di Stefano Lapponi*

 

–        Materia   Fondi Solidarietà

–        Oggetto:  Conguaglio Prestazioni Esodo

–        Riferimento:  messaggio Inps 4.7.2024 n.2504

Con il messaggio 4.7.2024 n. 2504, l’INPS spiega le modalità per la gestione  del conguaglio delle prestazioni di esodo cofinanziate dai datori di lavoro tramite Fondi di solidarietà (Art. 1 co. 235 della L. 232/2016).

Viene implementato il “Portale Prestazioni Esodo” con nuove funzionalità sia  nelle ipotesi di pagamento in “Unica Soluzione” che per la gestione delle richieste o i rimborsi ai datori di lavoro interessati di eventuali conguagli qualora l’importo riconosciuto non coincida con l’importo teorico spettante.

 

 

–        Materia:   Sostegno al reddito

–        Oggetto: Domanda Bonus Psicologo

–        Riferimento:  Messaggio Inps 11.7.2024  n. 2584

L’Istituto comunica le graduatorie del Bonus Psicologo (art. 1-quater co. 3 del DL 228/2021; DM 24.11.2023), a seguito dell’istruttoria delle domande  per l’anno 2023.

Si ricorda che:

–        I beneficiari sono stati individuati tenendo conto del valore ISEE più basso e, a parità del valore ISEE, dell’ordine cronologico di presentazione delle domande, nei limiti dell’ammontare delle risorse disponibili.

–        L’importo massimo previsto per ogni seduta è pari ad euro 50,00 fino alla concorrenza di:

o   1.500,00 euro (ISEE inferiore a 15.000,00 euro);

o   1.000 euro (ISEE compreso tra 15.000 e 30.000 euro);

o   500,00 euro (ISEE superiore a 30.000,00 ma non a 50.000,00 euro).

 

–        Il beneficiario deve fruire del bonus (e quindi delle sessioni di psicoterapia) entro 270 giorni con decorrenza  11.7.2024.

–        Per fruire del Bonus al beneficiario è stato attribuito un codice univoco.

 

 

–        Materia:  Contribuzione volontaria

–        Oggetto:   Contributi volontari per i lavoratori agricoli

–        Riferimento:  circolare INPS 11.7.2024 n. 81   

Vengono comunicate le modalità di calcolo 2024 dei contributi volontari relativi alle varie categorie di lavoratori agricoli, diversificate in relazione alla tipologia e alla Gestione di appartenenza dei prosecutori volontari.

 

Nello specifico:

–        per i coltivatori diretti, coloni, mezzadri e imprenditori agricoli professionali, distinti in 4 classi di reddito settimanale, in caso di autorizzazione alla contribuzione volontaria accordata prima del 31.12.95, l’importo minimo dei contributi volontari è pari a € 66,74 settimanali.

–        per i coltivatori diretti, coloni, mezzadri e imprenditori agricoli professionali, distinti in 4 classi di reddito settimanale, in caso di autorizzazione alla contribuzione volontaria accordata successivamente al 31.12.95, l’importo minimo dei contributi volontari è pari a €  79,02 settimanali;

–        i contributi integrativi volontari per gli operai agricoli a tempo indeterminato e determinato sono commisurati all’imponibile contributivo determinato in base alle retribuzioni percepite, sul quale deve essere applicata l’aliquota IVS vigente nel settore che, per l’anno 2024, per il FPLD è pari al 30,10%.

 

 

 

–        Materia:   Lavoratori Edili

–        Oggetto:   riduzione contributiva 2024  

–        Riferimento:  D.M. 16.5.2024

Il Ministero del Lavoro ha confermato, mediante pubblicazione in data 15.7.2024, per l’anno 2024 la riduzione contributiva nella misura dell’11,50%,riconosciuta in favore delle imprese edili dall’art. 29 co. 2 del DL 244/95.

In particolare:

–        L’agevolazione si applica agli operai occupati per 40 ore a settimana

–        L’agevolazione consiste in una riduzione dei contributi dovuti per le assicurazioni sociali diverse da quella pensionistica.

Condizioni per la fruizione:

–        Regolarità contributiva

–        Assenza di condanne passate in giudicato per violazione di norme in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro nel quinquennio antecedente la data di applicazione dell’agevolazione.

 

 

 

–        Materia:   Contributi

–        Oggetto:   Decontribuzione Sud

–        Riferimento: Circolare INPS 17.7.2024 n. 82

 Con la circ. 17.7.2024 n. 82, l’INPS ha illustrato la disciplina generale e l’ambito applicativo dell’agevolazione contributiva denominata “decontribuzione Sud” a seguito della decisione C(2024) 4512 final del 25.6.2024 della Commissione europea, che ne ha prorogato l’applicabilità fino al 31.12.2024.

Nota Bene: su precise indicazioni ministeriali, la decontribuzione non può trovare applicazione per le assunzioni effettuate dall’1.7.2024.

Pertanto, la proroga fino al 31.12.2024 trova applicazione esclusivamente rispetto ai contratti di lavoro subordinato stipulati entro il 30.6.2024.

 

 

–        Materia:  Sostegno al reddito

–        Oggetto: Congedo Parentale

–        Riferimento: Messaggio Inps 23.07.2024 n.2704

 L’INPS comunica di aver implementato la procedura per l’acquisizione delle domande di congedo parentale e congedo parentale a ore dei lavoratori dipendenti, che consente di presentare la domanda con la richiesta di indennità maggiorata.

In particolare:

1.     è necessario spuntare con “Sì” la nuova dichiarazione “Dichiaro di voler richiedere l’indennizzo con aliquota maggiorata” inserita all’interno della pagina “Dati domanda”.

2.     La procedura richiede di valorizzare la data relativa alla fine del congedo di maternità o di paternità nel caso in cui il parto o l’ingresso in famiglia per affidamento/adozione ricada nell’anno 2022.

3.     Nel caso in cui l’evento ricada nel 2023, l’inserimento della data è necessaria per il diritto all’ulteriore mese con quota maggiorata.

4.     Nel caso in cui l’evento nascita o l’ingresso in famiglia si verifichi a partire dall’1.1.2024, non è necessario l’accertamento relativo alla data di fine congedo di maternità o paternità.

 

 

–        Materia:  Sostegno al reddito

–        Oggetto: ISCRO

–        Riferimento:  circolare Inps 23.7.2024 N.84

L’Inps precisa i requisiti di accesso comunicando le istruzioni operative per la presentazione delle domande di accesso all’ISCRO (Art. 1 co. 142 – 155 della L. 213/2023) in favore dei professionisti iscritti alla Gestione separata INPS.

Si precisa che sono compresi i partecipanti agli studi associati o società semplice con reddito da lavoro autonomo iscritti alla citata Gestione.

Nota bene: La domanda deve essere presentata all’INPS in via telematica dal 15 giugno e fino entro il 31 ottobre, accedendo alla sezione “Punto d’accesso alle prestazioni non pensionistiche” e selezionando “Indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa (ISCRO)” (disponibilità operativa dall’1.8.2024 al 31.10.2024).

In alternativa, la domanda potrà essere presentata anche mediante Patronati o contact center.

 

 

 

 

*Odcec Macerata

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di Florianna Golino*

Il concetto della parità di genere sui luoghi di lavoro, già affrontato in ambito sicurezza sul lavoro, con l’emanazione nel 2008 del D.Lgs. 81/08, recentemente è divenuto oggetto di particolare attenzione da parte delle organizzazioni tenendo anche conto i principi di sostenibilità “ESG”. Tra i rischi presenti sui luoghi di lavoro, infatti, da valutare ai sensi dell’art.28 del decreto e da trattare nel documento di Valutazione dei rischi (DVR), sono richiamati quelli connessi alle differenze di genere. Come per tutte le altre tipologie di rischio presenti sui luoghi di lavoro, anche questi ultimi devono essere contemplati nel DVR, documento che, come chiarito dall’art.2 del D.lgs. 81/08, deve contenere una “valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza”. Gli specifici aspetti da considerare nell’ambito della valutazione dei rischi sono gli effetti prodotti dalla differenza di genere sull’attività lavorativa ovvero, tenendo conto delle differenze che mediamente di fatto esistono dal punto vista “biologico” fra uomini e donne (statura, in genere inferiore nelle donne; volume polmonare, maggiore negli uomini; differenza nell’assorbimento e nella eliminazione degli agenti chimici; diverso rapporto tra esposizione al rumore di bassa intensità e danni extra uditivi; effetti degli agenti mutageni sul sistema riproduttivo femminile; vulnerabilità verso i rischi; ecc. ecc.) andrebbero adottate delle misure, per lo più organizzative, per evitare o quantomeno ridurre i possibili danni alla salute ed alla sicurezza dei lavoratori, in relazione a tali aspetti, che non siano necessariamente riconducibili all’eventuale stato di gravidanza delle lavoratrici. Questa tutela, infatti, presente nel nostro ordinamento sin dalla Costituzione e con la L. 53/2000, è stata rafforzata con il D.lgs. 151/2001 (che, in un’ottica di parità e tutela sostiene la genitorialità, garantendo anche ai padri la possibilità di dedicarsi alla cura dei figli) e successivamente è stata recepita ed estesa con il Testo Unico della sicurezza (D.lgs. 81/08), nel quale sono stati considerati, come base per la valutazione dei rischi legati al genere, anche gli aspetti “socio ambientali”. Quindi, mentre da un punto di vista normativo risulta evidente un approccio “non neutrale”, ma attento alle diversità ed alla soggettività, dal punto di vista pratico questo approccio non è supportato da un riferimento metodologico standardizzato, come invece accade per altri rischi presenti sui luoghi di lavoro, quali ad esempio i rischi legati alla movimentazione manuale dei carichi, quelli da esposizione al rumore o alle vibrazioni, i rischi chimici, biologici, quelli da stress lavoro correlato e diversi altri. Per la valutazione di tali tipologie di rischio, infatti, esistono norme tecniche che rappresentano utili riferimenti per datori di lavoro, Rspp e medici competenti, ai fini della redazione del DVR per la parte ad essi dedicati e dell’adozione delle più adeguate misure di prevenzione e protezione. A fronte, quindi, di una normativa che stabilisce la tutela della salute nei luoghi di lavoro orientata al genere, le indicazioni riportate nella stessa non sempre risultano di facile applicazione.

