*di Stefano Lapponi

 

–       Materia: Regolarità Contributiva

–       Oggetto: Simulazione Durc procedura Ve.R.A.

–       Riferimento: Messaggio Inps  3662/2024

L’INPS ha spiegato con il messaggio 3662/24 il funzionamento della Piattaforma Unica per la verifica e gestione interattiva della regolarità contributiva.

Le sezioni contemplate sono:

1)    Ve.R.A. che espone per ogni Gestione la natura dei debiti del contribuente e il relativo stato;

2)    Simulazione DURC che valuta le evidenze secondo i criteri che disciplinano il rilascio del DURC ai sensi del DM 30.1.2015.

La Piattaforma online è strutturata per consentire ai contribuenti e ai loro intermediari la consultazione delle evidenze riferite alla posizione contributiva, trasversalmente a tutte le gestioni contributive, per la sistemazione delle eventuali anomalie mediante l’attivazione dei processi di regolarizzazione previsti per ciascuna tipologia di debiti contributivi.

Le risultanze della verifica sono segnalate con cerchi colorati di colorazione verde, rosso e giallo aventi i seguenti significati:

·       verde per le Gestioni per le quali non risultano presenti evidenze;

·       rosso per le Gestioni in cui sono presenti le evidenze, anche senza rilevanza contributiva, che devono essere oggetto di procedimenti di correzione e/o normalizzazione;

·       giallo per le anomalie nella estrazione delle evidenze.

 

–       Materia: Pensioni anticipate

–       Oggetto: APE sociale

–       Riferimento: Comunicato Inps 8.11.2024

  L’INPS informa che il 30.11.2024 scade il termine per la presentazione della domanda di verifica delle condizioni di accesso all’APE Sociale.

Si sottolinea che l’accesso al beneficio è subordinato alla cessazione di attività di lavoro dipendente, autonomo e parasubordinato svolta in Italia o all’estero.

I requisiti per ottenere l’indennità sono:

·       almeno 63 anni e 5 mesi di età;

·       almeno 30 anni di anzianità contributiva;

·       per i lavoratori che svolgono le attività gravose, l’anzianità contributiva minima richiesta è di 36 anni (o almeno 32 anni, per le categorie illustrate nella pagina APE).

·       per le donne i requisiti contributivi richiesti sono ridotti, per le donne, di 12 mesi per ogni figlio, nel limite massimo di due anni;

·       non essere titolari di alcuna pensione diretta.

L’accesso al beneficio è inoltre subordinato alla cessazione di attività di lavoro dipendente, autonomo e parasubordinato svolta in Italia o all’estero.

 

 

–       Materia: Assicurazione infortuni

–       Oggetto: Autoliquidazioni Inail 2024/2025   ditte cessate

–       Riferimento: Istruzioni Operative del 4.12.2024

Con l’istruzione operativa del 4.12.2024, l’INAIL comunica circa il servizio “Autoliquidazione ditte cessate”, che, per le ditte cessate nel corso del 2024 che hanno utilizzato la nuova funzionalità di cui in oggetto, avendo completato gli adempimenti nei confronti dell’INAIL, le basi di calcolo non sono disponibili.

Con le stesse istruzioni l’Inail rende note per l’autoliquidazione 2024/2025:

·     La “Comunicazione delle Basi di Calcolo”, nella sezione “Fascicolo Aziende – Visualizza Comunicazioni”;

·     La “Visualizza Basi di Calcolo” e “Richiesta Basi di Calcolo”;

·     La “Visualizza elementi di calcolo”, dedicato alle posizioni assicurative navigazione (PAN)

 

 

–       Materia: Sostegno al reddito

–       Oggetto: Assunzione beneficiari assegno di inclusione    

–       Riferimento: Messaggio Inps 4.12.2024 n.4110

  L’INPS, con il messaggio 4110/2024, rettificando parzialmente quanto disposto al § 3 del messaggio 3888/2024, comunica le istruzioni operative per la fruizione dell’incentivo all’assunzione di beneficiari dell’Assegno di inclusione e del Supporto per la formazione e il lavoro (art. 10 del DL 48/2023),

L’Istituto ricorda che i dati esposti nel flusso UniEmens sono riportati, a cura dell’Istituto, nel DM2013 “VIRTUALE” ricostruito dalle procedure come di seguito indicato:

·       con il codice di nuova istituzione “L617”, avente il significato di “Conguaglio Esonero per assunzioni/trasformazioni beneficiari SFL, articolo 12, comma 10 DL 48/2023”;

·       con il codice di nuova istituzione “L618”, avente il significato di “Conguaglio arretrati Esonero per assunzioni/trasformazioni beneficiari SFL, articolo 12, comma 10 DL 48/2023”.

 

 

–       Materia: Indennità di disoccupazione

–       Oggetto: NASpI

–       Riferimento: messaggio Inps 13.12.2024 n.4254

L’INPS, con il messaggio 4254/2024, chiarisce la modalità di calcolo dell’indennità di disoccupazione NASpI.

Nella fattispecie ricorda che a norma dell’art. 4  co. 1 del D.Lgs. 22/2015, l’indennità è rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi 4 anni, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33.

Scendendo nel particolare la circolare nell’ipotesi in cui un lavoratore licenziato non abbia percepito nel citato quadriennio alcuna retribuzione in quanto integralmente beneficiario di cassa integrazione a zero ore, chiarisce che, ai fini del calcolo della prestazione NASpI, si può procedere, in assenza di retribuzione imponibile, alla “valorizzazione dei dati dell’imponibile previdenziale” riferiti alla contribuzione figurativa relativa alle integrazioni salariali.

 

 

–       Materia: Imposte sui redditi

–       Oggetto: Residenza delle Persone Fisiche e delle Società

–       Riferimento: Circolare AdE 4.11.2024 n.20

Con la circolare in riferimento l’Agenzia delle Entrate fornisce le istruzioni in relazione alle modifiche apportate agli artt. 2 e 73 Tuir in tema di residenza delle persone fisiche (art.2) e delle società (art.73).

Nella fattispecie sono considerati fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che per la maggior parte del periodo di imposta (183 giorni ovvero 184 in caso di anno bisestile) si ritrovino in una delle seguenti situazioni (alternative):

  • residenza nel territorio dello Stato;
  • domicilio nel territorio dello Stato;
  • presenti nel territorio dello Stato, tenuto conto anche delle frazioni di giorno;
  • iscritti nell’anagrafe della popolazione residente.

NOTA BENE: In tale ultimo caso la condizione non riveste più carattere di “presunzione assoluta” bensì di “presunzione relativa” che ammette la prova contraria.

 

*Odcec Macerata

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di Florianna Golino*

Fino a qualche decennio fa, il concetto sicurezza sui luoghi di lavoro veniva associato all’insieme delle misure, adottate dalle organizzazioni, per garantire le migliori condizioni ai lavoratori, intese come assenza di malattie professionali e danni cagionati da eventi accidentali (infortuni).

I decreti sulla sicurezza degli anni 50, infatti, che ponevano l’Italia in vantaggio rispetto agli altri paesi europei in merito alla sensibilità ai temi della sicurezza e salute dei lavoratori, erano incentrati fondamentalmente sulle “condizioni sicure”, da garantire sui luoghi di lavoro e, quindi, sul concetto di salute come assenza di infermità e di danni all’integrità fisica dei lavoratori.

Con il passare degli anni e con il recepimento delle direttive europee in materia di sicurezza sul lavoro, si è consolidata l’attenzione a questi temi, ma è anche emerso un dato molto significativo, che ha mutato l’accezione stessa del termine “salute” sui luoghi di lavoro, ovvero l’incidenza degli aspetti organizzativi sulla psiche dei lavoratori, che ha condotto all’attuale definizione di salute come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o infermità (OMS).

Non a caso, l’introduzione, con il D.lgs. 81/2008, del rischio “Stress Lavoro correlato”, da valutare, alla stregua di tutti gli altri rischi per i lavoratori, all’interno del “Documento di Valutazione dei rischi”, che il datore di lavoro è obbligato a redigere, in collaborazione con il Medico Competente per la Sorveglianza Sanitaria ed il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione. La metodologia di valutazione di tale rischio, implementata dal Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale e disponibile anche on line sulla piattaforma dell’Inail, prende in considerazione una serie di fattori contenuti in una “Lista di controllo” ed appartenenti alle tre aree: indicatori aziendali, contesto del lavoro e contenuto del lavoro.

Viene quindi valutata, tra le altre cose, la presenza e la relativa applicazione di procedure organizzative adeguate, che mettano l’azienda al riparo dai “rischi organizzativi o psicosociali” (rischi trasversali alle mansioni lavorative aziendali “derivati da una o più carenze dell’organizzazione, in termini gestionali, metodologici, operativi come un’insufficiente formazione, attribuzioni di responsabilità poco chiare, mancanza o inefficacia di procedure interne, scarso coinvolgimento, carenze metodologiche nell’analisi del rischio) e dagli innumerevoli effetti di tali inefficienze sulla salute dei lavoratori: “sintomi fisici, psichici e sociali legati all´incapacità delle persone di colmare uno scarto tra i loro bisogni e le loro aspettative e la loro attività lavorativa” (National Institute for Occupational Safety and Health).

Sono da attenzionare, quindi, in fase di valutazione, tutti i fattori, interni od esterni all’organizzazione, che possano portare a condizioni di stress, ivi compresi episodi, ricorrenti od occasionali, di mobbing, stalking occupazionale, straining, ma anche tutte le forme di discriminazione (come quelle legate al genere), o gli abusi e le molestie sui luoghi di lavoro.

