni legate all’effettuazione di lavoro straordinario nel medesimo settore. L’innovazione era forte, di semplice applicazione. L’imposta sostitutiva si applicava (salvo rinuncia del lavoratore) fino ad un massimo di euro 3.000 lordi annui, a determinate condizioni di carattere soggettivo. Infatti, i beneficiari di tale agevolazione dovevano rientrare all’interno di una fascia reddituale relativa all’anno precedente (il 2007), non superiore a 30.000 euro (misurata nel solo ambito del reddito da lavoro dipendente). Inoltre, allora come oggi, i soggetti esclusi dal beneficio erano i dipendenti delle amministrazioni pubbliche ex art. 1, comma 2, del d.lgs 165/2001. L’applicazione della detassazione sulle somme legate a produttività e lavoro straordinario, in presenza dei requisiti soggettivi della norma, era immediata e gestita direttamente in busta paga senza passare per accordi e formalità (salvo la già citata rinuncia da parte del lavoratore). Rispetto alla tassazione ordinaria e alla progressività dell’imposizione si applicava su tali somme, al netto della quota previdenziale a carico del lavoratore, l’aliquota fissa del 10%. Con due circolari dell’Agenzia delle Entrate, la 49/E e 59/E del 2008, si andava a delimitare le tipologie delle somme oggetto dell’agevolazione, quali retribuzioni erogate a titolo di lavoro straordinario anche con modalità forfettizzata, lavoro supplementare, premi di risultato, lavoro festivo e notturno, maggiorazioni erogate sulla banca ora accantonata e sulle prestazioni rese in funzione di clausole elastiche.

La fase sperimentale della misura veniva prorogata per l’anno 2009 e 2010 con qualche piccola modifica, ad esempio veniva innalzata la soglia reddituale per i beneficiari portandola a 35.000 euro, ampliandone il raggio d’azione. Con il Decreto 78/2010 denominato “misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” arrivano le prime sostanziali modifiche con decorrenza dal successivo anno 2011. Il limite complessivo per l’applicazione dell’imposta sostitutiva viene innalzato fino a 6.000 euro annui, la soglia reddituale (sempre riferita al reddito da lavoro dipendente dell’anno precedente all’applicazione del beneficio) portata a 40.000 euro. Lo sforzo quindi dell’estensore della norma sembrerebbe quello di aumentarne l’efficacia ampliandone l’utilizzo. Tuttavia, in ambito oggettivo, la novità sostanziale portata dall’art. 53 d.l. 78/2010 è la limitazione del beneficio fiscale alle somme erogate in attuazione di quanto previsto da accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali e correlate ad incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza. L’Agenzia delle Entrate, nella circolare esplicativa 3/E, rispettando la scrittura della norma, non fa alcun riferimento alla rappresentatività delle parti firmatarie (soprattutto dalla parte dei lavoratori) e precisa che “per i contratti c.d. di diritto comune, in applicazione del principio generale di libertà di forma e come ribadito dalla giurisprudenza di Cassazione, non esiste un onere di tipo formale, ragione per cui possono concorrere a incrementi di produttività, come non di rado avviene, accordi collettivi non cristallizzati in un documento cartolare e cionondimeno riconducibili, a livello di fonti del diritto, al generale principio di libertà di azione sindacale di cui all’articolo 39 della Costituzione”. La previsione di accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali ex art. 53 d.l. 78/2010 in quel momento era vista come limite all’applicazione della detassazione; tuttavia, oggi, al solo immaginare l’attuale complessa regolamentazione in materia si potrebbe esclamare “Il 2011? Bei tempi!”. Le disposizioni in vigore con il d.l. 78/2010 avranno vita breve. L’Art. 1 comma 481 della legge 228/2012 (Legge di Stabilità 2013) proroga per gli anni 2013, 2014, 2015 le misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro (si arriva così all’ottavo anno di sperimentazione). La proroga avviene con lo stanziamento di risorse decrescenti, precisamente 950 milioni per il 2013, 400 milioni per il 2014, 200 milioni per l’anno 2015, sintomo significativo del come anche l’estensore della norma di proroga non ci creda più, anzi l’obiettivo sembra essere proprio disincentivarla, probabilmente per esigenze di bilancio. Ma veniamo alle modifiche della legge 228/2012 introdotte anche attraverso il DPCM del 22 gennaio 2013. Per quanto concerne la contrattazione collettiva di secondo livello, che avrebbe consentito l’applicazione del beneficio fiscale, il DPCM precisa che la sottoscrizione dovrà avvenire da parte di “associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda”. Inoltre, si introduce anche l’obbligo di deposito del contratto di secondo livello presso la competente direzione territoriale del lavoro. Nel breve volgere di un biennio si passa quindi dalla contrattazione senza formalità (buona anche se riportata sulla carta del pane) ad una successiva, più rigida e dai connotati estremamente formali. Ma non è la sola variazione dato che esigenze di bilancio portano la somma massima sulla quale applicare l’imposta sostitutiva da euro 6.000 a euro 2.500 annue. Anche la retribuzione di produttività viene delimitata nel più rigido ambito degli indicatori quantitativi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione.