Un altro aspetto strettamente connesso al tema della “sicurezze e parità di genere” e rientrante in quelli che vengono definiti “rischi psico sociali”, è quello degli abusi e delle molestie sui luoghi di lavoro. Queste fattispecie di rischio, a seguito del recepimento dell’Accordo Europeo sulle molestie e violenze nei luoghi di lavoro (2007), avvenuto soltanto nel 2016, e dell’emanazione della L. 15/01/2021 n. 4 (in attuazione dell’art. 9 comma c della Convenzione 190 sull’eliminazione della Violenza e delle Molestie nel Mondo del Lavoro), devono essere oggetto di una specifica valutazione dei rischi relativi alle violenze e alle molestie, con la partecipazione dei lavoratori e dei rispettivi rappresentanti, ai fini dell’adozione di misure per prevenirli e tenerli sotto controllo.

L’ Accordo europeo, anche se recepito in modo parziale (Accordo Confindustria, Cgil, Cisl, Uil) e ridottosi ad una dichiarazione di intenti con l’indicazione dei principi ai quali ispirarsi per gestire situazioni di molestie e violenze, senza quindi specificare procedure, obblighi /doveri e relative sanzioni, ha quantomeno chiarito definitivamente come la gestione delle molestie e delle violenze sui luoghi di lavoro debba prescindere dalla sua natura specifica (fisica, psicologica e/o sessuale). In ogni caso, infatti, occorre prevenirla garantendo la migliore assistenza alle vittime degli abusi, anche attraverso l’attivazione di una funzione di ascolto, e validi strumenti di punizione dei colpevoli.

La Legge 4 del 15 gennaio, invece, ha ampliato il concetto stesso di violenza/molestie, integrandolo con lo stress lavoro correlato, dando maggior risalto rispetto al passato ai rischi psicosociali e riconoscendo che la violenza e le molestie sul lavoro possono tradursi in danni per la salute psicologica, fisica e sessuale, per lo status economico, per la dignità e l’ambiente familiare e sociale della persona, da cui la necessità di valutare i fattori di rischio ed adottare misure di tipo preventivo e correttivo, a partire dai dispositivi di risoluzione delle controversie e di denuncia, ai meccanismi di supporto, ai servizi per il ricorso e risarcimento che tengano in considerazione la prospettiva di genere e che siano sicuri ed efficaci (art.10).

Anche la recente ISO 45003: 2021 Gestione della salute e sicurezza sul lavoro — Salute psicologica e sicurezza sul lavoro — Linee guida per la gestione dei rischi psicosociali tra i fattori sociali sul lavoro da valutare inserisce i concetti di “Violenza sul lavoro” (incidenti che comportano una sfida esplicita o implicita alla salute, alla sicurezza o al benessere sul lavoro; violenza interna od esterna che si traduce in abusi, minacce, aggressioni fisiche, verbali o sessuali, violenza di genere) e “molestie” quali comportamenti indesiderati, offensivi, intimidatori, di natura sessuale o non, che si riferiscono a una o più caratteristiche specifiche dell’individuo quali identità di genere, religione o credo, orientamento sessuale, disabilità ed età.

In conclusione, in un’ottica di sostenibilità e di valori “ESG”, considerando sistemi di gestione e organizzazione di tematiche vicine come il SGSSL, o lo specifico sistema di gestione sulla Parità di genere, conformi a relative norme e prassi, l’attenzione del datore di lavoro (e di tutti gli attori della prevenzione) deve essere incentrata sul garantire parità di trattamento, condizioni di salute e sicurezza.

A prescindere dal genere quindi (considerabile solo in funzione delle differenze biologiche e delle conseguenti assegnazioni dei compiti), l’attenzione deve essere rivolta alla tutela di lavoratori e lavoratrici verso possibili violenze, molestie, abusi , compresi altri rischi psico sociali, potenzialmente presenti sui luoghi di lavoro

*ODCEC Caserta

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di Alice Salducco*

Durante i corsi di formazione sullo stress cito spesso una battuta di Giorgia Fumo che recita più o meno così: “andare al lavoro è diventato come andare all’asilo, piangi tutte le mattine”.
Piangere è uno dei segnali più potenti dello stress: un allarme che ci impone la necessità di prenderci cura di quello che sta succedendo. Ci indica che lo stress da positivo sta diventando negativo. Il pianto, così come altri sintomi, ci segnala che la situazione in cui ci si trova è “troppo”, ovvero che non ci sono le risorse necessarie per rispondere in modo adeguato e sostenibile per noi a quello che sta succedendo.

Quando il distress – lo stress negativo – diventa molto e si prolunga nel tempo, si può incorrere nella sindrome da burnout. Chi ne soffre? Sono maggiormente esposti al rischio di burnout coloro che si sentono sopraffatti dalla routine quotidiana o che sentono le proprie aspettative deluse. Il burnout è un fenomeno complesso che indica una situazione di malessere fisico e mentale, con punti in comune con patologie come gli stati d’ansia o gli stati depressivi.

Con il termine burnout facciamo riferimento a uno stato in cui le persone sperimentano esaurimento emotivo, depersonalizzazione e derealizzazione.

Proviamo a entrare nel significato di questi termini tecnici con delle immagini.

  • L’esaurimento è quella sensazione che proviamo quando abbiamo l’impressione di avere la nostra batteria scarica, di aver terminato le energie a disposizione per qualsiasi cosa. È diversa dalla stanchezza, perché il sonno e il riposo non sempre aiutano a contrastarla. Un’altra sensazione associata all’esaurimento è la percezione di avere esaurito lo spazio mentale a disposizione, “di essere arrivati”. Lo possiamo osservare sia su di noi, sia sugli altri. Sui colleghi, ad esempio, si osserva nella difficoltà di concentrazione, nelle dimenticanze o nei segni di stanchezza sul volto.
  • La depersonalizzazione è quella sensazione di vedersi da fuori, come se si osservasse il mondo da una telecamera che riprende anche noi nella stanza, a differenza di quello che succede normalmente (osservare il mondo dal nostro punto di vista). Si tratta di un sintomo che può essere sperimentato anche negli attacchi di panico. Questo sintomo dall’esterno è più complesso da osservare e da riconoscere.
  • La derealizzazione, invece, riguarda la sensazione di scollamento con la realtà, il percepirsi distanti da quello che sta succedendo in quel momento, e in alcuni casi anche la sensazione che ciò che si è come persona non corrisponda a ciò che si sta facendo nella vita. La derealizzazione la possiamo osservare nel modo in cui le persone intorno a noi parlano del loro lavoro, nel modo in cui si rapportano ai progetti futuri o all’aumento delle responsabilità.

Come avrete intuito leggendo, la sindrome da burnout indica che la persona si trova in una situazione di forte malessere. Questo tipo di diagnosi può essere effettuato da una figura che si occupa di salute mentale come il medico di base, lo psichiatra o lo psicologo. È qualcosa di cui di solito si accorge la persona che vive la situazione, nel momento in cui i sintomi iniziano a diventare un ostacolo per il proprio benessere fisico e psicologico.

E da fuori? Come mi posso accorgere che un collega, un collaboratore, una persona amica si trova in una situazione di burnout lavorativo? La cosa importante è osservare i cambiamenti a livello comportamentale: tutti quei comportamenti che differiscono molto dalla “normalità” della persona che avete conosciuto. Ad esempio: prima pranzava sempre, adesso salta il pasto; prima era una persona socievole e disponibile, adesso sta in disparte. Altri indicatori possono essere legati al modo in cui percepisce la responsabilità e il nuovo: l’idea di vedere aumentate le proprie responsabilità o l’essere ingaggiati in un nuovo progetto lavorativo diventano motivo di ansia, insoddisfazione e frustrazione.

A questo punto la domanda sorge quasi spontanea: e quindi cosa faccio? Cosa si può fare se sul posto di lavoro mi accorgo che qualcuno mostra segnali di difficoltà che da fuori sembrano simili al burnout? Per rispondere è necessario tenere conto che non possiamo sostituirci a chi si trova in difficoltà quando si parla di salute mentale. Una buona strategia può essere chiedere: “come posso aiutarti?”, “di che cosa hai bisogno?”. Lo stress, come abbiamo visto, è un fenomeno complesso in cui intervengono fattori individuali, fattori ambientali e fattori sociali.

A livello più globale poi, è possibile introdurre delle misure di contenimento e prevenzione sul luogo di lavoro che possono essere più focalizzate su interventi di tipo ambientale/sociale o più personali.

Strategie orientate all’ambiente:

  • Creare un ambiente di lavoro “sano”, in termini di gestione del tempo, dello stile di comunicazione, di leadership;
  • Riconoscere le prestazioni e le qualità dei lavoratori, ad esempio attraverso feedback e premi;
  • Investire sulla formazione dei manager.

Strategie orientate alla persona:

  • Ideare, pensare e offrire programmi specifici che possano accompagnare e sostenere il benessere dei gruppi più a rischio, ad esempio attraverso la formazione o il welfare;
  • Regolare il monitoraggio medico-psicologico, ad esempio attraverso il welfare con “check up a tema stress”.