Questi ultimi in particolare, seppur già genericamente ricompresi nella valutazione dello stress lavoro correlato, a seguito dell’emanazione della L. 15/01/2021 n. 4 (in attuazione dell’art. 9 comma c) della Convenzione 190 sull’eliminazione della Violenza e delle Molestie nel Mondo del Lavoro) devono essere oggetto di una specifica valutazione dei rischi relativi alla violenza e alle molestie, con la partecipazione dei lavoratori e dei rispettivi rappresentanti, ai fini dell’adozione di misure per prevenirli e tenerli sotto controllo.

Oggi sempre di più, in un’ottica di sostenibilità e di valori “ESG”, nella cornice dei sistemi di gestione e di organizzazione più vicini a queste tematiche, come il SGSSL conforme alla norma ISO 45001:2018 o il sistema di gestione sulla Parità di genere conforme alla prassi Uni Pdr 125:2022, l’attenzione del datore di lavoro e di tutti gli attori della prevenzione, che lo coadiuvano in tale difficile compito, deve essere incentrata al benessere generale del lavoratore, come parte dell’organizzazione, ma anche nel suo ruolo al di fuori di essa, in un perfetto equilibrio di conciliazione vita lavoro.

*ODCEC Caserta

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di Bernardina Calafiori e Eleonora Ilario*

Un gruppo di lavoratori impiegati in un appalto avente ad oggetto le attività di “trasporto” e gestione di prodotti postali proponeva ricorso avanti al Tribunale di Catanzaro sostenendo l’illegittimità dell’appalto e così il loro diritto a vedersi costituito il rapporto di lavoro direttamente con la committente.

In particolare, i lavoratori ricorrenti affermavano che, sebbene vi fossero stati frequenti cambi di appalto, l’attività lavorativa era rimasta invariata poiché organizzata autonomamente e direttamente dalla committente.

Tra gli elementi a supporto della eterorganizzazione dell’attività lavorativa da parte della committente venivano valorizzati, in particolare, la presenza di:

  • un modello di servizio unilateralmente predisposto dalla committente ove venivano fornite puntuali indicazioni circa gli orari, i percorsi e le modalità del servizio;
  • una clausola di gradimento inserita nel contratto di appalto che consentiva alla committente di richiedere la sostituzione immediata del lavoratore ritenuto “scorretto, incapace o che avesse tenuto un comportamento fraudolento o posto in essere azioni tali da creare turbamento al servizio o danni alla committente”.

La società committente si costituiva in giudizio sostenendo la genuinità dell’appalto e contestando quanto rappresentato circa il controllo diretto sui lavoratori.

Investito così della questione, il Tribunale di Catanzaro, con la sentenza qui in commento (sentenza n. 1028/2024), ha dichiarato l’illegittimità dei contratti di appalto e, per l’effetto, riconosciuto l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra i ricorrenti e la committente.

A motivo di tale decisione il Tribunale ha, in primo luogo, esaminato il modello di servizio adottato dalla committente ritenendolo “espressione dell’eteroorganizzazione della prestazione lavorativa” attese le modalità di gestione dell’appalto ivi contemplate che lasciavano poco spazio all’autonomia delle singole società appaltatrici.

Anche la clausola di gradimento inserita nei contratti di appalto è stata ritenuta ad avviso del Tribunale incompatibile con l’autonomia che dovrebbe caratterizzare un appalto genuino. Essa, infatti, consentiva in concreto un illegittimo esercizio del potere disciplinare sui dipendenti dell’appaltatore da parte della committente e poiché imponeva “la sostituzione immediata” del dipendente ritenuto inidoneo, si risolveva, in ultima analisi, in una forma surrettizia di “licenziamento” del lavoratore su richiesta del committente.

La pronuncia qui in commento è senz’altro d’interesse in quanto, nel ribadire che ogni contratto di appalto deve rispettare l’autonomia del rapporto tra committente e appaltatore, sottolinea la necessità di prestare la massima attenzione non solo alla gestione corretta dei contratti di appalto, ma anche, e soprattutto, all’utilizzo di clausole contrattuali che – specie, se formulate come
nel caso specifico – siano idonee a limitare già ab origine questa autonomia così inficiando la genuinità dell’appalto.

*Avvocati Studio Legale Daverio & Florio

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di Bernardina Calafiori e Alessandro Montagna*

La Suprema Corte di cassazione, con la pronunzia n.123 resa in data 6 novembre 2024 e pubblicata in data 4 gennaio 2025, è intervenuta sulla vexata quaestio dei limiti di responsabilità del datore di lavoro in materia di tutela delle condizioni di lavoro e, segnatamente, di salvaguardia dell’integrità fisica e della personalità morale dei prestatori di lavoro.

Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte traeva origine dal ricorso di una dipendente che, in via di estrema sintesi, lamentava l’inerzia del datore di lavoro nell’assunzione di iniziative funzionali a neutralizzare il forte clima di conflittualità che caratterizzava le relazioni professionali tra dipendenti e colleghi all’interno dell’ufficio, così addebitando al datore di lavoro stesso la compromissione della propria salute psichica, tanto da richiederne la condanna al risarcimento del danno biologico per l’effetto patito.

La Suprema Corte ha, dunque, colto tale occasione per richiamare alcuni principi enunciati in passato in ordine alla differenza tra la fattispecie dello “straining” e la fattispecie del “mobbing”, statuendo, in linea con la recente giurisprudenza di legittimità, che:

  • la fattispecie del “mobbing” si configura allorquando siano presenti sia l’elemento obiettivo, costituito da una serie continua di comportamenti pregiudizievoli per la persona all’interno del rapporto di lavoro, sia l’elemento soggettivo dell’intenzione persecutoria nei confronti della vittima, indipendentemente dalla legittimità intrinseca di ciascun comportamento (Cass. 21 maggio 2018, 12437; Cass. 10 novembre 2017, n. 26684 e Cass. 7 giugno 2024 n. 15957):
  • la fattispecie dello “straining” ricorre allorquando il datore di lavoro ponga in essere comportamenti stressogeni deliberatamente attuati nei confronti di un dipendente, anche in assenza di una pluralità di azioni vessatorie (Cass. 10 luglio 2018, n. 18164 e Cass., sez. lav., 7 giugno 2024 n. 15957).

Ciò premesso, la Suprema Corte ha opportunamente rilevato che l’assenza degli indici espressivi di una condotta mobbizzante del datore di lavoro non può automaticamente condurre all’esclusione di una condotta ascrivibile a “straining” di quest’ultimo, posto che le due ipotesi – come detto poc’anzi – sono strutturalmente diverse.

 

Di qui, dunque, la decisione in commento, secondo cui, pur in assenza dei presupposti necessari a configurare un caso di “mobbing”, ben può configurarsi una responsabilità da “straining” in capo al datore di lavoro per il caso di elevata conflittualità tra dipendenti assoggettati al suo potere direttivo e/o disciplinare:

  • sia nel caso in cui “… il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori …
  • sia nel caso in cui il datore di lavoro “… ponga in essere comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si manifestino isolatamente o si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprire gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi ”.

A fondamento di tale sua decisione, la Suprema Corte ha, dunque, enunciato il principio in base al quale, ai sensi dell’art. 2087 c.c. “…. la conflittualità delle relazioni personali esistenti all’interno di un ufficio impone al datore di lavoro di adottare misure opportune per ripristinare la serenità necessaria per il corretto espletamento delle prestazioni lavorative, incluso il ricorso al potere disciplinare ….”.

Di qui, dunque, la necessità che il datore di lavoro, al fine di evitare di incorrere in responsabilità risarcitorie, intervenga, se del caso anche disciplinarmente, per mettere in atto azioni correttive tese a neutralizzare l’eccessiva conflittualità tra dipendenti ed il ripristino di un ambiente di lavoro sereno.

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Era una tranquilla serata estiva quando il destino decise di giocare un tiro mancino a due anime solitarie. La brezza marina trasportava nell’aria i profumi della cucina mediterranea, mentre sullo sfondo si stagliava l’eco dei gabbiani festaioli. E proprio lì, in quella cartolina vivente, un commercialista del lavoro di nome Graziano conobbe Chiara, una consulente del lavoro.

Graziano era il tipo che catalogava ogni esperienza come “attivo” o “passivo” nel bilancio emotivo della sua vita, mentre Chiara categorizzava le persone come fossero dei CUD, sempre pronta a scovare eventuali incongruenze. Quella sera, Graziano decise che avrebbe catalogato questo incontro come “attivo”. Fu durante una cena organizzata da uno stabilimento balneare, sulla spiaggia Versiliese, che il loro sguardo si incrociò tra una forchettata di spaghetti alle vongole e un sorso di Vermentino di Luni.

Il dialogo fra i due fu subito scintillante, pieno di battute fiscali, flirt amministrativi e ammiccamenti professionali. Graziano era affascinato dall’accuratezza con cui Chiara smontava ogni stratagemma burocratico, e lei non poteva fare a meno di ammirare la sua capacità di far quadrare bilanci più contorti di un episodio di “Lost”.

Fu subito amore… o così sembrava. Passati pochi anni, quello che sembrava un idillio amoroso iniziò a mostrare le prime crepe. Il povero Graziano cominciò a realizzare che il corredo di Chiara comprendeva pile di circolari interpretative e manuali su come sopravvivere all’APE (non l’insetto, ma l’anticipo pensionistico).

