Con l’esonero della quota IVS aumenta l’imponibile fiscale. L’impatto dell’agevolazione viene limitato dall’incremento della base imponibile fiscale e quindi dell’IRPEF dovuta

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 *di Pietro Aloisi Masella e Maurizio Centra

L’art. 1 comma 281 della L. 197/2022 ha rinnovato e modificato per l’anno 2023 l’esonero della quota IVS a carico del lavoratore, previsto per il 2022 dall’art. 1 comma 121 della L. 234/2021. In pratica, ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, i contributi sono temporaneamente ridotti:

– del 2% se la retribuzione imponibile, parametrata su base mensile per 13 mensilità, non eccede l’importo mensile di 2.692 euro, maggiorato del rateo di tredicesima; – del 3% se la retribuzione imponibile, parametrata su base mensile per 13 mensilità, non eccede l’importo mensile di 1.923 euro, maggiorato del rateo di tredicesima.

Dall’agevolazione rimangono esclusi i rapporti di lavoro domestico.

Indipendentemente dalla fascia di riferimento, la retribuzione su cui calcolare il beneficio deve essere maggiorata, nel mese di dicembre 2023, dell’ammontare della tredicesima mensilità, ovvero mese per mese del relativo rateo corrisposto al lavoratore, ricorrendo le condizioni.

L’INPS individua quale base di calcolo la retribuzione imponibile previdenziale mensile (cfr. circ. INPS nn. 43/2022 e 7/2023) e pertanto il calcolo va effettuato su tale elemento che, ovviamente, è superiore all’imponibile fiscale, nella misura in cui quest’ultimo è normalmente pari allo stipendio lordo ridotto dei contributi previdenziali a carico del lavoratore.

In merito al calcolo dell’agevolazione in commento per l’anno 2023, l’INPS nella circ. n. 7/2023 ha precisato che laddove la retribuzione imponibile superi il limite di: – 2.692 euro al mese, non spetterà alcuna riduzione della quota a carico del lavoratore. Pertanto, se il lavoratore in un singolo mese percepisce una retribuzione di importo superiore a 2.692 euro lordi, per quel mese non avrà diritto al beneficio; – 1.923 euro, ma sia, comunque, di importo minore o pari a 2.692 euro al mese, la riduzione contributiva della quota a carico del lavoratore potrà essere riconosciuta, per il singolo mese di riferimento, nella misura del 2%.

Laddove, invece, la retribuzione mensile non superi il limite pari a 1.923 euro, la riduzione contributiva della quota a carico del lavoratore potrà essere riconosciuta, per il singolo mese di riferimento, nella misura del 3% (per approfondimenti si rimanda a “Il nuovo esonero contributivo 2023 a favore dei dipendenti” in “La Consulenza del Lavoro” n. 2/2023).

In base al metodo di calcolo dell’agevolazione adottato dall’INPS, può verificarsi che il lavoratore perda il diritto all’esonero in un mese a causa del pagamento di premi o di somme non ricorrenti, senza avere la possibilità di “recuperarlo” successivamente, come potrebbe accadere se fosse previsto un conguaglio previdenziale di fine anno.

Oltre alla mancanza del suddetto conguaglio, le cui conseguenze possono essere rilevanti nei casi di retribuzioni caratterizzate da variabilità nel corso dell’anno, quello che appare distorsivo, anche se legalmente corretto, è l’effetto tributario sull’esonero. Si potrebbe anche dire che ciò che la mano destra (previdenziale) concede, la mano sinistra (tributaria) riprende, almeno in parte.

Poiché l’imponibile fiscale, sul quale si calcolano l’IRPEF e le sue addizionali, è, di norma, pari all’imponibile previdenziale meno i contributi a carico del lavoratore, la riduzione di questi ultimi per effetto dell’esonero determina un imponibile fiscale maggiore di quello che si determinerebbe in assenza della stessa agevolazione.

Si prenda come esempio un imponibile previdenziale di 1.900 e l’aliquota INPS del 9,19%:

– contributi a carico del lavoratore 174,61 senza esonero ovvero 117,61 con esonero del 3% (la differenza è di 57 euro);

– l’imponibile fiscale sarebbe 1.725,39 (senza l’applicazione dell’esonero) ovvero 1.782,39 (se si applica l’esonero);

– IRPEF lorda sarebbe di 406,34 euro (senza l’applicazione dell’esonero) ovvero 420,59 (se si applica l’esonero), con una differenza, quindi, di 14,25 euro.

L’aumento effettivo determinato dall’applicazione dell’agevolazione sarebbe pertanto di 42,75 euro e non di 57 euro.

Pur riconoscendo il valore dell’iniziativa del legislatore in termini di riduzione del cuneo fiscale, anche se limitata agli oneri a carico del lavoratore dipendente, l’agevolazione ex L. 197/2022 sarebbe stata più apprezzata, dai soggetti ai quali è rivolta, se: – fosse stato adottato un sistema di conguaglio previdenziale di fine anno o di fine rapporto di lavoro, in caso di cessazione del rapporto nel corso dell’anno 2023;

– fosse stato neutralizzato l’effetto tributario “distorsivo” dell’agevolazione, ad esempio prevedendo il calcolo dell’IRPEF e delle sue addizionali su un imponibile determinato non tenendo conto dell’agevolazione stessa, oppure se il valore del beneficio fosse riconosciuto al lavoratore esentasse, con l’effetto di aumentare il netto della busta paga.

*Odcec Roma

“Articolo tratto dal Quotidiano del Commercialista Eutekne del 24 febbraio 2023 – (www.eutekne.info)”.

 

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