*Psicologa in Magenta (MI)

#burnout #stress #lavoro #prevenzione #benessere #ansia

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dii Paolo Belluco*

In Italia e in Europa, la sicurezza e la salute sul lavoro sono una questione di fondamentale importanza, sottolineata dall’alto numero di incidenti e patologie correlate al lavoro che continuano a verificarsi ogni anno. Nonostante le campagne di sensibilizzazione, c’è ancora molto da fare per educare alla cultura della sicurezza e garantire che tutti i lavoratori siano protetti e che le aziende possano operare in un ambiente sicuro ed efficiente. In questo contesto, diverse tecnologie innovative, tra le quali quelle indossabili (wearable device) stanno emergendo come strumenti chiave per migliorare la sicurezza e la salute sul lavoro.

Patologie Correlate al Lavoro e l’Importanza delle Tecnologie di Monitoraggio

Esiste un’altissima prevalenza di disturbi muscolo-scheletrici (DMS) nella forza lavoro europea, con oltre 100 milioni di cittadini europei che soffrono di DMS cronici, di cui 40 milioni attribuiscono direttamente questa problematica al proprio lavoro. Il 46% dei lavoratori europei riferisce dolori alla schiena, mentre il 43% ha dolori muscolari alle spalle, al collo e agli arti superiori (Fonte: Eurostat). È stato dimostrato che i DMS aumentano l’ansia, causano problemi di sonno, aumentano la fatica e riducono il benessere non solo fisico, ma anche mentale. I costi connessi ai DMS legati al lavoro hanno un elevato impatto, ammontando intorno al 2% del PIL europeo. Questi costi incidono direttamente sulla produttività aziendale. Inoltre, i DMS costano ai fondi pensione milioni di euro, contribuendo all’aumento dei costi dovuti all’invecchiamento della popolazione.

In Italia, secondo l’INAIL, queste patologie includono condizioni infiammatorie e degenerative delle articolazioni, dei dischi vertebrali, della cartilagine, dei muscoli, dei tendini, dei legamenti e dei nervi periferici. I DMS sono associati a fattori di rischio fisici, come la movimentazione manuale dei carichi (MMC), il sollevamento di carichi pesanti, movimenti ripetitivi e posture incongrue mantenute per lunghi periodi. I dati dell’INAIL evidenziano che, nel 2021, delle 55.202 denunce di malattia professionale, ben 38.472 (il 70%) riguardavano disturbi muscoloscheletrici. Inoltre, nello stesso anno, si è registrato un aumento del 22,8% delle denunce di malattia professionale rispetto all’anno precedente, in cui la pandemia da Covid-19 aveva temporaneamente attenuato il fenomeno. Questo aumento riflette la necessità urgente di intervenire con soluzioni efficaci per prevenire e gestire queste patologie, che rappresentano una parte consistente delle malattie professionali in Italia.

Le tecnologie indossabili (wearable computer)

In questo scenario, sta diventando sempre più rilevante l’adozione di tecnologie come i sistemi di monitoraggio indossabili (wearable computer device) basati su sensori, integrati nei vestiti o in altri oggetti indossabili (orologi, caschi, occhiali, etc.) che hanno la capacità di acquisire dati e di poterli inviare a piattaforme informatiche con la alta capacità di elaborazione ed interpretazione, data dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale (IA). I dispositivi wearable per il monitoraggio e la valutazione dello stato psicofisico dei lavoratori sono tecnologie avanzate che, grazie a sensori integrati, raccolgono dati fisiologici come: la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna, la respirazione, il movimento del corpo e molti altri segnali fisiologici. Inizialmente impiegati soprattutto in contesti medici e sportivi, questi dispositivi sono ora pronti per essere utilizzati anche nella sicurezza sul lavoro. Infatti, gli attuali dispositivi indossabili, wireless e miniaturizzati, permettono l’acquisizione di tutte quelle informazioni necessarie per il calcolo di appropriati indici che la letteratura scientifica ha dimostrato essere sensibili al livello di rischio e correlati alle variabili che generano il danno (Fonte: INAIL).

Immagine: Concept generato attraverso la AI.

L’uso di algoritmi di machine learning (i.e. una particolare branca della IA) permette una classificazione ottimizzata e automatica del livello di rischio biomeccanico durante l’esecuzione di attività di MMC.Il lavoratore può essere anche avvertito in tempo reale che si trova in una situazione di forte rischio di sovraccarico e può ridurre il rischio modificando il suo comportamento e preservando la propria salute e sicurezza.

Questi approcci strumentali possono essere utilizzati per stimare direttamente il rischio o per quantificare le variabili richieste dai metodi tradizionali. La possibilità di disporre di un analisi del livello di rischio accurato e preciso, in tempo reale, offre una maggiore capacità di prevenzione dei DMS. Questo approccio non solo riduce il rischio di infortuni, ma migliora anche l’efficienza complessiva delle operazioni produttive. Questi dispositivi (e la loro infrastruttura di calcolo) non si limitano a raccogliere dati e restituire un riscontro al lavoratore, in tempo reale, ma possono analizzare i dati per identificare potenziali rischi muscoloscheletrici a lungo termine. Possono quindi, individuare schemi e tendenze che segnalano l’insorgenza di disturbi come ad esempio, problematiche legate alla postura, arrivando anche a fornire raccomandazioni personalizzate per migliorare la postura o suggerire movimenti da eseguire per prevenire lesioni croniche.

L’Impatto Sociale ed Economico delle Tecnologie di Sicurezza

L’adozione di queste tecnologie per la sicurezza e salute sul lavoro avrà un impatto considerevole superando la semplice protezione fisica dei lavoratori. Queste innovazioni influenzeranno positivamente sia l’ambito sociale che economico, contribuendo a creare un ambiente di lavoro non solo più sicuro, ma anche più produttivo. Elenchiamo brevemente gli ambiti a nostro parere più significativi:

  • Riduzione dei Costi Sanitari e Assicurativi: uno degli effetti più immediati delle tecnologie di sicurezza è la sostanziale riduzione dei costi sanitari e assicurativi. Questo si traduce in significativi risparmi per le aziende, con una riduzione dei premi assicurativi, e per lo Stato, con un minore impatto economico sulla sanità pubblica.
  • Miglioramento della Produttività e Qualità del Lavoro: lavoratori che si sentono sicuri sono più motivati, diminuendo le assenze per malattia e mantenendo attiva la forza lavoro, riducendo le interruzioni nei processi produttivi. Inoltre, il monitoraggio in tempo reale delle condizioni lavorative permette di ottimizzare le operazioni, correggendo prontamente inefficienze o rischi. Questo non solo incrementa la produttività ma migliora anche la qualità complessiva del lavoro e dei prodotti o servizi offerti.
  • Vantaggio Competitivo e Sostenibilità per le Imprese: in un contesto economico competitivo, investire in tecnologie di sicurezza può essere strategico, anche in Italia, dove prevalgono le piccole e medie imprese (PMI). Le aziende che adottano queste soluzioni proteggono i loro dipendenti e migliorano anche la loro reputazione, attirando talenti e elevando il morale dei lavoratori, riducendo così il turnover e i costi di formazione dei nuovi assunti.
  • Benefici a Lungo Termine per la Società: una diminuzione degli infortuni e delle malattie professionali implica una popolazione lavorativa più sana e una minore pressione sul sistema sanitario, favorendo una maggiore partecipazione economica. Inoltre, la diffusione di queste tecnologie può stimolare innovazione e sviluppo di nuove competenze tra i lavoratori, preparandoli a operare in un ambiente sempre più automatizzato e tecnologicamente avanzato.

Siamo convinti che l’investimento in tecnologie di sicurezza e salute sul lavoro non riguardi solo la protezione dei lavoratori, ma rappresenta un elemento chiave per il successo economico e sociale.

La Sfida dell’Implementazione e le Prospettive Future

Nonostante i benefici evidenti, l’implementazione di queste tecnologie in Italia e non solo, presenta alcune sfide. La complessità e le specifiche esigenze dei luoghi di lavoro e la variabilità associata alle attività (non solo MM) richiedono la necessità di produrre una conoscenza e una cultura tecnico-scientifica ancora maggiore sul tema. È fondamentale garantire che questi strumenti siano efficacemente utilizzabili dai professionisti della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e che siano accettati dai lavoratori stessi e che quindi, non vengano percepiti come uno strumento di controllo, ma come un supporto alla loro vita lavorativa. Ergo, è cruciale affrontare le questioni legate al trattamento dei dati personali e alle implicazioni etiche di tali tecnologie. Mentre, sul versante normativo sarà determinante aggiornare gli standard ergonomici a livello italiano e internazionale, per includere questi innovativi approcci, non solo nella valutazione del rischio biomeccanico, ma anche come sistema di monitoraggio continuo.

Inoltre, progettare un computer indossabile richiede competenze interdisciplinari diversificate, tra cui medicina del lavoro, ingegneria biomedica, elettronica, ergonomia, design del prodotto e naturalmente informatica. Ogni aspetto del dispositivo deve essere attentamente considerato per garantire che sia funzionale, comodo e sicuro per l’utente finale. Questa quindi, è la sfida che attende tutte le aziende che stanno compiendo sforzi nella progettazione e implementazione di queste tecnologie.