Con l’annualità 2015 si chiude la fase sperimentale della premialità di risultato. La legge 208/2015 (legge di stabilità 2016), all’articolo 1, comma 182, nella versione attualmente in vigore prevede che, “salva espressa rinuncia scritta del prestatore di lavoro, sono soggetti ad una imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 10 per cento” (5% per l’anno 2023) ”entro il limite di importo complessivo di 3.000 euro lordi, i premi di risultato di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili sulla base di criteri definiti con il decreto di cui al comma 188, nonché le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa”. Requisiti significativi per l’applicazione del beneficio fiscaledellariformastrutturalediventano: lavariabilità del premio di risultato, intesa come incertezza di percepire il premio sulla base del raggiungimento o meno di indici quantitativi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione presenti nel contratto di secondo livello; l’incremento di almeno uno degli indici quantitativi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione in relazione ad un congruo periodo precedente. Su quest’ultimo punto la posizione dell’Agenzia delle Entrate espressa in risposta ad un interpello (n. 130/2018) è poco convincente rispetto alla lettura della norma in quanto definisce il raggiungimento del requisito dell’incremento misurandolo rispetto ad un serie storica, non rispetto ad un indicatore obiettivo determinato dalle parti oppure rispetto ad un “periodo congruo definito dall’accordo”, come del resto riportato nel Decreto Interministeriale del 25 Marzo 2016, attuativo della norma.

La nuova regolamentazione strutturale incide anche sotto altri aspetti, tuttavia senza apportare quelle modifiche sostanziali che ne avrebbero ampliato la diffusione. Sin dall’1.01.2016 il comma 183 dell’art. 1 legge 208/2015 prevede che “ai fini della determinazione dei premi di produttività, è computato il periodo obbligatorio di congedo di maternità”. L’estensore della norma intende quindi cristallizzare una prassi che nella contrattazione aziendale già veniva adottata diffusamente, trasformandola in principio necessario per l’ottenimento del beneficio fiscale. La legge 208/2015 introduce altresì la possibilità per i lavoratori di convertire le somme di cui al comma 182 dell’art. 1 in welfare aziendale. Il comma 184 dell’art. 1 della medesima legge, infatti, nella versione attualmente in vigore, così come modificata dall’art. 1 della legge 232/2016, prevede che somme e valori di cui all’art. 51 del Tuir comma 2 e ultimo periodo del comma 3, non concorrono nel rispetto dei limiti previsti dal Tuir a formare il reddito da lavoro dipendente, né sono assoggettati ad imposta sostitutiva in caso di conversione di premi di risultato e assimilati, fermo restando due condizioni: la previsione nella contrattazione collettiva di secondo livello della possibilità di convertire i premi di risultato in denaro in welfare; la volontà alla conversione da parte del lavoratore.

