Il blocco dei licenziamenti: dal Cura Italia al Decreto Lavoro

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di Evangelista Basile* e Rosibetti Rubino**

Il 30 giugno 2021 è entrato in vigore l’ennesimo decreto emergenziale, il n. 99, noto come “Decreto Lavoro”. La data non è casuale e coincide con quanto era stato precedentemente previsto in relazione all’ormai celebre blocco dei licenziamenti.

Ma andiamo con ordine e vediamo qual è stato lo sviluppo di questa tormentata disposizione.

Tutto ebbe inizio, infatti, con il d.l. 18/2020, ai più conosciuto come “Cura Italia”, che aveva, allo scoppio della pandemia, introdotto un divieto generalizzato di procedere a licenziamenti economici individuali e collettivi e tipizzato alcuni casi di assenza dal lavoro giustificati che si risolvevano, di fatto, in ulteriori divieti di recesso (ad es. l’art. 23, comma 6 prevedeva un divieto di licenziamento per i lavoratori che usufruivano di un congedo non retribuito per il periodo di sospensione delle attività didattiche).

Il Decreto Rilancio aveva poi prorogato la sospensione dei licenziamenti per ulteriori cinque mesi, ovvero fino al 15 agosto 2020, a condizioni sostanzialmente immutate.

Fin qui il divieto è stato generalizzato e, sebbene non senza incertezze, col senno di poi, possiamo dire che la situazione era relativamente di semplice comprensione. A complicare il quadro ma comprensibilmente in un’ottica di allentamento delle maglie del divieto, anche in ragione dei profili di incostituzionalità che fin dall’inizio si eranopaventati, èstatal’introduzionedeld.l. 104/2020, cd. Decreto Agosto, che, all’art. 14, estendeva il blocco fino al 31 dicembre 2020, costruendo però un impianto un po’ più complesso sulla base di un elenco di condizioni e una serie di eccezioni a un divieto che a quel punto è divenuto «flessibile» e «mobile».

Mentre quindi fino a quel momento il divieto si era posto quale semplice contraltare dell’imposto lockdown, con il decreto agosto le cose si complicano e il divieto viene sostanzialmente condizionato alla fruizione delle integrazioni salariali (gli ammortizzatori sociali di cui all’art. 1) o all’esonero contributivo (di cui all’art. 3). A questo punto, quindi, il contraltare del divieto è l’aiuto statale, la Cassa integrazione. La durata, poi, di questo divieto sembrava essere differente per ogni singolo caso (per questo si è parlato di divieto «mobile»), sulla  base  della durata effettiva degli strumenti ricevuti, ma la norma non brillava per chiarezza e con l’inciso “le imprese che non abbiano integralmente fruito” aveva scatenato il panico fra gli

addetti al settore, risolvendosi quindi cautelativamente in un ritorno al divieto generalizzato dei mesi precedenti.

In seguito, il c.d. Decreto Ristori (articolo 12, commi 9 e 10, del decreto-legge n. 137/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176) ha esteso il divieto sino al 31 gennaio 2021, tornando però a un regime generalizzato; mentre la legge di bilancio 2021 (legge 30 dicembre 2020 n. 178, art. 1, commi 309-311) ha ulteriormente prorogato il divieto fino al 31 marzo 2021. A quel punto, quindi, il divieto non era più dipendente dalla fruizione integrale degli ammortizzatori COVID-19.

Già a partire dal Decreto Agosto, comunque, il divieto prevedeva (e prevede ancora) alcune «eccezioni» (art. 14 cit., comma 3): in caso di cessazione definitiva dell’attività d’impresa, con messa in liquidazione senza continuazione della stessa, anche parziale, salvo il caso di configurabilità dell’ipotesi di trasferimento d’azienda (o di ramo d’azienda); nell’ipotesi di fallimento in cui non sia previsto l’esercizio provvisorio; nonché nelle «ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro».

Quest’ultimo si è rivelato poi essere lo strumento migliore di gestione degli esuberi durante l’ultimo anno, permettendo, infatti, non solo di procedere a licenziamenti (poi di fatto tramutatisi in risoluzioni consensuali, vista la necessaria adesione del lavoratore), ma anche di far percepire ai lavoratori coinvolti il trattamento di Naspi.

Lo scenario è poi ancora una volta mutato con l’emanazione del decreto legge del 22 marzo 2021, n. 41, cd. Decreto Sostegni, tramite il quale il Governo – in vista dello scadere del precedente blocco – è intervenuto ulteriormente sugli ammortizzatori sociali “emergenziali” e, parallelamente, sul blocco dei licenziamenti.