Conclusioni

La sicurezza e la salute sul lavoro sono una priorità che non può essere trascurata. In Italia, l’adozione di tecnologie basate su dispositivi indossabili e intelligenza artificiale, può rappresentare un cambiamento radicale nel modo in cui affrontiamo questa sfida. Queste innovazioni non solo proteggono i lavoratori, ma migliorano anche l’efficienza e la competitività delle aziende, contribuendo a creare un ambiente di lavoro più sicuro e sostenibile per tutti. In un momento storico in cui l’innovazione tecnologica sta ridefinendo, sempre più velocemente, ogni settore, è fondamentale che anche la sicurezza sul lavoro possa beneficiare di questi progressi, permettendo all’Italia di affrontare il futuro con maggiore fiducia e responsabilità.

*Ingegnere in Milano

 

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di Luca Beretta *

La presenza sempre maggiore di lavoratori stranieri nei cantieri edili rende necessario ideare e progettare processi per superare le barriere culturali e linguistiche che spesso creano difficoltà quando è necessario tramettere istruzioni e spiegazioni e ad avere riscontro sull’effettiva comprensione da parte del lavoratore di quanto comunicato. Questa è una vera e propria sfida che sta mettendo a dura prova le imprese, una sfida che difficilmente si può vincere da soli. Nel comparto edile il tessuto imprenditoriale è composto prevalentemente da imprese medio/piccole che hanno difficoltà ad individuare il giusto percorso per affrontare questa diversità linguistica all’interno dell’azienda. Per questo motivo le Parti Sociali del settore (Associazioni Datoriali e Sindacali) hanno da tempo messo in campo numerose azioni per supportare imprese e lavoratori attraverso le attività ed i servizi erogati dagli Enti Bilaterali. Questi Enti, presenti su tutto il territorio nazionale, sono un valido supporto per imprese e lavoratori soprattutto in tema di formazione in materia di salute e sicurezza.

Prima di fornire degli esempi pratici di come poter affrontare e superare le barriere linguistiche è opportuno spiegare che, soprattutto in tema di formazione, non basta semplicemente utilizzare un traduttore perché tradurre un vocabolo non vuol dire comunicare un concetto. La differenza di lingua comporta anche una differenza culturale in termini di valori, interessi, concetti e valutazioni. La figura del mediatore linguistico-culturale si rivela di cruciale importanza in quanto, nonostante svolga la funzione primaria di assistente linguistico tra un formatore e i discenti, si occupa anche di riadattare il messaggio in funzione delle differenti implicazioni culturali rendendo più efficace la trasmissione dei concetti. Nonostante nel comparto edile vi sia una prevalenza di lavoratori stranieri di lingua araba troviamo anche molti altri lavoratori di origini differenti e conseguentemente un insieme linguistico e culturale assai variegato e complesso da gestire.

 

CAMPAGNE MIRATE CON VOLANTINI IN MULTILINGUA

Sono state avviate varie campagne di diffusione di materiale informativo inerente la sicurezza nei cantieri tradotti in varie lingue. La strategia dei dépliant informativi permette una maggiore diffusione e capillarità in quanto ogni impresa, conoscendo la nazionalità dei propri dipendenti, può scegliere il materiale nella lingua più appropriata.  Le imprese hanno sfruttato questo materiale fornendolo ai singoli lavoratori o affiggendolo in varie aree di cantiere.  Un esempio sono dei promemoria tascabili sulle principali regole da ricordare per chi, ogni giorno, lavora nei cantieri. Ogni opuscolo contiene il testo in italiano e le traduzioni in nove lingue: arabo, hindi, punjabi, francese, inglese, rumeno, albanese/kosovaro, spagnolo, ucraino.

Altre campagne riguardano argomenti specifici come i flyer, tradotti in 4 lingue, dedicati alle principali regole e ai comportamenti corretti da seguire in caso di imbracatura dei carichi e alla movimentazione aerea in quota, spesso causa di gravi infortuni.

 

FORMAZIONE BASE CON MEDIATORI LINGUISTICI

Ai sensi dell’Art. 37 del D.Lgs 81/08 il Datore di lavoro “assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche”. La durata ed i contenuti di questi corsi variano a seconda del settore di appartenenza dell’impresa e del suo livello di rischio.   Il settore edile è considerato ad alto rischio quindi secondo la norma il corso base deve avere una durata di 16h. Sul territorio della provincia di Milano, Lodi e Monza e Brianza sono presenti delle realtà virtuose ove vengono organizzate periodicamente delle edizioni di corsi “base di sicurezza” con mediazione culturale in lingua araba.

CORSI DI ITALIANO PER STRANIERI

Per i lavoratori con maggiore difficoltà di conoscenza della lingua italiana sono stati promossi dei corsi di italiano, in orario extralavorativo, per lavoratori di lingua araba con diversi livelli di difficoltà e propedeutici ad un ulteriore corso inerente un linguaggio più tecnico legato al mondo dell’edilizia. Dopo un test volto ad appurare la conoscenza della lingua italiana i lavoratori vengono collocati in corsi idonei con livello omogeneo.  Il corso attualmente previsto è della durata di 40h.

FORMAZIONE E ADDESTRAMENTO ON THE JOB

Oltre alla formazione in aula risultano fondamentali anche dei momenti formativi e di addestramento erogati direttamente in cantiere inerenti argomenti specifici o legati all’uso di macchine/attrezzature di lavoro. Una parte di queste attività svolte “on the job” viene effettuata con il supporto di mediatori culturali, ad oggi in lingua araba o indiana. La facilità di comprensione dei contenuti ottenuta grazie ai mediatori culturali unita alla parte pratica necessaria per un addestramento rende molto efficace questo tipo di erogazione dei corsi per i lavoratori stranieri.

 

 

IL GIOCO COME STRUMENTO EFFICACE PER LA FORMAZIONE

La formazione è il mezzo principale per aumentare le competenze delle persone e il loro rendimento lavorativo. Per questo motivo, per potenziare la formazione finalizzata alla prevenzione, si possono sfruttare le nuove tecnologie digitali attraverso i Serious Game, corsi progettati per sensibilizzare gli addetti ai lavori sui temi della sicurezza in edilizia, in modo innovativo, mettendo in equilibrio intrattenimento, simulazione e apprendimento. Una esperienza virtuale interattiva che punta a raggiungere obiettivi di apprendimento predeterminati, attraverso l’attivazione di dinamiche ludiche, affiancando le metodologie tradizionali, al fine di formare in modo innovativo le prossime generazioni di addetti alla sicurezza. Anche per questi progetti sono stati tradotti i dialoghi dei protagonisti in varie lingue per permettere l’accesso a questo tipo diverso di formazione anche ai lavoratori stranieri.

In conclusione possiamo affermare che al giorno d’oggi ogni progetto formativo inerente la sicurezza sul lavoro non può non prescindere dalla declinazione dell’offerta anche per i lavoratori di lingua straniera.

* Ingegnere Edile Milano

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di Monica Bernardi*

Sono ormai 16 anni che il TUSL (decreto legislativo 81/2008 – Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro) è entrato in vigore e, come per ogni legge che regolamenta i rapporti di lavoro, i commercialisti lavoristi hanno fin dall’inizio affiancato le aziende supportandoli negli adempimenti indispensabili per il pieno rispetto di questa normativa.

Spesso è difficile far capire agli imprenditori che nel rapporto di lavoro ci sono regole da rispettare e che occorre valutare caso per caso la fattibilità di alcune scelte imprenditoriali, soprattutto quando l’adeguamento a queste norme comporta ulteriori spese a carico dell’azienda.

Purtroppo infatti, le norme in materia di sicurezza sul lavoro vengono viste dagli imprenditori come un altro balzello da sostenere, un’altra incombenza cui far fronte alla quale si approcciano spesso in modo passivo, affidando ad un’azienda specializzata l’incarico di provvedere ai vari adempimenti, senza interessarsi direttamente degli stessi, senza comprenderne la finalità e la vera importanza.

L’imprenditore cerca sempre di risparmiare sui costi che deve sostenere per la propria attività, sia per quanto riguarda il personale che per il materiale e le attrezzature utilizzate, senza considerare che tali scelte possono incidere sulla sicurezza sul lavoro dei propri dipendenti.

Rispettare coscienziosamente gli adempimenti previsti dalla legge 81/08 inoltre prevede un investimento non solo economico, ma anche di tempo che il datore di lavoro “non ha” o comunque non vuole “perdere”: la compilazione del DVR (documento di valutazione dei rischi) e i suoi continui aggiornamenti, la formazione continua del personale dipendente e dei preposti, la verifica costante del rispetto delle norme da parte dei lavoratori, l’acquisto dei DPI e la verifica del loro corretto utilizzo, ….

Analizzando gli infortuni sul lavoro che ci troviamo a gestire, con particolare riguardo all’atteggiamento dei lavoratori sull’osservanza delle prescrizioni, in riferimento alla propria sicurezza sul luogo di lavoro, ci accorgiamo che tendono a non rispettare le norme ascritte. Spesso infatti lavorare nel rispetto delle regole è più scomodo, più lento oppure semplicemente diverso da quello che si è imparato in anni di pratica. Cambiare abitudini non è così immediato e in genere viene considerato inutile: si è sempre fatto così e non è mai successo nulla, perché ora dobbiamo imparare nuovi metodi e procedure?

Inoltre i lavoratori, come spiegato dalla Dottoressa Torre Casnedi sulle pagine di questa stessa rivista, tendono a sottovalutare le situazioni di pericolo cui sono esposti in lavorazioni eseguite in modo continuativo senza conseguenze negative. Tutti questi motivi, oltre ad una inadeguata informazione, spingono i lavoratori a comportamenti poco sicuri.