Nel corso del 2022 con l’approvazione dei due decreti emergenziali denominati Aiuti bis e Aiuti quater, in particolare il decreto legge 18.11.2022 n. 176 viene elevata ad euro 3.000,00 la soglia di esenzione da imponibilità contributiva dei valori dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche, il tutto in deroga (solo per l’anno 2022) a quanto previsto dall’art. 51 comma 3 prima parte del terzo periodo del Tuir. L’art. 3 comma 10 del d.l. 176/2022, prevedendo quanto sopra, impattava positivamente sulle previsioni del comma 184 della legge 208/2015, consentendo di massimizzare, in caso di conversione in welfare delle somme di cui al comma 182 legge 208/15, il risparmio fiscale e contributivo sia da parte aziendale che del lavoratore. Spinta ulteriore agli strumenti di flexible benefit è data dalle previsioni del comma 184 bis dell’art. 1 legge 208/15, permettendo l’elevazione della soglia di esenzione di contributi alle forme pensionistiche complementari e di assistenza sanitaria per gli importi ulteriori derivanti dalla conversione, su scelta dei lavoratori, delle somme erogate a titolo di premialità di risultato.

In conclusione, la legge 208/2015, attualmente in vigore, prevede l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi da 182 a 185 esclusivamente al settore privato (individuato per esclusione nei datori di lavoro che non rientrano tra le amministrazioni di cui al d.lgs 165/2001) e con riferimento ai titolari di reddito di lavoro dipendente di importo non superiore, nell’anno precedente quello di percezione delle somme di cui al comma 182, ad euro 80.000. A parere di chi scrive, tuttavia, la normativa ha scarso appeal ed il suo utilizzo è ancora delimitato alle aziende di medie e grandi dimensioni con relazioni sindacali interne già presenti ed avviate, trovando difficoltà di utilizzo nel tessuto delle micro e piccole imprese, che rappresentano la maggioranza delle attività produttive e di servizi del paese.

La storia della detassazione sulle retribuzioni legate alla premialità ci mostra un graduale passaggio da misura volta a salvaguardare il potere d’acquisto o riduzione del cuneo fiscale, con accessibilità semplice e immediata, tipizzata dalla normativa sperimentale degli anni 2008-2011, a strumento incentivante politiche di aumento della produttività aziendale. I risultati di tale ultima fase possiamo definirli di scarso rilievo, per varie ragioni che possiamo esemplificare con:

a) approccio cauto da parte delle aziende alla contrattazione di secondo livello se non già presente;

b) scarsa incidenza sul costo-azienda; c) irrigidimento progressivo dei requisiti di accesso alla detassazione soprattutto in relazione al concetto di incremento di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione.

In tutto ciò, l’art. 1 comma 63 della legge 197/2022, misura temporanea prevista per il solo 2023, difficilmente potrà stimolare la sottoscrizione di nuovi accordi aziendali poiché salvo rari casi, la misurazione dei risultati e la conseguente erogazione di premi potenzialmente agevolabili avverrebbe nella successiva annualità 2024. Sostanzialmente la misura si aggiungerebbe alle altre previsioni volte a ridurre il cuneo fiscale, seppur con impatto minimo traducendosi nella migliore delle ipotesi per il lavoratore in un vantaggio economico di poco superiore a 130,00 euro annui. Non si coglieva quindi particolare esigenza di riduzione della percentuale di imposizione e se proprio si fosse voluti intervenire in materia si sarebbe potuto incentivare l’utilizzo di piani di flexible welfare quali strumenti di premialità. Così facendo, invece, si rischia l’effetto contrario rendendo di minor convenienza la conversione dei premi in welfare, senza raggiungere risultati significativi sia nel campo della produttività del lavoro che nella salvaguardia del potere d’acquisto dei lavoratori e delle famiglie.

*Odcec Lanciano