A sua volta, Chiara dovette confrontarsi con la passione smoderata di Graziano per i fogli Excel, talmente sexy da far impallidire persino un paio di tacchi a spillo 12 cm. Ma l’amore, è cieco, sordo e senza dubbio un po’ folle, quindi decisero di andare a convivere. La loro relazione oltre che sentimentale divenne anche un’associazione professionale. Dopo un po’, però cominciarono i diverbi ma tutti e due decisero di ignorare i campanelli d’allarme, sperando che fosse solo una fase temporanea e passeggera della loro relazione.

Tuttavia, come ogni trend economico che si rispetti, la curva della loro relazione cominciò ben presto a declinare e indicare lo “zero”, numero inequivocabile di un investimento sentimentale fallimentare. La sopportazione lasciò il passo a vere e proprie ostilità domestiche. Le discussioni non erano più sul chi avesse dimenticato cosa, ma su chi avesse elaborato più cedolini. Lei iniziò a non parlargli più, ma in compenso lo tempestava di messaggini che mettevano in risalto le proprie competenze in materia giuslavoristiche sostenendo che Lei aveva delle esclusive e Lui no; anzi, insisteva che Lui doveva smettere di qualificarsi quale consulente del lavoro, perché non lo era. Lui, dal canto suo, non si capacitava di cosa stava succedendo e soprattutto non ricordava nessuna circostanza in cui si fosse presentato come consulente del lavoro. Graziano ricevette anche un messaggino in cui Lei gli esponeva che era anche abilitata a tenere la contabilità, così avevano sentenziato i Tribunali.

La casa che un tempo echeggiava di risate e brindisi ora rimbombava solo di reciproche accuse su competenze, esclusive, errori di calcolo e scadenze mancate. Non più occhiate languide, ma frecciatine venate di sarcasmo, più taglienti di una notifica dell’Agenzia delle Entrate. Infine l’amore evaporò via, come un’evasione fiscale ben mascherata. Chiara e Graziano si separarono con la stessa freddezza con cui si stipula una rescissione di un contratto, promettendosi, comunque di restare “amici”, concetto tanto astratto quanto il saldo attivo di un bilancio fantastico.

Era chiaro a tutti i colleghi dei due che “questo matrimonio non s’ha da fare”. Oggi, Graziano e Chiara ricordano quell’estate con un misto di nostalgia e sollievo, coscienti che alla fine, nella vita come nella fiscalità, non tutti i crediti hanno una compensazione adeguata.

Ora li puoi trovare, ormai estranei, in spiagge diverse, a scrutare l’orizzonte con quegli occhi che una volta brillavano di complici entusiasmi professionali. Ognuno sta andando per la propria strada mantenendo le proprie caratteristiche e competenze.

Ogni tanto pensano che forse sarebbe stato meglio se quella sera avessero semplicemente scelto tavoli diversi… ma poi prendono atto che in amore, come nella gestione del personale, l’unica certezza sono gli imprevisti.

*ODCEC Lucca

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di Filippo Moschini*

Introduzione
Il divario di genere, si sa, è una tematica notoriamente al centro del dibattito pubblico degli ultimi anni.
Le disparità di genere sono ritenute uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo sostenibile, alla crescita economica e alla lotta contro la povertà.
Non a caso, il perseguimento della parità di genere è uno degli Obiettivi (il quinto) che nel 2015 le Nazioni Unite hanno fissato nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.
Allo stesso modo, in ambito europeo, la direttiva 2014/95/UE (recepita in Italia con D. Lgs 254/2016) che ha introdotto i fattori ESG, ha indicato la parità di genere tra i criteri principali del fattore “S” di Social e al fine di perseguire tale scopo l’Unione Europea ha varato un apposito piano denominato “Strategia per la Parità di Genere 2020 – 2025”.
E in Italia?

La normativa italiana in materia di pari opportunità e l’istituzione della certificazione della parità di genere delle organizzazioni.
In Italia vige il codice delle pari opportunità tra uomo e donna introdotto con D. Lgs 198/2006 e successivamente emendato a più riprese nel corso degli anni successivi, il quale sancisce il divieto di discriminazione tra uomo e donna in molteplici ambiti, tra cui anche quello all’accesso al lavoro, alla progressione di carriera e al trattamento retributivo.
Alla luce dei dati esistenti in merito alla situazione del divario di genere esistente in Italia ancora oggi, in tutta franchezza, non si può certo affermare che tale impianto normativo si sia rivelato al momento particolarmente efficace.
In data 5 agosto 2021 è stata presentata in Consiglio dei Ministri la prima Strategia Nazionale per la Parità di genere, la quale ha come orizzonte temporale il quinquennio 2021 – 2026 e che, sulla scia dell’analogo piano varato a livello europeo per il 2020 – 2025, traccia un sistema di azioni politiche integrate atte a intraprendere azioni concrete, definite e misurabili.
È esattamente nell’ambito di tale ultimo piano strategico che il Governo Draghi, al fine di introdurre uno strumento proattivo atto a favorire il perseguimento della parità di genere, con Legge n. 162 del successivo 5 novembre 2021 aggiungeva l’art. 46 bis del codice delle pari opportunità, il quale istituiva la certificazione della parità di genere a partire dal successivo 01.01.2022.
L’art. 46 bis, in particolare, demandava a un successivo decreto del Presidente del consiglio dei ministri la definizione dei parametri minimi per il conseguimento della suddetta certificazione.
Il decreto attuativo in questione veniva quindi emanato in data 29.04.2022 dal Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e prevedeva che i parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere fossero quelli stabiliti dalla Prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 pubblicata da UNI – Ente Italiano di Normazione il precedente il 16.03.2022.
Pare d’obbligo rammentare che UNI è un’associazione privata senza scopo di lucro nata nel 1921 e riconosciuta dallo stato italiano, nonché dall’Unione Europea, che da oltre 100 anni elabora, pubblica e diffonde gli standard delle norme tecniche a cui le imprese possono decidere di aderire volontariamente al fine di conseguire una certificazione in un determinato ambito.

Vantaggi e incentivi per le organizzazioni che si certificano
Prima di addentrarci nella descrizione del procedimento di certificazione e dei requisiti necessari al suo conseguimento, pare interessante affrontare il tema relativo agli incentivi per le organizzazioni che scelgono di certificarsi e agli ulteriori vantaggi di cui le stesse possono beneficiare sul mercato.

Sgravi contributivi: Il primo e forse più tangibile incentivo alle organizzazioni che conseguono la certificazione della parità di genere è lo sgravio contributivo di 1 punto % di cui le stesse possono beneficiare fino a un tetto massimo di € 50.000,00 annui. Si tratta di un incentivo concreto idoneo ad incidere direttamente sui costi del lavoro delle organizzazioni certificate, il quale, tuttavia, alla luce del carico contributivo su di esse gravante, pari a quasi il 30% della retribuzione lorda dei propri dipendenti, rischia di risultare non particolarmente allettante. Una decontribuzione di 1 punto % a fronte di un monte contributivo di quasi 30 punti %, infatti, determina una riduzione del costo contributivo a carico delle imprese di poco più del 3,3%. Al fine di rendere un ordine di grandezza, al fine di beneficiare per intero dello sgravio contributivo massimo di € 50.000,00 annui un’impresa dovrebbe avere un costo contributivo a proprio carico (esclusa quindi la quota a carico dei propri dipendenti) di oltre € 1,5 milioni.

Vantaggi ai fini del riconoscimento di fondi europei: Sempre ai sensi della legge 5 novembre 2021, n. 162, alle aziende che siano in possesso della certificazione della parità di genere è riconosciuto un punteggio premiale per la valutazione di proposte progettuali, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti.

Vantaggi nell’ambito della partecipazione a gare di appalto pubbliche: Ulteriori forme di incentivi in favore delle imprese in possesso di certificazione della parità di genere sono state introdotte anche dal nuovo Codice dei contratti pubblici introdotto con D. Lgs. 36/2023. L’art 106, comma 8, del Codice prevede una riduzione della garanzia del 20%, cumulabile con tutte le altre riduzioni previste dalla legge, in caso di possesso della certificazione della parità di genere. Inoltre, l’art. 108, comma 7, del Codice così come da ultimo modificato, dispone che le amministrazioni aggiudicatrici indichino, nei loro avvisi, un maggiore punteggio legato al possesso della certificazione della parità di genere.

La Prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 Organismo di certificazione: Al rilascio della certificazione della parità di genere alle imprese, in conformità alla UNI/PdR 125:2022, provvedono i soli organismi di certificazione accreditati ai sensi del regolamento CE 765/2008.
In Italia tali organismi sono solo quelli accreditati da Accredia, l’Ente italiano di accreditamento. Ad oggi esistono in Italia 52 organismi di certificazione accreditati per la certificazione della parità di genere. Il ruolo dell’organismo di certificazione non è quello di assistere e consigliare l’impresa nel corso della procedura di certificazione, bensì quello di verificare e attestare l’esistenza dei requisiti minimi in base a quanto previsto dalla prassi di riferimento dell’UNI. Le imprese hanno la facoltà di rivolgersi all’organismo di certificazione dalle stesse prescelto.
I parametri individuati per l’ottenimento della certificazione e il meccanismo di conteggio degli stessi

La PdR innanzitutto individua 6 specifiche Aree a ciascuna delle quali è associato uno specifico peso in percentuale, fatto 100 il peso complessivo di tutte le Aree:

1. Area cultura e strategia: peso 15%;
2. Area governance: peso 15%;
3. Area processi HR: peso 10%;
4. Area opportunità di crescita ed inclusione delle donne in azienda: peso 20%;
5. Area equità remunerativa di genere: peso 20%;
6. Area tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro: peso 20%.