Tra le cause tipiche di infortuni infatti troviamo: scivolamenti, inciampi e cadute dovute al mancato rispetto delle norme di sicurezza; il malfunzionamento di strumenti o macchinari che spesso vengono utilizzati senza i dispositivi di protezione per velocizzare il lavoro; la routine del lavoro che porta i lavoratori a operare in modalità automatica e quindi a distrarsi e a correre più rischi; le operazioni di trasporto, sollevamento e immagazzinaggio svolte con posture errate; il mancato rispetto delle norme di sicurezza; la scarsa esperienza e l’assenza di consapevolezza dei rischi. Molti infortuni potrebbero essere evitati semplicemente con una maggiore vigilanza da parte del datore di lavoro che oltre a preoccuparsi di formare i lavoratori, consegnare i DPI, nominare i preposti, si deve attivare per vigilare e sanzionare i lavoratori che non rispettano le norme sulla sicurezza. L’istituzione di controlli costanti e il “richiamo all’ordine” di quei lavoratori con comportamenti non idonei agli standard previsti dall’azienda, è il modo più efficace per abituare i propri dipendenti ad attivare metodologie di lavoro corrette e sicure.

Non sempre però le sanzioni sono lo strumento più efficace per raggiungere un risultato. E’ invece importante che sia tra gli imprenditori che tra gli stessi lavoratori si formi una vera e propria cultura della sicurezza.

E’ qui che il commercialista del lavoro può fare la differenza: il cliente consulta il proprio commercialista per la maggior parte delle scelte in materia di lavoro che deve intraprendere ed è in queste occasioni che il professionista può spiegare all’imprenditore come gestire al meglio le tematiche relative alla sicurezza dei suoi lavoratori e del luogo di lavoro in cui operano.

I datori di lavoro devono essere formati e informati sui rischi generici e specifici della propria attività; devono essere in prima linea, insieme allo specialista incaricato, nella predisposizione del documento di valutazione dei rischi per capire cosa è pericoloso e come limitare i rischi di infortuni; devono essere consapevoli che il DVR è un documento dinamico da aggiornare ogni volta che si verifica un cambiamento, anche minimo, nella realtà aziendale: l’assunzione o le dimissioni di un dipendente, l’acquisto o la dismissione di un macchinario o anche la modifica dell’organigramma aziendale, per citarne alcuni.

Il commercialista può ancora aiutare l’imprenditore a sgravarsi di parte delle responsabilità con la corretta nomina dei preposti, individuare tutti gli incentivi disponibili e utili al proprio cliente (bandi Isi, formazione industria 4.0 finanziata, formazione finanziata dei lavoratori, …), supportarlo nelle scelte strategiche nei confronti dei dipendenti, affinché essi stessi per primi si interessino alla propria sicurezza lavorativa.

Il mondo del lavoro è cambiato e il professionista non può più limitarsi all’elaborazione dei cedolini paga o all’esecuzione degli adempimenti formali, ma deve aiutare l’azienda ad attuare tutte le strategie possibili per attrarre i lavoratori e fidelizzare quelli già presenti. Nella maggior parte dei settori lavorativi gli imprenditori lamentano di non riuscire a trovare personale, formato o anche da formare. Oggi i lavoratori, a prescindere dall’età, non si limitano a cercare un posto di lavoro retribuito che li aiuti a sostenere sé stessi e la propria famiglia, ma cercano anche il benessere: una migliore qualità della vita e quindi gli aspetti della conciliazione vita-lavoro, la serenità all’interno del luogo di lavoro ma anche la tutela della propria salute. A differenza delle generazioni precedenti, quella attuale spesso non ha paura di dimettersi anche senza un’alternativa lavorativa.

Per attirare e fidelizzare questi lavoratori, un imprenditore attento deve preoccuparsi di attivare strumenti di welfare, di coinvolgere ove possibile gli stessi lavoratori nelle scelte organizzative aziendali, creare un clima lavorativo sereno e senza stress e preoccuparsi della loro salute e sicurezza sul lavoro.

E’ fondamentale dunque spiegare ai lavoratori i rischi che hanno corso comportandosi in un certo modo anziché seguire i protocolli, richiamarli ogni volta che si dimenticano di seguire le procedure, discutere con loro sugli infortuni avvenuti o su quelli sfiorati, analizzare sistematicamente le situazioni critiche e trovare insieme a loro situazioni per eliminare i pericoli. Questi sono ottimi suggerimenti per ottenere la collaborazione del proprio personale e le scelte condivise saranno più facilmente rispettate. Infine non dobbiamo sottovalutare l’importanza del buon esempio nel rispetto delle regole di datore di lavoro, dirigenti e preposti.

Concludo ricordando quanto ci diceva nel numero 4/2024 di questa stessa rivista l’Avvocato Alessandro D’Addea: un’azienda virtuosa dal punto di vista della sicurezza è un’azienda economicamente più efficiente di un’altra che si preoccupa solo di minimizzare i costi: lavoratori qualitativamente più efficienti se lavorano in condizioni ottimali, minori costi legati agli infortuni (lavoratore infortunato assente, aumento del premio assicurativo inail, ….), minor turnover del personale, minori rischi di ritardi nelle lavorazioni.

Come possiamo notare leggendo questo speciale, nella gestione della sicurezza sul lavoro intervengono molti professionisti con competenze diverse e complementari tra loro: dalle aziende specializzate in materia di sicurezza all’avvocato, dal medico del lavoro allo psicologo.

Il professionista formato e attento è in grado di aiutare il datore di lavoro, restando al passo con i continui sviluppi normativi, affiancandolo nelle scelte strategiche fondamentali per l’azienda e che lo porteranno ad essere competitivamente all’altezza delle sfide del mercato.

*ODCEC Milano

#lavoro, #sicurezza, #lavoratori, #infortunisullavoro, #decretolegge, #prevenzione #incentivi

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di Raffaele Bergaglio*

 Nell’ambito della sicurezza e della tutela della salute negli ambienti di lavoro la posizione di garanzia principale è quella ricoperta dal datore di lavoro, il quale rimane il soggetto più esposto a contestazioni, specie di natura penale.

Sul piano dei rimedi, nonostante gli oltre sedici anni trascorsi dalla pubblicazione del D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sono ancora frequenti i quesiti legali su cosa fare per schermare in qualche modo le posizioni dei soggetti apicali delle società, talvolta persino ipotizzando sotterfugi dei quali invero non se ne ravvisa il bisogno.

Diversi sono, infatti, gli strumenti di tutela previsti dal legislatore per sgravare il datore di lavoro di una parte assai significativa degli obblighi incombenti su di lui, sollevandolo specularmente dalle responsabilità; strumenti di tutela che aumentano nel caso di organi direttivi collegiali, sennonché molto spesso sembrano ignorati o interpretati erroneamente da chi potrebbe disporne in maniera cautelativa anche per sé stesso.

Vale dunque la pena di compiere alcune riflessioni sui mezzi prevenzionistici a disposizione del datore di lavoro nelle varie conformazioni legali che può assumere formalmente.

 

Il conferimento delle deleghe gestorie nel direttivo

Innanzitutto, all’interno degli organismi direttivi collegiali, è opportuno provvedere ad una razionale distribuzione dei compiti (deleghe), affinché siano chiare le attribuzioni di ciascuno e le conseguenti responsabilità.

Con la delega gestoria di cui all’art. 2381 Cc (da non confondere con la delega in materia di sicurezza di cui all’art. 16 D.lgs. 81/2008), all’interno di strutture aziendali complesse, si può affidare ad uno o più amministratori, con poteri illimitati di spesa, le attribuzioni relative alla sicurezza sul lavoro (cfr. Cass. pen., sez. IV, 20.10.2022, n. 8476).

Pur essendo le deleghe tipiche delle società per azioni, anche nelle società a responsabilità limitata, amministrate da organi collegiali, lo statuto può intervenire sull’organizzazione interna, stabilendo compiti in materia di sicurezza in capo a taluno degli amministratori. Inoltre, nulla vieta che l’organo direttivo di una Srl, al proprio interno, provveda ad approvare un documento scritto, con data certa, sottoscritto dai vari amministratori, con il quale si stabiliscano i compiti di ciascun amministratore, assegnando ad uno (o più) di essi quelli in materia di sicurezza.

Nell’ambito di un eventuale procedimento penale, all’intento del quale si tende soprattutto ad accertare i ruoli effettivamente ricoperti da ciascuno, un documento del genere assumerebbe un valore non indifferente.

Ciò farebbe sì che tutti gli altri membri dell’organo direttivo, indipendentemente dalla forma societaria prescelta, vengano sollevati da responsabilità in materia di sicurezza.

 

La valutazione dei rischi e la nomina del RSPP

Particolare attenzione dovrebbe essere dedicata sempre alla valutazione di tutti i rischi possibili, in modo tale da non escluderne alcuno di quelli nel cui ambito potrebbe verificarsi un infortunio o una malattia professionale.

In caso di qualsiasi eventuale futura contestazione di violazioni di norme afferenti alla sicurezza sul lavoro, una delle prime verifiche che sarà compiuta è quella della inclusione del rischio concretizzatosi nel documento di valutazione dei rischi (DVR).

Pertanto, assai importante è la qualità e la completezza con la quale deve essere redatto ed aggiornato questo documento, poiché eventuali sue lacune rispetto al tipo di rischio dal quale potrebbe scaturisca un incidente o una malattia, costituirebbero il presupposto dell’imputazione colposa a carico del datore di lavoro che sarà individuato.

Si ricorda, che la redazione del DVR e la nomina del RSPP, secondo l’art. 17 del TUSL, non sono delegabili da parte del datore di lavoro. Tuttavia, nella sostanza, il datore di lavoro si limita alla sottoscrizione del DVR, affidando la sua redazione a specialisti del settore, ferma restando la sua responsabilità in caso di infortunio, quantomeno nella maggior arte dei casi, il che rappresenta una circostanza di non poco conto.