Il Decreto Sostegni segna il ritorno a un divieto ammorbidito, così come era stato durante la parentesi di vigenza del Decreto Agosto. Vengono quindi stabiliti due differenti blocchi di divieto. Il primo, fino al 30 giugno 2021, il secondo fino al 31 ottobre 2021.

Fino al 30 giugno, la questione era semplice: non si può procedere ai recessi. Il divieto sarebbe poi continuato per le sole imprese che avessero avuto accesso agli ammortizzatori sociali ma, come era accaduto nel precedente testo, le ambiguità erano evidenti anche in questo caso.

A chiarire le cose, stavolta, era stata la relazione illustrativa del decreto che esplicitamente faceva riferimento ai “datori di lavoro che fruiscono”, permettendo quindi di interpretare ragionevolmente la norma nel senso che il blocco sarebbe durato non per chi astrattamente avrebbe potuto chiedere un ammortizzatore, ma solo per chi quell’ammortizzatore effettivamente aveva richiesto.

Il problema vero del divieto del Decreto Sostegni era invece la durata del divieto, non essendo affatto chiaro se le aziende avessero potuto procedere ai licenziamenti non appena finito l’ammortizzatore, pur richiesto e usufruito, anche prima del 31 ottobre.

Poco  dopo,  a  riguardo,  è  intervenuto  il  Decreto Sostegni bis (d.l. 25 maggio 2021 n. 73), il cui art. 40, comma 4 statuiva per i datori di lavoro che presentano domanda di Cassa integrazione ordinaria le succitate preclusioni  in  materia  di  licenziamenti  collettivi  e individuali per giustificato motivo oggettivo, fino al 31 dicembre 2021. L’art. 40, comma 3, prevedeva inoltre per gli stessi – con riguardo al medesimo periodo – l’esonero dal pagamento del contributo addizionale di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 148/2015. Mentre, l’art. 40, comma 5 del Decreto Sostegni bis confermavano in toto i casi di eccezione rispetto a tali preclusioni.

E veniamo, dunque, alla fatidica data del 30 giugno 2021 e al Decreto Lavoro.

In questi giorni, le testate nazionali – come era prevedibile – sono zeppe di notizie su procedure di licenziamenti collettivi avviate da grosse imprese operanti in Italia che sembrano annunciare l’apocalisse dei posti di lavoro.

Ebbene, sgombriamo subito il campo da equivoci: le cose non sono così semplici (e quanto fin qui detto sembra un buon indizio per crederci) come vengono fatte apparire.

Innanzitutto – o almeno, a quanto è dato leggere sulle stesse testate – sembrerebbe trattarsi di casi di cessazione dell’attività che, come abbiamo visto, erano inclusi fra le eccezioni al divieto di licenziamento già da mesi. In secondo luogo, non dobbiamo dimenticare che lo “sblocco” dei licenziamenti non equivale a un indiscriminato liberi tutti ma al ritorno alle regole e alle procedure preesistenti la pandemia, pensate dal legislatore a tutela dei lavoratori coinvolti.

Ma veniamo quindi a cosa è successo davvero il 1° luglio, la tanto temuta data della “fine” del divieto di licenziamento.

Con il Decreto Lavoro, il Governo non ha posto un netto stop al divieto di recesso né liberalizzato (e sempre che di liberalizzazione si possa parlare nel panorama giuslavoristico italiano) ma ha, in linea con i precedenti provvedimenti, allentato ulteriormente le maglie di quest’ultimo.

Il blocco infatti rimane sostanzialmente identico fino al 31 ottobre 2021, per le aziende che usufruiscono della CIG in deroga, del FIS o della CIG Covid. A questi, però, adesso si aggiunge una specifica categoria di imprese, quella del tessile, pelletteria e abbigliamento, a cui viene appositamente destinata una nuova CIG Covid di ulteriori 17 settimane fino al 31 ottobre 2021. Con nota n. 5186 del 16 luglio 2021, l’INL ha precisato che per entrambe le categorie, il divieto opera a prescindere dalla fruizione degli ammortizzatori sociali. L’ispettorato quindi si pone in netto contrasto con quanto era previsto dalla relazione illustrativa del Decreto Sostegni e, quindi, quantomeno per la prima categoria era lecito porsi il dubbio che il divieto operasse solo in caso di effettiva fruizione degli ammortizzatori.

Il divieto, poi, rimane operativo per tutte le imprese in area CIGO o CIGS che facciano domanda di integrazione salariale e per il periodo di fruizione dell’ammortizzatore fino al 31 dicembre 2021. Il Decreto Lavoro ha infatti introdotto per queste imprese ulteriori 26 settimane di Cassa, esonerandole dal pagamento del contributo addizionale. A riguardo è interessante notare che la nota INL citata però parla di “periodo di trattamento autorizzato”, il che rende le cose nuovamente incerte.