Per ciascuna di tali 6 Aree sono individuati degli specifici KPI (Key Performance Indicator) di tipo qualitativo e quantitativo a ciascuno dei quali è associato uno specifico punteggio. Anche in questo caso, la somma dei punteggi associati ai KPI di un’Area porta a un punteggio complessivo di 100.
Complessivamente, i KPI individuati dalla PdR sono 33.

I KPI di tipo qualitativo sono misurati in termini di presenza o non presenza, mentre i KPI di tipo quantitativo sono misurati in termini percentuali e in particolare sono ritenuti raggiunti laddove la percentuale misurata nell’impresa eguagli o superi quella prevista dal KPI come minima.
L’organismo di certificazione verifica il possesso da parte dell’organizzazione che richiede la certificazione dei requisiti descritti in ciascun KPI.
All’esito della verifica viene attribuito all’impresa un punteggio in ciascuna delle 6 Aree di valutazione. Ad esempio, se in una determinata Area, il cui peso è pari al 15%, l’impresa consegue un risultato di 50 su 100, il punteggio attribuito all’impresa per detta Area è del 7,5%, ovvero il 50% del 15%.
Sommando i punteggi in termini percentuali conseguiti in tutte le Aree di valutazione l’organismo di certificazione perviene alla determinazione della percentuale complessiva di rispetto dei KPI da parte dell’organizzazione.
Ai fini del conseguimento della certificazione della parità di genere, l’organizzazione deve raggiungere quantomeno una percentuale complessiva del 60%, sommando i punteggi in termini percentuali conseguiti in ciascuna delle 6 Aree di valutazione.

I criteri di proporzionalità previsti dalla PdR
In considerazione dell’elevata eterogeneità in termini dimensionali delle organizzazioni certificabili e delle marcate differenze esistenti negli organici aziendali a seconda del settore merceologico di appartenenza, la Prassi di riferimento prevede l’applicazione di due distinti criteri di proporzionalità nella valutazione dei KPI.
Criterio dimensionale: La Prassi di riferimento ha ritenuto opportuno prevedere semplificazioni del processo di certificazione in favore delle imprese di più modeste dimensioni e a tal fine ha previsto i seguenti 4 differenti cluster dimensionali:

1. Micro imprese: da 1 a 9 addetti/e;
2. Piccole imprese: da 10 a 49 addetti/e;
3. Medie imprese: da 50 a 249 addetti/e;
4. Grandi imprese: 250 e oltre addetti/e.

Sulla base di tale classificazione, la Prassi di riferimento prevede che le imprese di 3^ e 4^ fascia (medie e grandi) vengano valutate su tutti i KPI di ciascuna Area, le imprese di 1^ e 2^ fascia (micro e piccole) vengano valutate solo su alcuni KPI di ciascuna area. In taluni casi, inoltre, un determinato
KPI ha un indice di valutazione differente a seconda della fascia di appartenenza dell’impresa soggetta a certificazione.
Criterio del settore industriale di appartenenza:
È notorio che il divario di genere nell’organico aziendale sia fortemente influenzato dal settore industriale in cui l’impresa opera. Ad esempio, settori quali l’edilizia o i trasporti e la logistica hanno una fortissima connotazione maschile come diretta conseguenza della tipologia di mansioni che vengono in prevalenza svolte in detti ambiti, mentre, per la medesima ragione, settori come il commercio, la sanità, l’istruzione o la ristorazione sono maggiormente neutri con riferimento alla tematica di genere.
Ai fini del raggiungimento di taluni KPI di tipo quantitativo, pertanto, la PdR prevede che l’impresa debba avere una certa differenza positiva in termini di punti percentuali rispetto alla media percentuale registrata per il KPI in esame nel settore industriale di appartenenza e riassunti in una apposita tabella (Appendice B della PdR)

Descrizione dei KPI suddivisi per aree di valutazione e in base ai criteri di personalizzazione
È quindi sulla base di tali regole e principi che la Prassi di riferimento implementa le tabelle descrittive dei KPI previsti per ciascuna area di valutazione qui di seguito riportate (la descrizione dei KPI è sintetizzata).

L’assetto organizzativo di cui l’organizzazione deve dotarsi ai fini dell’ottenimento e del successivo mantenimento della certificazione della parità di genere
La Prassi di riferimento non si limita a definire i parametri il cui raggiungimento è necessario ai fini del conseguimento della certificazione, ma definisce altresì in modo analitico l’assetto di cui l’organizzazione deve tassativamente dotarsi al fine di ottenere e mantenere la certificazione.
Tale assetto si basa sui seguenti elementi chiave:

– Definizione di una politica di parità di genere aziendale da parte dell’Alta Direzione (i.e. l’organo amministrativo dell’organizzazione);
– Costituzione di un Comitato Guida (che partecipa alla definizione della politica di genere);
– Realizzazione da parte del Comitato Guida di un Piano Strategico volto al raggiungimento dei KPI;
– Implementazione di un sistema di gestione idoneo a perseguire le azioni stabilite nel Piano Strategico, a monitorare il mantenimento dei risultati e a conseguire ulteriori miglioramenti.

Per ciascuno di tali ambiti la Prassi di riferimento fornisce indicazioni assai dettagliate in merito ai requisiti richiesti.

Politica di parità di genere
La stessa deve individuare e descrivere i principi e le linee guida adottati dall’impresa con riferimento ai temi relativi alla parità di genere, alla valorizzazione delle diversità e all’empowerment femminile. La Politica di parità di genere deve essere ovviamente orientata al raggiungimento dei KPI prima descritti e deve essere:

– comunicata e diffusa all’interno della organizzazione con pubblicazione sul sito internet aziendale;
– oggetto di formazione e sensibilizzazione verso il management aziendale;
– revisionata o confermata periodicamente;
– coordinata da una figura responsabile in possesso di competenze organizzative e di genere, la quale dovrà avere responsabilità, autorità e budget adeguati alla sua persecuzione.

Il Comitato guida
Tale comitato partecipa alla definizione della politica di parità di genere assieme all’Alta Direzione ed è inoltre incaricato di definire e successivamente implementare il Piano Strategico.
Il Comitato guida, in base alle dimensioni dell’impresa, deve essere composto almeno dall’amministratore delegato, o da un delegato dalla proprietà, e dal direttore del personale, o altra figura equivalente.
Il Piano Strategico
Si tratta del documento programmatico che definisce per ciascun tema individuato dalla politica di parità di genere obiettivi semplici, misurabili, raggiungibili, realistici e pianificati nel tempo.
Pur effettuando un richiamo ai temi individuati nella politica di parità di genere aziendale è poi la stessa
Prassi di riferimento a indicare espressamente i principali temi che il Piano Strategico deve trattare e i requisiti minimi per ciascun tema:

  • Selezione e assunzione: procedure di selezione e assunzione che prevengano disparità di genere, descrizione delle mansioni neutra, reclutamento rivolto a uomini e donne, nessuna domanda nei colloqui relativa a matrimonio, gravidanza e responsabilità di cura;
  • Gestione della carriera: sviluppo professionale e promozioni basate solo sulle capacità e sui livelli professionali, bilanciamento di genere nelle posizioni apicali, opportunità e piani di crescita professionale aperti a tutto l’organico aziendale, rapporto su parità di genere ex art. 46 CPO e sistema di monitoraggio, ambiente lavorativo inclusivo e che promuova il benessere, formazione in favore del genere meno rappresentato per creare migliori opportunità professionali;
  • Equità salariale: mansionari aziendali che permettano una verifica della equità salariale tra addetti alla stessa mansione, meccanismo di controllo che eviti discriminazioni su retribuzione, benefit, bonus e welfare, politiche retributive pubbliche e trasparenti, welfare impostato per ogni genere di età;
  • Genitorialità e cura: programmi per congedi parentali, piano per varie fasi della maternità, promozione dei congedi di paternità, supporto al rientro dal congedo parentale, iniziative di supporto ai genitori nel piano welfare, servizi a favore dei figli;
  • Conciliazione dei tempi vita lavoro: misure per garantire l’equilibrio vita-lavoro, favorire part-time volontario, flessibilità orario lavorativo, valutazione esigenze di flessibilità del personale, smart working o telelavoro, riunioni in orari compatibili con la vita privata, nei riguardi dei part-time e nei confronti di chi ha orario flessibile;
  • Prevenzione di abusi sul luogo di lavoro: mappare i rischi di abuso, preparare un piano di prevenzione, effettuare formazione su tolleranza zero, adottare un sistema di segnalazione anonima di abusi, effettuare verifiche coi dipendenti su abusi subiti, analizzare eventi segnalati.

Il Piano Strategico deve essere strutturato nel rispetto delle seguenti fasi:

  • identificazione dei processi aziendali correlati ai temi relativi alla parità di genere individuati;
  • identificazione dei punti di forza e di quelli di debolezza rispetto ai temi;
  • definizione degli obiettivi;
  • definizione delle azioni decise per colmare i gap;
  • definizione, frequenza e responsabilità di monitoraggio dei KPI definiti dalla Prassi di riferimento e applicabili in base alle dimensioni dell’impresa.

Il Piano Strategico, inoltre, deve essere condiviso dalla direzione e aggiornato periodicamente.
L’impresa deve prevedere istruzioni scritte in merito alle modalità di attuazione delle azioni previste dal piano nonché dei monitoraggi ivi previsti e deve altresì assicurare una adeguata formazione in favore di tutto il personale non solo con riferimento ai contenuti e agli adempimenti del piano bensì anche e più in generale sulla politica di parità di genere adottata dall’impresa nel suo insieme.
In ultimo, è interessante ed emblematico notare come la predisposizione del piano strategico, che ha come finalità principale il raggiungimento dei KPI previsti dalla Prassi di riferimento è essa stessa uno dei KPI (qualitativo) in questione e in particolare il primo KPI della prima Area di valutazione.