Al riguardo, si ritiene indispensabile affidarsi ad un professionista di alto livello, interno o esterno all’azienda, quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), con cui il datore di lavoro dovrebbe mantenere un filo diretto ed ininterrotto, possibilmente documentato, al fine di individuare ogni potenziale rischio, specie di fronte a nuove lavorazioni, nuove mansioni, introduzione di nuove forze lavoro, nuovi macchinari ecc., così continuando ad aggiornane il DVR.

 

La delega di funzioni ex art. 16 D.lgs. 81/2008

I principali strumenti di sgravio della responsabilità datoriale consistono nel trasferimento ad altri soggetti degli obblighi previsti in materia di sicurezza. Non vi è dubbio, quindi, che la delega di funzioni, prevista all’art. 16 del TUSL, realizzi il formale trasferimento dei poteri e obblighi datoriali di natura prevenzionistica al delegato, fermo restando in capo al delegante l’obbligo di vigilanza sul corretto svolgimento delle funzioni affidate (cit. Cass. pen, sez. IV, 20.10.2022, n. 8476).

Proprio in virtù dell’obbligo residuale in capo al delegante, talvolta si discute ancora delle rimanenti responsabilità che ne conseguono in capo a quest’ultimo, poiché non ancora del tutto pacifiche in giurisprudenza.

La delega, normalmente, viene rilasciata ad un dirigente. Questi potrà certamente essere un membro del consiglio di amministrazione. Così, spesso si vedono deleghe a favore del direttore del personale o altro dirigente delle HR.

Secondo quanto si è detto sopra, la delega ex art. 16 del TUSL potrà essere conferita anche e soprattutto al consigliere già munito di della gestoria dal consiglio di amministrazione, per quanto attiene alla sicurezza.

Tuttavia, la legge non contiene indicazioni specifiche in tal senso e non impone che il delegato ai sensi dell’art. 16 D.lgs. 81/2008 sia per forza un dirigente, sicché nulla vieta che essa venga rilasciata a favore di un dipendente d’azienda sotto ordinato, ad esempio un quadro, purché vengano rispettate le condizioni di legge. Non vi è dubbio, pertanto, che la delega possa essere conferita anche ad un soggetto esterno all’organo direttivo.

Tranne la valutazione dei rischi e la nomina del RSPP (cfr. art. 17 D.lgs. 81/2008), gli obblighi datoriali in materia di sicurezza sul lavoro sono tutti delegabili, ma la delega prevista dall’art. 16, D.lgs. 81/2008 è ammessa con i seguenti limiti e condizioni: a) che essa risulti da atto scritto recante data certa; b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate; e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.

Troppo spesso capita ancora di vedere deleghe non sottoscritte, conferite a soggetti non sufficientemente formati in ordine ai rischi specifici d’impresa o senza idonei poteri di spesa, il che ne vanifica gli effetti.

Alla delega deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità, ma talvolta i dipendenti non vengono neppure messi a conoscenza dell’aggiornamento dell’organigramma e dei ruoli all’interno della propria azienda da parte dei propri datori di lavoro.

Da notare che la norma non prevede che la delega venga registrata presso il registro delle imprese, anche se la cosa potrebbe essere consigliabile. Per giunta, da parte di molti si ritiene preferibile che la delega ai sensi dell’art. 16 TUSL venga conferita mediante atto notarile.

Invero, non essendo le modalità espressamente stabilite dalla legge, la pubblicità può essere realizzata anche attraverso altri canali informativi, peraltro pure congiuntamente, come circolari interne, diffusioni di organigrammi aziendali, ecc.

È vivamente consigliabile mantenere traccia di ogni forma di pubblicità della delega, salvando adeguatamente in file ogni tipo di comunicazione che ne attesti l’esistenza. In questa prospettiva, anche l’esportazione e il salvataggio di chat di gruppi WhatsApp, che dovessero contenere indicazioni nella prospettiva qui in commento rivestono utilità.

Di fondamentale importanza è il requisito di validità della delega afferente alla autonomia di spesa del delegato per quanto riguarda qualsiasi spesa necessaria per l’espletamento sicuro delle attività.

Al riguardo, nel mondo delle imprese, talvolta si suole delimitare i poteri di spesa al fine di prevenire eventuali acquisti inutili, sperperi o condotte infedeli, prevedendo la firma congiunta con uno degli amministratori per spese superiori a determinati importi. Affinché la delega mantenga efficacia, la cosa importante è che i limiti di spesa necessitanti di firma congiunta siano alti, in modo tale che il delegato possa far fronte autonomamente ad ogni necessità in ottica prevenzionistica.

Secondo il terzo comma dell’art. 16, la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. L’obbligo di cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4.

Per il comma 3-bis il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il datore di lavoro delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro alle medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2. La delega di funzioni di cui al primo periodo non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite. Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate.

Quello che invece non è chiaro, perché non stabilito dalla legge, è il confine di tale obbligo di vigilanza, il quale, pertanto, viene lasciato alla interpretazione della giurisprudenza, che ha assunto posizioni ondivaghe, a discapito della certezza del diritto.

In epoca molto recente, in maniera condivisibile e garantista, si è affermato che tale obbligo debba attestarsi a un livello di alta vigilanza in forza del quale il delegante non deve procedere a un puntuale e continuo controllo sull’operato del delegato (Cass. Pen., Sez. IV, n. 51455 del 5.10.2023).

Tale obbligo, pertanto, potrebbe essere adempiuto mediante controlli a campione, e-mail e WhatsApp contenenti raccomandazioni e richieste.

Ad ogni buon conto, si deve ritenere che la presenza di una delega funzionale, conferita ex art. 16 del TUSL, in presenza di tutti i requisiti previsti dalla norma e di un sufficiente livello di supervisione, sgrava il datore di lavoro da responsabilità penale.

 

La nomina dei preposti

Se, come si è dato sopra, il conferimento di una delega di funzioni per ciò che attiene alla sicurezza sul lavoro può sgravare enormemente il datore di lavoro, considerazioni simili, ancorché dotate di portata meno salvifica, valgono per la nomina di uno o più preposti.

Il preposto è la «persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa» [art. 2 c. 1 lett. e), D.lgs. 81/2008].

Con il termine ”sovrintendere”, secondo il concorde orientamento della dottrina e della giurisprudenza, si indica l’attività rivolta alla vigilanza sul lavoro dei dipendenti per garantire che esso si svolga nel rispetto delle regole di sicurezza.

Generalmente questa figura, nell’organigramma aziendale, è costituita da capi-squadra, capi-reparto, capi-officina, capi-sala, capi-cantiere, ecc..

Il D.l. 21.10.2021, n. 14, convertito con L. 215/2021, modificando l’art. 18 D.lgs. 81/2008, intitolato agli «obblighi del datore di lavoro e del dirigente», ha introdotto il comma 1 la lettera b-bis), secondo il quale, ora, il datore di lavoro e il dirigente devono «individuare il preposto o i preposti per l’effettuazione delle attività di vigilanza …».

In generale, si può affermare che non spetti al preposto adottare direttamente misure di prevenzione, bensì fare applicare quelle predisposte dal datore di lavoro e dal delegato (eventualmente su indicazione del RSPP), intervenendo con le proprie direttive, impartendo le cautele da osservare, inoltrando le dovute segnalazioni al datore e in casi estremi fermando i lavori.

Per una più esaustiva trattazione, si ricorda che l’art. 19 del TUSL prevede una serie di obblighi del preposto, che sonno stati ulteriormente integrati dal citato D.l. 21.10.2021, n. 14, conv. con L. 215/2021.

Per quanto qui rileva, la nomina di uno o più preposti, certamente sgrava in qualche misura il datore di lavoro, ma con altrettanta certezza non esime il datore di lavoro dalla dovuta vigilanza.

Si tratta, ora, di stabilire il perimetro di tale obbligo di vigilanza.

Recentemente, i giudici di legittimità, prendendo le mosse da un principio generale derivante dall’art. 18 del D.lgs. 81/2008 (TUSL), qual è il dovere di vigilanza del datore di lavoro nei confronti di tutti i suoi sottoposti, siano essi delegati, preposti, capi squadra, operai più o meno specializzati rispetto alle mansioni svolte, hanno spiegato che le modalità attraverso le quali esercitare il dovere di vigilanza datoriale, non essendo specificamente definite dal legislatore, devono essere rimesse all’organizzazione aziendale, che dovrà conformarle in maniera adeguata in base alle situazioni che di volta in volta si presentano (Cass. Pen., Sez. IV, n. 51455 del 5.10.2023).

Da tempo la giurisprudenza ha preso atto dell’impossibilità che il titolare formale degli innumerevoli obblighi in materia di sicurezza possa integralmente adempiervi personalmente, assumendo come essenziale per il corretto esercizio dell’attività d’impresa la presenza di centri intermedi di imputazione della responsabilità, a partire dalla nomina di preposti e dalla delega di funzioni ex art. 16, D.lgs. 81/2008.

Sulla base di tale assunto, nella sentenza citata si sostiene che il datore di lavoro possa assolvere all’obbligo di vigilare sull’osservanza delle misure di prevenzione degli infortuni, limitandosi ad adottare le procedure e gli strumenti che gli consentano di conoscere le attività lavorative effettivamente svolte e le loro concrete modalità esecutive. Pertanto, si stabilisce che “il controllo richiesto al datore di lavoro non è personale e quotidiano”, sicché “ogni volta che le dimensioni dell’impresa non consentano un controllo diretto [esso] è affidato a procedure: report, controlli a campione, istituzione di ruoli dirigenziali e quanto altro la scienza dell’organizzazione segnali come idoneo allo scopo nello specifico contesto”.