È necessario infine tenere a mente che gli ammortizzatori “Covid” non incidono e non incidevano sul calcolo dei massimali di cui al d.lgs. 148/2015 e, pertanto, le aziende hanno ad oggi ulteriori 24 (se non 36 in caso di Contratti di Solidarietà) mesi di cassa da poter utilizzare, anche se ne hanno usufruito costantemente negli ultimi (ormai quasi) due anni.

Di nuova introduzione col Decreto Lavoro è, proprio su questo tema, la Cassa Integrazione Straordinaria in deroga, una specie di Cassa straordinarissima.

All’art. 4, comma 8, infatti, il d.l. 99/2021 prevede che: “Anche per fronteggiare situazioni di particolare difficoltà economica presentate al Ministero dello sviluppo economico, ai datori di lavoro di cui all’articolo 8, comma 1, del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 maggio 2021, n. 69, che non possono ricorrere ai trattamenti di integrazione salariale di cui al decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, è riconosciuto, nel limite di spesa di 351 milioni di euro per l’anno 2021, un trattamento straordinario di integrazione salariale in deroga agli articoli 4, 5, 12 e 22 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, per un massimo di tredici settimane fruibili fino al 31 dicembre 2021”.

Insomma,    se    un’impresa    ha    terminato    gli ammortizzatori a disposizione o se non può proprio accedervi, ha facoltà comunque di richiedere la CIGS in deroga fino al 31 dicembre 2021, previo espletamento della fase amministrativa al MISE.

Come è ovvio, anche in questo caso, se ne fa utilizzo, tornerà in vigore il divieto di procedere a licenziamenti. Come anticipato, la logica è sempre la stessa: se lo Stato aiuta con gli ammortizzatori sociali, l’impresa non può licenziare.

Ci eravamo chiesti come interpretare la durata del divieto in caso di fruizione, magari parziale, degli strumenti offerti dallo Stato. A riguardo, la citata nota dell’INL ha riferito che, nel caso di utilizzo di ammortizzatori sociali, il divieto di recesso opererà fino al termine dell’anno di riferimento. L’INL invita, infatti, nella nota, gli uffici di convocazione delle Commissioni di conciliazione a verificare, prima, attraverso le banche dati, quanto dichiarato dalle aziende sulla fruizione di ammortizzatori. L’INL si preoccupa di un caso in particolare: la presenza di domanda per accedere alla CIGO (quindi presentate da imprese con “sblocco” al 30 giugno) dopo la definizione di conciliazioni avvenute ai sensi dell’art. 7 legge 604/66. Insomma, sotto l’occhio vigile dell’Ispettorato cadono quelle aziende che nel secondo semestre 2021, prima hanno licenziato e poi hanno richiesto la Cassa. Con una breve frase che sa già di ammonizione, l’INL ha quindi dichiarato che queste imprese saranno inserite nel programma di vigilanza per l’indebita fruizione di ammortizzatori. Ad ogni modo, si ricorda che anche in questo mix di regimi, restano sempre esclusi dal blocco i licenziamenti per fallimento, cessazione dell’attività e quelli a seguito della stipula di un accordo collettivo aziendale “autorizzatorio”, su adesione del lavoratore, il quale – anche nel caso in cui si tratti di una risoluzione consensuale – si conferma che potrà accedere al trattamento di NASPI.

Insomma, la situazione, lungi dall’essere apocalittica, è invece sicuramente complessa e procedere ai licenziamenti economici presenta ancora diversi profili di sbarramento o comunque di rischio elevato.

A titolo esemplificativo del panorama confusionario in cui ci troviamo, segnaliamo una recente ordinanza del Tribunale di Roma del 30 giugno 2021 (data nefasta sotto molti aspetti), con la quale il Giudice ha sostanzialmente ribaltato l’unico punto fermo di tutta la normativa emergenziale, ovvero la tenuta (anche costituzionale) del divieto grazie alla parallela messa a disposizione dell’ammortizzatore speciale Covid. A detta del Giudice romano, infatti, la Cassa Covid non può essere utilizzata da chi, senza aver effettivamente subito una contrazione di attività, cerchi solo di sottrarsi all’obbligazione retributiva nei confronti di lavoratori la cui posizione è sostanzialmente (ma non formalmente, perché in divieto) soppressa.

Insomma, ancora una volta, del doman non v’è certezza.

 

*Avvocato – socio Studio Legale Ichino Brugnatelli e Associati

** Avvocato – collaboratrice Studio Legale Ichino natelli e Associati

 

 

 

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