Il Sistema di Gestione
Un sistema di gestione è quell’insieme di regole e procedure che una impresa si determina ad applicare allo scopo di raggiungere degli obiettivi definiti. La Prassi di riferimento delinea i principali aspetti del sistema di gestione di cui l’impresa deve dotarsi al fine di garantire il mantenimento nel tempo dei requisiti definiti dalla Prassi stessa e quindi necessari ai fini della
certificazione.
Documentazione del sistema: corretta gestione delle policy e delle procedure adottate dall’impresa sotto il profilo della loro preparazione, approvazione e modifica, dell’individuazione della versione aggiornata e della pubblicità delle stesse; corretta identificazione, aggiornamento e comunicazione dei requisiti normativi in materia di parità di genere; raccolta e analisi dei dati aziendali suddivisi per genere.
Monitoraggio degli indicatori: raccolta e analisi dei dati relativi ai KPI previsti dal Piano strategico, valutazione dell’andamento di tali KPI in base alle frequenze previste dal piano e adozione di azioni correttive a fronte di scostamenti.

Comunicazione interna ed esterna: predisposizione di un piano di comunicazione relativo all’impegno dell’impresa sui temi della parità di genere e
divulgazione dello stesso; adozione di una strategia di comunicazione interna ed esterna responsabile e rispettosa verso i temi di genere, coerente con i principi e gli obiettivi della politica di parità di genere adottata dall’impresa e allineata ai valori e alla cultura aziendale; individuazione delle parti interessate con le quali instaurare una comunicazione rispetto ai temi di parità di genere soprattutto in ambito lavorativo.
Audit interni: pianificazione, attuazione e rendicontazione di un sistema di audit interni volti alla verifica della reale ed efficace applicazione della politica e delle direttive aziendali sulla parità di genere nonché sul rispetto delle istruzioni e delle procedure a tal fine definite. Organizzazione degli audit in base alle modalità definite dalla UNI EN ISO 19011 con team indipendenti rispetto alle attività verificate, adeguatamente competenti e bilanciati in termini di genere. Gli audit hanno la finalità di accertare in modo oggettivo quali delle attività verificate risultano conformi e quali risultano invece difformi.
Principali tipologie di evidenze (attività) oggetto di audit: evidenze quantitative, ovvero misurabili oggettivamente, quali esistenza del report di monitoraggio dei KPI, esistenza del budget per la
parità di genere, esistenza di report di monitoraggio delle situazioni non conformi, esistenza di programmi formativi sulla parità di genere, corretta compilazione e utilizzo delle check list, assenza/presenza di contenzioso avente ad oggetto temi di parità di genere; evidenze qualitative, ovvero oggetto di valutazione, quali corretto aggiornamento della politica di parità di genere e del Piano strategico, correttezza della comunicazione interna ed esterna, adeguato coinvolgimento delle parti interessate, adeguata diffusione della cultura di parità di genere all’interno dell’organizzazione aziendale, eventuale partecipazione ad attività esterne.
Gestione situazioni non conformi: adeguato sistema di raccolta, mappatura e gestione delle situazioni non conformi con riferimento ai KPI previsti dalla Prassi di riferimento (report riepilogativo delle deviazioni riscontrate rispetto ai requisiti individuati dalla Prassi, delle segnalazioni interne e dei reclami ricevuti e degli incidenti denunciati nonché delle azioni correttive adottate per la loro risoluzione); adozione di adeguate procedure che garantiscano sia la tempestiva segnalazione delle situazioni non conformi all’interno e se necessario all’esterno dell’impresa, sia la tempestiva attuazione di azioni volte a rimuovere le cause della situazione non conforme segnalata.
Revisione periodica: demandata all’alta direzione e al comitato guida ed effettuata su base annuale, ha ad oggetto i temi individuati nel piano strategico con riferimento ai risultati della loro attuazione, alla loro congruità nel tempo, alla necessità di ulteriori esigenze formative e alla necessità di aggiornamenti anche in base ai cambiamenti normativi.
Miglioramento: in base all’esito della revisione soprattutto con riferimento ai risultati ottenuti il piano strategico e/o gli altri documenti del sistema di gestione possono essere integrati con nuovi obiettivi sempre misurabili, specifici, raggiungibili e realistici.

Conclusioni
La certificazione della parità di genere rappresenta indubbiamente un ottimo strumento per favorire la crescita nel tessuto imprenditoriale italiano di una cultura con riferimento a tale tematica e per attenuare le disparità di genere ancora esistenti che, soprattutto in ambito lavorativo, vedono l’Italia tristemente all’ultimo posto in ambito europeo.
A fronte del notevole “commitment” richiesto alle imprese per conseguire tale certificazione dei costi ad essa connessi e delle agevolazioni, forse non particolarmente allettanti, previste in favore delle imprese che si avviano a tale percorso, si ritiene che forse nel breve termine difficilmente tale strumento riuscirà ad avere una forte penetrazione tra le imprese, soprattutto di modeste dimensioni.
A tendere, tuttavia, si ritiene che la progressiva diffusione tra le imprese di politiche di sviluppo sostenibile nello svolgimento delle proprie attività (vuoi per obblighi normativi, vuoi per ragioni di accesso al credito o di presidio del mercato) porterà a una progressiva diffusione di tale certificazione.
Esaminando la Prassi di riferimento introdotta da UNI, personalmente avrei apprezzato una maggiore presenza di KPI di tipo quantitativo e un minor ricorso a KPI di tipo qualitativo (il rapporto è infatti di circa 1 a 2).
Pur comprendendo la finalità perseguita da UNI di collocare il processo di certificazione in un percorso di presa di coscienza e di crescita della cultura di genere all’interno del contesto aziendale e pur comprendendo la necessità di richiedere alle aziende che si certificano una significativa strutturazione a livello organizzativo, di processi e di policy, vedo in tale sbilanciamento un rischio di proliferazione all’interno delle organizzazioni di dichiarazioni di intenti, buoni propositi e procedure virtuose che non sempre sono indice di un significativo miglioramento in termini rigorosamente analitici e percentuali della condizione femminile all’interno dell’organico aziendale. In altre parole, un rischio non trascurabile di “pink washing”.

*Avvocato in Milano

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di Davide Achille Daolio*

IL 2024 SI È CHIUSO CON INCERTEZZE
Il 2024 si è concluso in un clima di incertezze che permea il panorama economico e sociale. Tuttavia, in un contesto complesso, esistono strumenti capaci di offrire una visione più chiara del futuro. Tra questi, la demografia si distingue come una delle discipline più affidabili per prevedere, con alto grado di certezza, i cambiamenti della società e del mercato del lavoro nei decenni a venire.


L’IMPATTO DEL DECLINO DEMOGRAFICO SULL’ITALIA
I dati parlano chiaro: l’Italia vive un calo demografico inarrestabile da oltre quindici anni. Dal 2006 la popolazione residente non cresce più naturalmente e, al dicembre 2022, il numero di abitanti è sceso sotto i 59 milioni, registrando un calo di oltre un milione e mezzo rispetto al picco del 2014.
Parallelamente, il tasso di natalità è tra i più bassi al mondo, con una media di 1,20 figli per donna, ben lontano dalla soglia di sostituzione generazionale di 2,1 figli.
Questo fenomeno è accompagnato da un invecchiamento marcato della popolazione: l’età media ha superato i 48 anni, posizionando l’Italia tra i paesi più anziani insieme a Germania e Giappone. Tale squilibrio comporta conseguenze profonde sul sistema pensionistico, sul mercato del lavoro e sulla forza lavoro disponibile.


LA FORZA LAVORO: DATI STORICI E SCENARI FUTURI
Negli ultimi tre decenni il calo delle nascite ha creato uno squilibrio crescente tra coloro che entrano (15 anni) ed escono (65 anni) dalla fascia di età lavorativa.
Il saldo demografico negativo è una costante dal 1995, quando i quindicenni erano già meno dei sessantacinquenni.
Tuttavia, per anni l’effetto negativo è stato compensato da due fattori:

  1. Saldo migratorio positivo:

    • Nei primi anni Duemila, la migrazione netta ha giocato un ruolo chiave nell’aumentare la forza lavoro.
    • Nei cinque anni precedenti la crisi del 2007-2008, il saldo migratorio medio era di 313.000 unità annue; recentemente, tale saldo si è ridotto a una media di 160.000 unità.
  2. Aumento della partecipazione al lavoro:

    • Dal 1990 al 2019 il tasso di partecipazione (percentuale di persone dai 15 ai 64 anni che lavorano o cercano attivamente un impiego) è salito dal 60% al 66%.

Nonostante questi fattori compensativi, il futuro appare più problematico. Secondo le proiezioni ISTAT, tra il 2025 e il 2040 il saldo demografico peggiorerà ulteriormente, con un deficit medio di oltre 400.000 persone l’anno tra chi entra e chi esce dall’età lavorativa. Anche il saldo migratorio, nello scenario mediano, si stabilizzerà su livelli inferiori, aggravando il calo della forza lavoro.