In altre parole, in assenza di una norma che delimiti il dovere di vigilanza del datore di lavoro rispetto ai compiti attribuiti al dipendente preposto, soggetto che ricopre una posizione di garanzia a titolo originario, poiché prevista dalla legge (artt. 299 e 2, D.lgs. 81/2008), i giudici di legittimità hanno mutuato principi stabiliti in un’area contigua, quella riguardante il delegato (di cui si è detto sopra), che è un garante a titolo derivato (art. 16), applicando i principi giurisprudenziali formatasi a tale riguardo.

Ne deriva che la nomina di uno o più preposti, effettuata in presenza di tutti i requisiti necessari (di cui si dirà), specie nelle imprese la cui organizzazione non consente una vigilanza datoriale su tutte le lavorazioni, sgrava parzialmente il datore di lavoro dalla verifica degli obblighi in materia prevenzionistica, in relazione a tutte quelle incombenze quotidiane, che attengono alle lavorazioni specifiche, che vengano svolte sotto la sovrintendenza del preposto, fermo restando il dovere di alta vigilanza del dolore di lavoro; dovere di vigilanza che, per quanto possa essere effettuato mediante ”controlli a campione”, come valentemente stabilito dalla corte, si ritiene opportuno conformare in maniera più dettagliata rispetto a quello esercitato sul delegato, atteso che il preposto non è un dirigente.

I preposti devono ricevere una formazione particolarmente approfondita e specifica rispetto dall’azienda in cui lavorano.

In un diritto penale del fatto, che privilegia la sostanza sulla forma, esiste anche la figura del preposto di fatto (cfr. art. 299 TUSL), attribuibile a colui che, quale capo-reparto-cantiere-turno-squadra, operi sostanzialmente in questa veste, senza aver ricevuto alcuna nomina formale.

Fermo restando che tale figura sta via via ridimensionandosi, essendo divenuta obbligatoria la nomina dei preposti, non si può escludere la presenza di ulteriori soggetti (rispetto a quelli formalmente già nominati) che di fatto abbiano assunto posizioni sovra ordinate rispetto ad altri dipendenti dell’impresa. Tuttavia, è del tutto evidente per quel che importa queste considerazioni, che il datore di lavoro attento, abbia tutto l’interesse a nominare preposti nella maniera più corretta possibile, al fine di restringere il perimetro delle proprie responsabilità, restando egli in ogni caso la figura più esposta nella piramide aziendale delle responsabilità.

 

*Avvocato in Milano

 

#prevenzione; #RSPP; #sicurezza #delegati #prepostisicurezza

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di Vincenzo Ferrante*

 

Con un recente decreto-legge del marzo 2024 si è intervenuti a rafforzare i poteri dell’Ispettorato del lavoro, facendo sì che i controlli si estendano a tutti gli aspetti più importanti, come il rispetto delle norme in tema di salute e sicurezza, il regolare versamento dei contributi previdenziali, l’applicazione di retribuzioni conformi ai minimi costituzionali. Si tratta di novità che possono inserirsi in un quadro più ampio, che interessa, in misura diversa, molti paesi europei e che sollecita i professionisti e le stesse forze sindacali ad operare per la tutela della legalità

 

  1. Una situazione ancora preoccupante.

I dati statistici italiani ed europei mostrano concordemente il permanere di un elevato tasso di lavoro irregolare, sia quando si tratti di attività prestata in assenza delle dichiarazioni di legge, sia quando venga in rilievo il rispetto delle norme in tema di salute e sicurezza.

Ed infatti, pur con le evidenti difficoltà che discendono dalle rilevazioni che interessano fenomeni di illegalità, il lavoro nero (o non-dichiarato) continua a rappresentare una percentuale importante della complessiva forza lavoro, venendo ad essere stimato in circa 3 milioni di lavoratori (a fronte dei 18 milioni e 820mila lavoratori subordinati registrati dall’INPS ad aprile 2024 e di oltre 5 milioni di autonomi).

Anche sul fronte della sicurezza sul lavoro, i dati rimangono preoccupanti anche se il confronto con l’Europa può dare qualche spunto positivo, a ragione dell’ampiezza della tutela fornita dall’INAIL che si estende agli infortuni in itinere e che ha interessato, a differenza di molti altri sistemi, anche i contagi da COVID negli anni più recenti. In ogni caso, 1300 morti l’anno sui luoghi di lavoro resta un tributo di sangue inaccettabile, che l’Italia paga oramai da troppi anni, senza che si riesca a registrare un’inversione di tendenza o quanto meno una riduzione del numero delle vittime.

In questa situazione, anche grazie ai fondi del PNRR, l’attività ispettiva è stata fortemente rafforzata negli ultimi dieci anni, grazie in particolare agli ultimi interventi operati nel corso della primavera 2024, sia sul piano dell’incremento personale assunto dall’Ispettorato Nazionale, sia quanto allo sviluppo delle professionalità degli ispettori (che dovrebbe condurre ad una piena integrazione degli aspetti contributivi e di disciplina del rapporto), sia in relazione ad un apparato normativo che è stato recentemente rivisto e rafforzato dal decreto-legge 2 marzo 2024, n. 19 (poi convertito nella l. 29 aprile 2024, n. 56).

Sono tante le novità (alcune delle quali ancora in arrivo, perché condizionate all’emanazione di decreti ministeriali) ed in particolare si vogliono qui segnalare due aspetti.

 

  1. Un DURC oramai esteso alla verifica del rispetto della normativa anti-infortunistica.

L’art. 29 del d.l. 19 del 2 marzo 2024, al comma 1, integra la disciplina del DURC richiedendo che, perché le imprese possano mantenere i benefici fiscali e previdenziali previsti dalle leggi speciali, in sede ispettiva dovrà verificarsi non solo il puntuale versamento dei contributi, ma altresì il rispetto delle più importanti prescrizioni in tema di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, secondo una check-list che dovrà individuarsi ad opera di un decreto ministeriale di futura emanazione.

A riguardo, si deve ricordare che già ora l’art. 30 del d. lgs. 81 del 2008 (TU in tema di salute e sicurezza) prevede un elenco di adempimenti (Modello OT23) ai fini della riduzione del tasso medio di tariffa, che probabilmente potrebbe costituire base per il futuro provvedimento.

È importante precisare che già in passato si consentiva che, a fronte di una violazione degli obblighi di legge o delle previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro, venisse meno il godimento dei benefici sul piano contributivo. La norma ora introdotta, però, amplia la portata sanzionatoria che consegue all’accertamento di segno negativo, perché, a fronte di una singola violazione, si fanno venir meno i benefici relativi a tutti i lavoratori, e dunque si producono effetti anche per quelle categorie, o gruppi di lavoratori, per i quali il controllo ispettivo non ha rilevato alcuna irregolarità.

Peraltro, seppure resti confermata la possibilità per le imprese di procedere ad una sanatoria ex post delle norme violate, si specifica ora che non sempre è ammesso l’integrale recupero dei benefici perduti, quando questi siano stati erogati in presenza di violazioni, che non possono più essere oggetto di regolarizzazione (perché ad es. relative a condotte oramai trascorse o, come si suol dire, “esaurite”).

In questi casi, infatti, non opera la regola generale per cui, una volta rilevata un’irregolarità relativa alla disciplina del rapporto di lavoro, l’Ispettorato, mediante diffida o “prescrizione obbligatoria” assegna un termine per porvi rimedio (ovvero concede 30 giorni per il versamento dei contributi previdenziali omessi). Al contrario, essendo oramai impossibile un intervento di regolarizzazione, perché la condotta illegittima si è oramai conclusa (o “esaurita”), il pagamento tardivo può dar luogo al recupero dei benefici perduti, solo nella misura del doppio dell’importo sanzionatorio oggetto di verbalizzazione (art. 1175 bis della legge 296/2006, introdotto dal comma 1, lett. b dell’art. 29 del decreto 19/2024, ora in esame). Ed evidente deve apparire come, specie nelle imprese di maggiori dimensioni, l’importo del beneficio perso può essere ben maggiore di quanto eventualmente si possa recuperare in via di sanatoria postuma.

 

  1. Il contrasto al lavoro povero attraverso la sanzione penale e un innovativo obbligo di applicare il CCNL di settore.

Ai commi 4 e 5 dell’art. 29 del d.l. 19/2024, novellando l’art. 18 del d.lgs. 276/2003 (legge “Biagi”), si modifica il quadro sanzionatorio in caso di violazioni in materia di somministrazione di lavoro e di appalto, prevedendo un notevole inasprimento delle pene per tutte le ipotesi nelle quali sussista attività non autorizzata per conto di terzi (come tipicamente nel caso di cooperative o di altre società che vengano a “prestare” i propri soci o dipendenti ad altra impresa), ovvero per l’esercizio abusivo dell’attività di intermediazione, ricerca e selezione del personale (come, ad es., nelle ipotesi di vero e proprio “caporalato”, dove i lavoratori non sono assunti dall’impresa che poi ne utilizza la prestazione).

Al comma 4, lett. d), n. 1) dell’art. 29 del decreto in commento, riformulando l’art. 38 bis del d. lgs. 81 del 2015 (Jobs Act), si prevede così l’arresto fino a tre mesi quando, pur a fronte di un contratto che pure presenti tutti i requisiti di legge, si reputi che la somministrazione, ovvero l’appalto, siano stati posti «in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo».

Come si può ben comprendere, questa ipotesi di somministrazione “fraudolenta” viene ad integrare una fattispecie a dir poco indeterminata, il cui completamento viene di fatto lasciato alla discrezionalità dell’ispettore che procederà a comunicare la notitia criminis alla Procura della Repubblica, nonché al p.m. che potrà procedere all’incriminazione, ed infine al giudice, che sarà chiamato ad applicare la misura penale prevista dalla norma.

