di Graziano Vezzoni*e IA**
La discussione sull’impatto che l’IA avrà sul mercato del lavoro, viene vissuta, o come una minaccia per l’occupazione, o come un catalizzatore per la creazione di nuovi posti di lavoro.
Nella schiera dei primi va senz’altro annoverato Elon Musk che ha affermato che l’IA sarà “la forza più dirompente della storia” ed ha previsto che nel futuro renderà tutti i lavori “inutili”, affermando che non sarà più necessario lavorare e le persone potranno avere un lavoro, se lo desiderano, ma solo per soddisfazione personale. Tuttavia, l’economista e professore di economia presso il Massachusetts Institute of Technology David Autor, ha affrontato questa prospettiva in uno studio pubblicato sulla rivista Noema, giungendo ad una conclusione differente. Autor sostiene che l’IA ha il potenziale per produrre posti di lavoro. L’autore, parte dall’analisi della dinamica che ha avuto, nel tempo, il mondo del lavoro e ci spiega che inizialmente il lavoro era svolto in maniera individuale, passando poi, con l’avvento della rivoluzione industriale, ad una produzione di massa e quindi le competenze si sono trasformate da artigianali (individuali) a competenze di massa (industriali): operai, impiegati amministrativi, dirigenti ecc. Dalle competenze di massa dell’era industriale siamo poi passati alle competenze di elite nell’era dell’informatica. Il computer era capace di eseguire in modo economico, affidabile e rapido compiti cognitivi; prima dell’era del computer esisteva essenzialmente un solo strumento per l’elaborazione: la mente umana. L’evoluzione dalla competenza di massa alla competenza d’élite nell’era dell’informazione è un fenomeno che riflette il cambiamento del panorama lavorativo e tecnologico. Durante la rivoluzione industriale, la competenza di massa era altamente richiesta per le attività di produzione e di ufficio, ma con l’avvento dell’era dei computer, le macchine digitali hanno iniziato a sostituire l’uomo in molti di questi compiti di routine. I computer, grazie alla loro capacità di processare informazioni in maniera determinata hanno reso obsoleta una grande parte delle attività e competenze di massa. Come la calcolatrice, nell’era dell’informatica, ha aiutato gli esseri umani a eseguire calcoli più rapidamente e con maggiore precisione, così l’IA ha aiutato a elaborare e analizzare grandi quantità di dati più velocemente di quanto un essere umano potrebbe fare da solo. L’IA automatizzerà alcune occupazioni, né eliminerà altre, rimodellerà radicalmente alcune, ma senz’altro creerà nuove attività e nuove competenze. Per Autor, esistono numerose attività che richiedono una conoscenza acquisita sul campo attraverso l’esperienza diretta piuttosto che con lo studio formale delle regole e queste competenze, definite “non di routine”, diventeranno sempre più preziose e richieste, poiché implicano la capacità di esercitare giudizi, creatività e adattabilità in situazioni complesse e variabili. Infatti il limite dei computer, nel replicare queste competenze non di routine, risiede nella programmazione che richiede la specificazione esplicita di ogni passaggio e regola e di conseguenza, professioni e lavori che richiedono giudizio e adattabilità, continueranno a essere dominio esclusivo dell’intelligenza umana.
Come affermò Alan Turing, nel 1937, i computer possono eseguire un’infinita varietà di compiti, a condizione che il compito possa essere codificato con una serie di passaggi, più formalmente noto come “algoritmo”.
Quindi l’era dell’IA ha portato a una rivalutazione delle competenze, con un passaggio dalla valorizzazione delle competenze di massa a quelle d’élite, che sono meno suscettibili di essere sostituite dalla tecnologia e che richiedono un livello più elevato di cognizione umana e di abilità non codificabili. L’intelligenza artificiale, prosegue David Autor, ha il potenziale per democratizzare l’accesso a competenze specialistiche perché ha il potenziale per migliorare l’efficienza e la qualità del lavoro, ma può anche contribuire a una più equa distribuzione delle opportunità lavorative, riducendo la barriera tra “esperti” e “non esperti” e permettendo a un numero maggiore di persone di partecipare attivamente a processi decisionali critici. L’IA può quindi fornire assistenza e informazioni, ma non può sostituire il giudizio esperto e la conoscenza procedurale che gli esseri umani acquisiscono attraverso l’esperienza e la pratica e rappresenta un’opportunità per migliorare l’efficienza e la qualità del lavoro, ma è essenziale che le società facciano scelte consapevoli su come implementare e regolarla.
La regolamentazione e l’etica giocano un ruolo cruciale nel garantire che l’IA sia utilizzata a beneficio dell’umanità e non a suo discapito. Dobbiamo quindi chiederci non solo cosa l’IA può fare per noi, ma anche cosa vogliamo che faccia per noi, per garantire che il suo sviluppo sia allineato con i valori umani e le esigenze della società, perché, come altre tecnologie prima di essa, può essere utilizzata per una vasta gamma di scopi, dai più nobili ai più nefasti.
La riflessione sull’uso delle tecnologie evidenzia come queste possano essere impiegate per scopi molto diversi, influenzati dalle istituzioni e dagli incentivi che guidano il loro utilizzo. La fissione nucleare, ad esempio, ha portato sia alla creazione di armi che alla produzione di energia, dimostrando come la stessa tecnologia possa avere applicazioni opposte.
*ODCEC Lucca
** Intelligenza Artificiale