EFFETTI SUL MERCATO DEL LAVORO E SULLE IMPRESE
L’impatto del declino demografico si manifesta già oggi:

  • Tasso di occupazione:

    • Il tasso di occupazione italiano ha raggiunto il record del 62,2% nel 2024, ma questo miglioramento è in parte illusorio, essendo dovuto più alla contrazione della popolazione complessiva che a un incremento reale dei posti di lavoro.
  • Sfide principali:

    1. Squilibrio tra domanda e offerta di lavoro:
      • La carenza di giovani qualificati rende più difficile per le imprese reperire personale con competenze aggiornate, aumentando la necessità di investire in formazione interna o attrarre lavoratori dall’estero.
    2. Ridefinizione dei ruoli lavorativi:
      • La scarsità di manodopera potrebbe accelerare l’adozione di tecnologie e automazione, portando alla scomparsa di professioni tradizionali e alla nascita di nuove opportunità in settori innovativi.
    3. Pressioni sul sistema di welfare:
      • L’aumento del rapporto tra pensionati e lavoratori attivi richiederà riforme strutturali, potenzialmente con un incremento della tassazione o una revisione delle prestazioni pensionistiche.

STRATEGIE PER IL FUTURO
Per mitigare l’impatto del declino demografico è necessario un intervento coordinato su più fronti:

  1. Incentivare la partecipazione al lavoro:

    • Colmare il divario di genere nella partecipazione al mercato del lavoro, attualmente con un differenziale di quasi 20 punti percentuali, potrebbe aumentare significativamente la forza lavoro complessiva e portare l’Italia ai livelli occupazionali delle economie del Nord Europa.
    • Il supporto all’inserimento di giovani, Neet (Not in Employment, Education or Training) e lavoratori over 65 sarà determinante, come dimostra l’esperienza giapponese.
  2. Promuovere la natalità:

    • Incentivare politiche familiari efficaci, nonostante l’impatto sull’aumento delle nascite si manifesti solo a lungo termine, è essenziale per garantire la sostenibilità demografica e la continuità socio-culturale del Paese.
    • Interventi mirati sui servizi educativi, congedi parentali e sostegni economici per le famiglie sono fondamentali.
  3. Investimenti in formazione e innovazione:

    • La formazione continua e l’adozione di nuove tecnologie saranno cruciali per aumentare la produttività e affrontare le trasformazioni del mercato del lavoro.
    • Le imprese dovranno creare ambienti di lavoro attrattivi per i giovani talenti e sfruttare appieno le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale e dall’automazione.

L’obiettivo non è solo contenere i danni, ma costruire un sistema più resiliente, dinamico ed inclusivo. Il declino demografico non può essere ignorato: va governato con decisione e coraggio, trasformandolo in un’opportunità per ripensare le priorità, valorizzare il capitale umano e rilanciare il Paese con nuove strategie di sviluppo.


CONCLUSIONI
Siamo uno dei Paesi alla frontiera della transizione demografica. Essere la prima nazione a trovare soluzioni efficaci per il futuro del lavoro consentirà all’Italia di primeggiare nella vendita ed esportazione di rimedi a un problema secolare, che ben presto interesserà tutti gli Stati.

*Corporate Sales Manager

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di Marialuisa De Cia*

In attesa di una organica – seppur temuta – riforma delle pensioni, anche quest’anno la Legge Finanziaria n. 207 del 30 dicembre 2024, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 305 del 31 dicembre 2024 ed entrata in vigore il 1° gennaio 2025, interviene con proroghe di strumenti di accesso pensionistici già consolidati e con qualche timida novità.
Di seguito una analisi “a caldo”, in attesa di ulteriori approfondimenti tramite le prassi e i decreti ove previsti.


MONTANTE CONTRIBUTIVO (commi 169-170)

Ecco la prima “timida” novità.
Per tutti i nuovi assicurati dal 1 gennaio 2025 presso l’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO), le relative forme sostitutive ed esclusive – compresa la Gestione Separata – potranno, al primo accredito contributivo, optare per un incremento della contribuzione fino a un massimo di 2 punti percentuali.
Il maggior versamento, interamente a carico del soggetto, è finalizzato a incrementare il montante contributivo sul quale verrà calcolato l’assegno pensionistico alla maturazione dei requisiti anagrafici per l’accesso alla pensione di vecchiaia, con le seguenti precisazioni:

  • La maggiorazione dell’assegno pensionistico va richiesta al momento del pensionamento.
  • Non influisce sulla maturazione degli importi soglia (per i contributivi puri, come nel caso dei soggetti con contribuzione post 1 gennaio 2025, l’accesso a pensione di vecchiaia contributiva – attualmente 20 anni di anzianità – o ordinaria – attualmente 67 anni – è subordinato a un requisito reddituale, che sarà evidenziato successivamente).
  • La deducibilità ai sensi dell’art. 10 del TUIR è prevista nella misura del 50% dell’importo versato.

Per ulteriori approfondimenti si attende un decreto del Ministero del Lavoro e del MEF che regolamenterà le modalità di esercizio e di recesso.
Attenzione: se, a seguito di riscatti, l’anzianità contributiva risulta antecedente al 2025, le somme aggiuntive versate saranno considerate improprie e soggette a restituzione entro il limite prescrizionale.


CAMBIO TITOLO PENSIONISTICO (comma 172)

Con l’abrogazione dell’art. 2-ter della Legge n. 114/1974 si elimina la possibilità di ricalcolare pensioni da gestioni speciali per lavoratori autonomi utilizzando le norme AGO per i lavoratori dipendenti. Tale modifica:

  • Rende definitiva la gestione originaria di liquidazione.
  • Esclude ricalcoli dal sistema contributivo a quello misto.
  • I parametri di calcolo adottati in sede di liquidazione, compresi i coefficienti di trasformazione, non saranno oggetto di rideterminazione.

OPZIONE DONNA (comma 173)

Una ulteriore proroga di Opzione Donna, “copia-incolla” da 2023 a 2024.
Nata con la legge 23 agosto 2004 n. 243, Opzione Donna celebra ad agosto 2024 i suoi primi 20 anni di precariato, essendo ancora necessaria una proroga annuale per mantenere i suoi effetti.
Sintesi delle condizioni attuali per accedere a questo accesso pensionistico anticipato riservato alle donne:

  • Età anagrafica:
    • 61 anni per le donne nate entro il 31 dicembre 1963, ridotta di un anno per ogni figlio, fino a un massimo di 2 anni (donne nate entro il 31 dicembre 1965).
    • Il requisito deve essere perfezionato entro il 31 dicembre 2024.
  • Contribuzione minima:
    • Almeno 35 anni di contribuzione effettiva (al netto della contribuzione figurativa, es. Naspi).
    • Nota: la contribuzione in Gestione Separata o in casse libero-professionali non conta per i 35 anni effettivi salvo ricongiunzione (ovviamente onerosa).
  • Ulteriori requisiti (alternativi):
    • Assistenza, per almeno sei mesi, al coniuge o a un parente convivente di primo grado in situazione di grave handicap (ai sensi dell’art. 3, comma 3, della Legge n. 104/1992) oppure a un parente o affine di secondo grado, qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano compiuto 70 anni o siano anch’essi affetti da patologie invalidanti, deceduti o mancanti (con necessità di convivenza).
    • Riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti Commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile, pari o superiore al 74%.
    • Per lavoratrici dipendenti o licenziate da imprese con attivo un tavolo di confronto per la crisi aziendale (ai sensi dell’art. 1, comma 852, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296), la riduzione massima di 2 anni dell’età si applica indipendentemente dal numero di figli.
  • Decorrenza del trattamento pensionistico:
    • Deve trascorrere un periodo definito “finestra mobile”:
      • 12 mesi se il trattamento è liquidato a carico delle forme di previdenza dei lavoratori dipendenti.
      • 18 mesi se liquidato a carico delle gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi.
  • Calcolo dell’assegno pensionistico:
    • Con l’accesso a Opzione Donna si rinuncia al calcolo con il sistema misto a favore del sistema interamente contributivo.

QUOTA 103 (comma 174)

Un’altra soluzione “copia-incolla”: non vi sono novità, se non il posticipo al 2025 delle condizioni di cui all’art. 14.1 del Decreto-legge n. 4 del 28 gennaio 2019 convertito in legge n. 26 del 28 marzo 2019 (già prorogato con modifiche).
Si tratta di un accesso anticipato a pensione per chi può far valere:

  • Un’età anagrafica di almeno 62 anni.
  • Un’anzianità contributiva minima di 41 anni.
    I requisiti devono essere perfezionati entro il 31 dicembre 2025, pur consentendo la presentazione della domanda pensionistica anche successivamente, come per Opzione Donna.
    Attenzione:
  • Il calcolo della pensione avverrà con il sistema interamente contributivo, anziché misto.
  • Fino al raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia (67 anni), l’assegno non potrà superare 5 volte il valore del trattamento minimo INPS (per il 2024 euro 2.394,44 lordi al mese, rivalutati per il 2025); al 67esimo anno si accederà all’assegno effettivamente maturato.
  • L’erogazione dell’assegno è subordinata al decorso delle “finestre mobili”: 7 mesi per il settore privato e 9 mesi per il settore pubblico.
  • Rimane confermata l’incumulabilità della pensione con redditi da lavoro fino alla maturazione della pensione di vecchiaia, salvo la possibilità di prestazioni occasionali entro il limite di euro 5.000,00 annui.
  • In merito all’incompatibilità con redditi da lavoro (subordinato e/o autonomo), si citano la Sentenza n. 42/2022 del Tribunale di Lucca e la sentenza della Corte di Appello di Firenze n. 604/2022, che hanno riconosciuto la non equità della sanzione (trattenuta per l’intero anno) in presenza di redditi da lavoro molto contenuti.

Inoltre, le limitazioni e l’innalzamento dei limiti contributivi (41 anni) rendono questo accesso meno interessante: per le donne, ad esempio, la pensione anticipata spetta con 41 anni e 10 mesi di contribuzione (più tre mesi di finestra) contro 41 anni e 7 mesi per l’assegno in quota 103. Questo anticipo di 4 mesi giustifica il calcolo contributivo e l’eventuale livellazione sul massimale fino a 67 anni? È necessaria un’analisi approfondita sul reale beneficio di questo accesso.