Ed invero, a fronte della libertà sindacale che consente alle imprese di scegliere fra una pluralità di contratti collettivi e della stessa libertà di impresa, riesce difficile individuare in cosa possa consistere una antigiuridicità così grave da determinare una sanzione penale, in assenza dell’indicazione puntuale della specifica violazione di legge, di cui si è reso responsabile l’imprenditore, essendo evidente come per nessun prodotto dell’autonomia privata, quale è il contratto (anche se collettivo), si è mai fatto ricorso ad una misura sanzionatoria di carattere penale.

Né minore incertezza circonda il comma 2 dello stesso art. 29 del d.-l. 19/2024, che impone alle imprese un innovativo obbligo di corrispondere ai lavoratori impiegati nell’appalto «un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale maggiormente applicato nel settore e per la zona il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto».

Deve apparire evidente anche qui l’estrema novità della scelta del legislatore che, rendendosi conto della circostanza che nel nostro ordinamento non esiste una nozione legale di categoria merceologica (a mente dell’art. 2070 c.c.), e non volendo tornare a prevedere un principio di parità di trattamento in caso di appalto interno al ciclo aziendale (come pure si prevedeva prima del 2003, in forza delle previsioni dell’ormai abrogata legge n. 1369 del 1960), ha assegnato alle imprese il rispetto di un parametro per nulla chiaro (se non fumoso!), atteso che, allo stato, non esiste nessuna rilevazione ufficiale che indichi quale sia il contratto più applicato “nel settore e per la zona”.

Ed infatti, il sistema della contrattazione collettiva consolidatosi negli anni, all’esito dei rapporti che intercorrono fra CGIL, CISL, UIL e le varie associazioni datoriali, per molte mansioni prevede una pluralità di contratti collettivi che si vengono a sovrapporre, regolando un medesimo settore (si pensi alla logistica e ai “servizi generali”, ovvero alla contrattazione collettiva per le cooperative che si sovrappone a tutte le altre categorie merceologiche, o anche a settori nei quali sussista una contrattazione per la piccola e per la grande impresa). Anche in questo caso, o si procederà mediante la redazione di tabelle ministeriali (ma con il rischio che l’indicazione di tipo amministrativo venga a ledere la libertà sindacale), oppure, in assenza di indicazioni chiare di provenienza ministeriale, si sarà costretti a defatiganti vicende processuali (come avvenne per es. alcuni anni fa, quando si tentò di fissare una nuova tariffa INAIL, individuando dieci diverse categorie di rischio).

 

  1. Il ruolo dei professionisti e delle organizzazioni sindacali per favorire la legalità nei luoghi di lavoro

Queste novità normative che si sono brevemente descritte possono inserirsi in un quadro più ampio, che interessa, in misura diversa, molti paesi europei. Infatti, non solo in Italia, ma in tutti gli Stati membri dell’Unione, è venuta in rilievo negli ultimi anni la questione della vigilanza amministrativa in tema di lavoro, tanto che con il Regolamento 2019/1149 è stata creata un’Autorità europea, con sede a Bratislava, che si occupa soprattutto di appalti transnazionali, nella prospettiva di evitare che le norme in tema di libertà di prestazione di servizi siano aggirate da imprenditori disinvolti.

Questo risultato è, per un verso, il frutto di una crescente necessità di omogeneizzazione delle norme che richiedono, com’è evidente, di essere applicate in maniera standardizzata, ma al contempo fa emergere la difficoltà delle organizzazioni sindacali a presidiare i luoghi di lavoro, a garanzia della tutela dei diritti dei lavoratori.

Pur senza dimenticare l’esperienza dei RLST previsti dall’art. 48 d. lgs. 81/2008 e diffusi soprattutto nel settore dell’edilizia, quest’ultimo aspetto è particolarmente delicato in Italia, sia per il numero di piccole imprese appaltatrici e “contoterziste”, sia per la diffusione (e talora il radicamento) della criminalità organizzata in alcuni settori produttivi.

Eppure, deve apparire certo che un compito così oneroso, come quello della tutela della legalità, richiede la collaborazione di tutte le forze in campo, di modo che non solo i professionisti, ma anche le OO.SS. dovranno, sviluppando l’esperienza dei comitati per l’emersione previsti in passato, operare nella direzione del contrasto all’illegalità. E tanto avendo consapevolezza che questa non solo danneggia i lavoratori direttamente coinvolti (sul piano dei versamenti contributivi, del rispetto dei minimi, del pagamento di tutte le voci retributive), ma altera altresì il libero gioco della concorrenza, mettendo in pericolo le imprese rispettose delle regole.

    *Professore Università Cattolica di Milano

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di Stefano Grimaldi*

Priorità irrinunciabile e socialmente molto sentita, sancita attraverso il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (il quale ha assorbito e sostituito tutte le norme precedenti), oggi è tema sottoposto a notevole controllo da quando le statistiche hanno fatto emergere troppe casistiche d’infortunio legate a fattori di rischio spesso fatali.

L’OMS si focalizza, giustamente, su alcuni sostantivi che assumono un peso determinante nel merito, riassumibili in termini ricorrenti identificati come responsabili laddove non attenzionati dovutamente, ovvero : prevenzione, formazione, miglioramento dell’ambiente lavorativo, cultura del lavoro (sistemi di valore essenziali adottati dall’impresa quali ad esempio la governance in senso lato, per brevità descrittiva)

Sicurezza e Salute sul lavoro sono la summa di un’articolata rete di professionalità che coinvolgono : medicina, psicologia, fisioterapia, terapia occupazionale, medicina del lavoro, ecc., per citarne solo alcune.

E’ quindi evidente che tutto quanto detto ha lo scopo di mirare a promuovere e sostenere il più alto livello di benessere fisico, mentale, sociale dei lavoratori in favore, a cascata, di una migliore resa imprenditoriale.

Molti sono quindi gli obiettivi concatenati, legati gli uni agli altri, anche in un’ottica preventiva di elusione delle potenziali ricadute sulla sanità pubblica, poichè il numero di infortuni sul lavoro non è ancora diminuito proporzionalmente alle epoche che scorrono. Tant’è che neologismi-inglesismi come BURNOUT, MOBBING, ELECTROMAGNETIC POLLUTION, BIOLOGICAL RISK…sono disagi ben presenti nella società attuale.

Dunque: Valutare i rischi per la salute, ridurre o meglio eliminare i rischi specifici, Limitare-controllare l’utilizzo di sostanze pericolose sui luoghi di lavoro, garantire controlli sanitari periodici dei lavoratori, investire in formazione, in prevenzione ecc. sono un necessario “piano generale d’affronto” per tutelare e assicurare produttività, salute e risultati aziendali.

Strategie che in tandem con nuove normative (compreso l’incremento di sanzioni e pene) sono ormai imprescindibili atti di civiltà, evoluzione lavorativa e sociale oltrechè misure di potenziamento delle condizioni di sicurezza sul lavoro.

In conclusione, questo cappello d’apertura, vuole introdurre approfondimenti sul tema, trattati da esperti professionisti del settore, a garanzia e completezza contenutistica che questa rivista si prefigge di dare, a mezzo d’ informazioni, casistiche, leggi e riflessioni in risposta ad una emergenza nazionale purtroppo ancora troppo presente.

Vi invito quindi a prendere visione dei nostri contributi redazionali, che attraverso la grande perizia e profondità degli scriventi, vedono argomenti attuali e inconsueti spaziare trasversalmente fra; la parità di genere sul lavoro, la tutela della legalità, il ruolo del commercialista, lo sgravio delle responsabilità datoriali, le nuove tecnologie indossabili e altri aspetti informativi specifici o necessari alla tutela della salute professionale.

Buona lettura.

*Direttore Responsabile – Ordine Naz.Giornalisti 150732

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di Fabiano D’Amato*

L’art. 10 comma 19 del D.L. 2 marzo 2024, n. 19, convertito il Legge 29 aprile 2024 n.56, ha modificato l’articolo 27 del D.Lgs. n. 81/2008, introducendo il sistema della c.d. “Patente a crediti”.

La decorrenza è dal 1.10.2024.

La richiesta della patente (dotazione iniziale prevista pari a 30 punti), potrà essere effettuata dal 1.10.2024 attraverso l’apposito servizio che sarà reso disponibile attraverso il portale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

I requisiti previsti per il rilascio saranno in particolare i seguenti:

  1. a) iscrizione alla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura;
  2. b) adempimento, da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti, dei preposti, dei lavoratori autonomi e dei prestatori di lavoro, degli obblighi formativi previsti dalla normativa vigente, in particolare per quanto riguarda la sicurezza sui luoghi di lavoro;
  3. c) possesso del documento unico di regolarità contributiva (DURC)in corso di validità;
  4. d) possesso del documento di valutazione dei rischi (DVR), nei casi previsti dalla normativa vigente;
  5. e) possesso della certificazione di regolarità fiscale, di cui all’articolo 17-bis, commi 5 e 6, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nei casi previsti dalla normativa vigente;
  6. f) avvenuta designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), nei casi previsti dalla normativa vigente.

Nei casi previsti dalla Legge la patente potrà essere sospesa, revocata o subire decurtazioni di crediti per violazioni accertate.

L’assenza della “patente” o la presenza di crediti inferiori a 15 potrà comportare sanzioni e l’impossibilità di accedere ai cantieri per imprese e lavoratori autonomi, salvo per le mere forniture o prestazioni di natura intellettuale.

Per approfondimenti, si richiamano le slides disponibili sul sito Patente a crediti, lo schema del decreto attuativo | Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali,

oltre quanto previsto dalla Normativa.

*ODCEC Roma

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