APE SOCIALE (comma 175)

Anche l’Ape Sociale è stata prorogata fino al 31 dicembre 2025, posticipando anche per quest’anno l’accesso a questa forma di anticipo pensionistico, riservata a determinate condizioni fino al raggiungimento del requisito per la pensione di vecchiaia.
Possono richiederla coloro che:

  • Hanno un’età anagrafica di 63 anni e 5 mesi.
  • Alternativamente, devono possedere:
    • Almeno 30 anni di anzianità contributiva e risultare disoccupati per:
      • Cessazione del rapporto per licenziamento (individuale o collettivo);
      • Dimissioni per giusta causa;
      • Risoluzione consensuale in sede protetta;
      • Scadenza di un contratto a termine, purché vi sia stata almeno una prestazione lavorativa di 18 mesi negli ultimi 36 mesi.
    • Essere Caregiver (ovvero, addetti alla cura di un soggetto con handicap) con almeno 30 anni di anzianità contributiva e, da almeno sei mesi, assistenza a un familiare convivente (coniuge, parente di primo grado in situazione di gravità, o parente/affine di secondo grado se i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano più di 70 anni, siano deceduti o mancanti).
    • Avere una riduzione della capacità lavorativa, con invalidità civile riconosciuta pari o superiore al 74% e almeno 30 anni di anzianità contributiva.
    • Essere lavoratori subordinati addetti ad attività usuranti con almeno 36 anni di anzianità contributiva, di cui almeno 7 negli ultimi 10 anni (per operai edili, ceramisti e conduttori di impianti di ceramica e terracotta, l’anzianità minima richiesta è di 32 anni).
  • Assegnazione:
    L’assegno pensionistico, liquidato in 12 mensilità, è pari all’importo maturato alla data della richiesta, con un limite massimo di euro 1.500,00, erogato fino all’accesso alla pensione di vecchiaia (attualmente 67 anni).
    Non è cumulabile con redditi da lavoro (autonomo e/o subordinato), salvo quelli occasionali fino a euro 5.000,00 annui.
  • La domanda di accesso ad Ape Sociale deve essere presentata tramite apposita richiesta di riconoscimento delle condizioni, con scadenze il 31 marzo, il 31 luglio e comunque non oltre il 30 novembre di ciascun anno (art. 29 Legge 203/2024).
    Una volta ottenuta l’autorizzazione, il trattamento potrà essere richiesto anche successivamente, anche oltre il 31 dicembre 2025.

INCREMENTO DELLE PENSIONI E DELLE MAGGIORAZIONI SOCIALI PER I PENSIONATI IN CONDIZIONI DI DISAGIO (comma 177)

Per il 2025 e il 2026, oltre alla perequazione automatica, sono previsti incrementi aggiuntivi per i trattamenti pensionistici:

  • Se l’assegno pensionistico è pari o inferiore al trattamento minimo mensile INPS:
    • 2025: incremento pari al 2,2%.
    • 2026: incremento pari all’1,3% (non cumulabile con quello del 2025).
  • L’incremento:
    1. Non è rilevante per il superamento dei limiti reddituali per il riconoscimento delle prestazioni collegate al reddito.
    2. Rientra nel reddito imponibile ai fini della tassazione.
    3. Si applica su tutte le mensilità, esclusa la 14ª.
    4. Prevede correttivi per assegni pensionistici poco superiori al minimo INPS.

Inoltre, il comma 178 ha previsto per il solo 2025 un incremento mensile di euro 8,00 per le maggiorazioni sociali sulle pensioni minime e sugli assegni sociali, con un innalzamento di euro 104,00 del limite massimo di reddito oltre il quale tale incremento non è dovuto.


PEREQUAZIONE AUTOMATICA DEI TRATTAMENTI DI PENSIONE PER L’ANNO 2025 PER I RESIDENTI ALL’ESTERO (comma 180)

Per scoraggiare l’esodo verso paradisi fiscali o presunti tali, per il 2025 alle pensioni superiori al trattamento minimo INPS non verrà riconosciuta la rivalutazione automatica.
È previsto un meccanismo di adeguamento, pari al limite maggiorato per le pensioni di poco superiore al minimo.


PENSIONE DI VECCHIAIA PER LAVORATRICI CON 4 O PIÙ FIGLI (comma 179)

Per i trattamenti pensionistici calcolati esclusivamente con il sistema contributivo, le lavoratrici con quattro o più figli possono beneficiare di:

  • Un anticipo pensionistico di sedici mesi rispetto al requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia,
    oppure
  • L’applicazione del moltiplicatore relativo all’età di accesso al trattamento pensionistico.

PREVIDENZA COMPLEMENTARE (commi 181-185)

Per incentivare il ricorso alla previdenza complementare, viene introdotto il “cumulo” delle rendite maturate presso i fondi, utile per raggiungere un importo soglia necessario all’accesso al trattamento pensionistico.
La disposizione, applicabile dal 1 gennaio 2025, riguarda i trattamenti liquidati con il sistema contributivo (per il sistema misto non è richiesto un importo soglia).

  • Un decreto del Ministero del Lavoro e del MEF definirà i criteri di computo e le modalità di richiesta e certificazione della rendita.
  • Sarà richiesta una contribuzione minima:
    • Dal 1 gennaio 2025: almeno 25 anni (invece dei 20 anni precedenti).
    • Dal 1 gennaio 2030: l’asticella sale a 30 anni.
  • L’erogazione del trattamento pensionistico con il cumulo non consente l’esercizio di attività lavorativa fino al raggiungimento del requisito di pensione di vecchiaia (67 anni), salvo prestazioni occasionali fino a un reddito massimo di euro 5.000,00.
  • Importi soglia (già modificati dalla Legge 30 dicembre 2023 n. 213, con effetto dal 1 gennaio 2024):
    • Per l’accesso alla pensione di vecchia contributiva (oltre a 20 anni di anzianità e un’età attuale di 64 anni), l’assegno pensionistico deve essere almeno pari a:
      • 3 volte l’importo mensile dell’assegno sociale,
      • Ridotto a 2,8 volte per le donne con un figlio,
      • E a 2,6 volte per le donne con due o più figli.
        Se l’assegno supera 5 volte il trattamento minimo, la quota eccedente non verrà riconosciuta fino alla pensione di vecchiaia ordinaria (67 anni).
    • Dal 1 gennaio 2030, il valore di 3 volte verrà aumentato a 3,2 volte.

INCENTIVO PER LA PROSECUZIONE DELL’ATTIVITÀ LAVORATIVA DOPO IL CONSEGUIMENTO DEI REQUISITI PER IL TRATTAMENTO PENSIONISTICO ANTICIPATO (comma 161)

È stato prorogato l’incentivo al posticipo del pensionamento introdotto per il 2024.
Questo incentivo consente al lavoratore dipendente, in possesso dei requisiti per l’accesso a pensione con Quota 103, di optare per la corresponsione in busta paga della quota di contribuzione IVS a suo carico (di regola il 9,19%), rinunciando all’accesso immediato al trattamento pensionistico.
A differenza del 2024, l’incentivo:

  • Non costituirà reddito da lavoro dipendente.
  • Verrà erogato al lavoratore al netto delle trattenute fiscali.

La mancanza di norme stabili e strutturali rende complessa una pianificazione attenta delle scelte pensionistiche, specialmente per chi è vicino all’uscita dal mondo del lavoro e per le aziende che valutano un ricambio generazionale. Le continue proroghe degli accessi a pensione, con relative limitazioni e decurtazioni, impediscono analisi a lungo termine.

*ODCEC Milano

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La Commissione di Certificazione dei contratti di lavoro è stata istituita in Italia con il Decreto Legislativo n. 276/2003 (Decreto Biagi) per rispondere alla crescente esigenza di maggiore chiarezza e trasparenza nei rapporti di lavoro. L’obiettivo principale è verificare che i contratti di lavoro siano conformi alla normativa nazionale e ai diritti dei lavoratori, garantendo sia la correttezza delle caratteristiche contrattuali sia la qualificazione adeguata del rapporto di lavoro.

Accanto alla funzione di ridurre il contenzioso, la legge assegna alle Commissioni di certificazione anche altri compiti volti a raggiungere diversi obiettivi, come supportare le parti nel chiarimento della loro volontà negoziale o consentire la cosiddetta “derogabilità assistita”, ovvero la possibilità di derogare a clausole o diritti disponibili con l’assistenza di un terzo soggetto.


Funzioni principali delle Commissioni

  • Certificazione dei contratti di lavoro (art. 75, D.Lgs. 276/2003): garantire una qualificazione chiara e certa dei rapporti di lavoro.
  • Certificazione dei contratti di appalto (art. 84): distinguere tra appalto legittimo e somministrazione di lavoro non conforme.
  • Certificazione di rinunce e transazioni riguardanti i diritti derivanti da un rapporto di lavoro, rendendole inoppugnabili ai sensi dell’art. 2113 c.c. (art. 82).
  • Consulenza e assistenza alle parti contrattuali: focalizzata sulla disponibilità dei diritti e sulla corretta qualificazione dei contratti di lavoro (art. 81).
  • Certificazione delle clausole compromissorie: le parti scelgono di affidare eventuali controversie a un collegio arbitrale (art. 31, legge 183/2010).
  • Certificazione dell’assenza dei requisiti per applicare la disciplina del lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione (art. 2, D.Lgs. 81/2015).

Ambiti di applicazione

La certificazione dei contratti di lavoro può essere effettuata da diverse commissioni istituite presso:

  • Ispettorati Territoriali del Lavoro (ITL).
  • Università (pubbliche o private) e fondazioni universitarie attraverso i dipartimenti specializzati in diritto del lavoro.
  • Ordini professionali dei consulenti del lavoro.
  • Enti bilaterali.

di Matteo D’Ambrosio
Noi & il lavoro | Gennaio – Febbraio 2025 – Anno V n. 1


Esempio pratico

Un esempio concreto della fattibilità e dell’utilità della Commissione è rappresentato dalla convenzione stipulata tra il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e l’Università degli Studi di Tor Vergata di Roma, che ha dato vita a una collaborazione concreta e mirata.

La certificazione può essere attivata su iniziativa volontaria, tramite richiesta del prestatore di lavoro o del datore di lavoro.


Il processo di certificazione

Il processo si articola in diverse fasi:

  • Presentazione dell’istanza
  • Verifica della documentazione
  • Eventuale audizione delle parti
  • Rilascio del certificato, qualora i requisiti siano soddisfatti

La procedura deve essere completata entro 30 giorni dalla ricezione della domanda o dalle integrazioni eventualmente richieste dalla Commissione. È possibile presentare ricorso al TAR entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento di certificazione.

Al termine del processo, la Commissione redige un atto formale di certificazione, avente valore di provvedimento amministrativo motivato. Tale atto:

  • Specifica i mezzi di impugnazione disponibili
  • Indica i termini per farvi ricorso
  • Identifica l’autorità competente
  • Include gli effetti civili, amministrativi, previdenziali e fiscali legati alla certificazione

Per i contratti già in atto, gli effetti della certificazione si applicano retroattivamente all’inizio del rapporto, se la Commissione verifica che il contratto sia stato attuato conformemente ai termini da certificare. Per i contratti sottoposti a certificazione prima della firma, gli effetti decorrono solo dopo la sottoscrizione, incluse eventuali integrazioni o modifiche deliberate dalla Commissione.

La certificazione può essere opposta, fino a una sentenza definitiva, a soggetti terzi come:

  • Organismi ispettivi e di vigilanza
  • Istituti previdenziali e assistenziali
  • Amministrazione finanziaria
  • Ispettorato Nazionale del Lavoro

L’opposizione può essere invalidata qualora un magistrato civile o amministrativo accolga uno dei ricorsi previsti dalla legge.


Motivi di opposizione

I principali motivi di opposizione includono:

  1. Errore nella qualificazione del rapporto di lavoro, dovuto a disaccordi tra organismi di controllo (es. INPS e INL) sulla natura subordinata o autonoma.
  2. Vizi formali o procedurali, come la mancata audizione delle parti o l’incompletezza della documentazione, che possono portare all’annullamento della certificazione.
  3. Contrarietà alla normativa vigente, se vengono violate norme inderogabili o contratti collettivi, in particolare in relazione a diritti fondamentali (ferie, retribuzione minima, sicurezza sul lavoro).
  4. Frodi o abusi nella certificazione da parte del datore di lavoro, finalizzati a mascherare sfruttamento o a eludere obblighi contributivi e fiscali.
  5. Ricorsi giudiziari:
    • Ricorso ex art. 80, D.Lgs. n. 276/2003, per impugnare l’atto presso il tribunale del lavoro.
    • Ricorso amministrativo, presentabile presso il giudice amministrativo per questioni di legittimità del provvedimento.

Fintanto che non venga emessa una sentenza definitiva di annullamento, la certificazione mantiene la sua efficacia legale e vincolante; durante tale periodo, gli Organismi di vigilanza non possono modificare la qualificazione del contratto certificato.


Confronti internazionali

Adottando una prospettiva più ampia, si possono individuare meccanismi analoghi in altri paesi, sebbene con approcci differenti:

  • Regno Unito: Gli “Employment Tribunals” risolvono controversie lavorative, ma non esiste un sistema preventivo di certificazione.
  • Francia: I “Conseils de Prud’hommes” trattano le dispute contrattuali solo quando sorgono.
  • Germania: I Tribunali del lavoro intervengono ex post, una volta sorte le controversie.
  • Stati Uniti: Il Dipartimento del Lavoro (DOL) e l’IRS monitorano la classificazione dei lavoratori, ma manca un meccanismo preventivo simile a quello italiano.

Considerazioni finali

In qualità di giovane commercialista, ritengo che la Commissione di Certificazione dei Contratti di Lavoro rappresenti un istituto di notevole supporto, in grado di garantire maggiore chiarezza e sicurezza per le parti stipulanti. Sebbene presenti vantaggi evidenti, la certificazione non risolve tutti i problemi: la complessità, la burocrazia e la non totale vincolatività possono dissuadere le piccole e medie imprese dall’adottarla, soprattutto in relazione a costi e tempi lunghi rispetto a benefici immediati.

Si auspica, inoltre, una maggiore semplificazione e accessibilità all’istituto, supportata da:

  • Digitalizzazione dei processi
  • Creazione di un team di esperti qualificati in grado di fornire supporto e consulenze a costi sostenibili

L’Italia si distingue come l’unico paese, tra quelli analizzati, ad aver istituito un sistema di certificazione preventiva, anticipando le controversie e promuovendo una visione proattiva e innovativa del diritto al lavoro, in linea con i principi sanciti dall’art. 4 della Costituzione.

ODCEC Napoli

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La Legge di Bilancio per il 2025 ha modificato in maniera rilevante la tassazione del reddito di lavoro
prevedendo una detrazione e un trattamento integrativo aggiuntivi per titolari di redditi entro determinate fasce, rimodellando le detrazioni per figli e familiari a carico, concludendo con l’introduzione di un tetto complessivo al limite di detrazione collegato al doppio requisito redditonumero di figli presenti all’interno del nucleo familiare.

L’eliminazione dell’esonero contributivo, previsto fino al 31.12.2024 per la generalità dei dipendenti ha modificato il cuneo fiscale sui redditi da lavoro dipendente con una configurazione molto differente alla precedente in cui emerge un vantaggio per le famiglie con un numero di figli a carico superiori a due, ma vediamo nel dettaglio la nuova struttura.

L’art. 1 della Legge di Bilancio per il 2025 conferma e stabilizza le tre aliquote IRPEF introdotte dal D.lgs. 216/2023 oltre a confermare e stabilizzare le detrazioni già previste dal periodo d’imposta 2024 per redditi da lavoro dipendente.

La Legge di Bilancio Introduce, una nuova detrazione per i titolari di reddito da lavoro dipendente superiore a 20.000 euro ed entro i 40.000 euro modulata come nella tabella seguente:

Infine, prevede un trattamento integrativo aggiuntivo rispetto al trattamento integrativo introdotto dall’art. 1 del DL 3/2020, per i soli titolari di redditi entro i 15.000 euro, il già menzionato trattamento integrativo determinato in misura % andrà ad affiancarsi al precedente secondo il seguente schema:

La Legge di Bilancio ha inoltre modificato le detrazioni per figli a carico con età superiore a 21 anni, introducendo un tetto al limite di età per considerarli fiscalmente a carico, fissandolo nel trentesimo anno di età, con la sola esclusione per i figli disabili ai sensi della Legge 104. Per gli altri familiari fiscalmente a carico è stata mantenuta esclusivamente la detrazioni di 750 euro per gli ascendenti conviventi.
A completamento è stato introdotto un tetto alle detrazioni complessive per i titolari di redditi superiori a 75.000 euro, da modulare in base ad un coefficiente crescente per nuclei familiari composti da un numero di figli non superiore a due

Per i nuclei familiari con tre e più figli non si applica alcuna riduzione al tetto delle detrazioni complessivamente ammesse in riduzione delle imposte per ciascun anno.
Dal predetto tetto rimangono escluse le detrazioni per: spese sanitarie, le somme detraibili per investimenti in start-up o pmi innovative, interessi passivi su mutui contratti fino al 31.12.2024 e per premi di assicurazione relativi al rischio morte/ invalidità permanente o rischi catastrofali contratti entro lo stesso termine.

Rimangono escluse dal tetto anche le quote annue per interventi di recupero del patrimonio edilizio, riqualificazione energetica, super bonus ecc… per interventi conclusi fino al 31.12.2024.

La modifica della tassazione dei redditi di lavoro dipendente è stata accompagnata dall’eliminazione dello sgravio posto a favore della generalità dei dipendenti cancellando la precedente riduzione prevista fino al 31.12.2024.

La legge di bilancio introduce uno sgravio della quota IVS limitato alle madri lavoratrici.
Il predetto sgravio è riservato agli anni 2025 e 2026 alle lavoratrici dipendenti, autonome anche titolari di redditi da partecipazione che abbiano almeno due figli di cui il minore di età non superiore a 10 anni di età, mentre dal 2027 sarà limitato alle madri di almeno tre figli di cui il minore non abbia superato i 18 anni di età.

Il predetto sgravio non sarà cumulabile con il bonus mamme già introdotto dalla Legge di bilancio per il 2024 e ancora in vigore fino al 2026 per le madri di tre e più figli. Dalla lettura congiunta della normativa si deduce pertanto un rilevante vantaggio per i nuclei familiari numerosi e una riduzione della tassazione per i redditi superiori a 20.000 con invarianza di tassazione o aumento delle trattenute complessive per i redditi più bassi.

Tuttavia alla data odierna non è ancora possibile misurare l’impatto complessivo in quanto non è ancora nota la misura dello sgravio riservato alle madri che dovrà essere stabilito da un decreto congiunto tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Mise.

*ODCEC Lucca

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