Politiche di contrasto al lavoro irregolare e attività di vigilanza: quali novità dai decreti della primavera 2024?

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di Vincenzo Ferrante*

 

Con un recente decreto-legge del marzo 2024 si è intervenuti a rafforzare i poteri dell’Ispettorato del lavoro, facendo sì che i controlli si estendano a tutti gli aspetti più importanti, come il rispetto delle norme in tema di salute e sicurezza, il regolare versamento dei contributi previdenziali, l’applicazione di retribuzioni conformi ai minimi costituzionali. Si tratta di novità che possono inserirsi in un quadro più ampio, che interessa, in misura diversa, molti paesi europei e che sollecita i professionisti e le stesse forze sindacali ad operare per la tutela della legalità

 

  1. Una situazione ancora preoccupante.

I dati statistici italiani ed europei mostrano concordemente il permanere di un elevato tasso di lavoro irregolare, sia quando si tratti di attività prestata in assenza delle dichiarazioni di legge, sia quando venga in rilievo il rispetto delle norme in tema di salute e sicurezza.

Ed infatti, pur con le evidenti difficoltà che discendono dalle rilevazioni che interessano fenomeni di illegalità, il lavoro nero (o non-dichiarato) continua a rappresentare una percentuale importante della complessiva forza lavoro, venendo ad essere stimato in circa 3 milioni di lavoratori (a fronte dei 18 milioni e 820mila lavoratori subordinati registrati dall’INPS ad aprile 2024 e di oltre 5 milioni di autonomi).

Anche sul fronte della sicurezza sul lavoro, i dati rimangono preoccupanti anche se il confronto con l’Europa può dare qualche spunto positivo, a ragione dell’ampiezza della tutela fornita dall’INAIL che si estende agli infortuni in itinere e che ha interessato, a differenza di molti altri sistemi, anche i contagi da COVID negli anni più recenti. In ogni caso, 1300 morti l’anno sui luoghi di lavoro resta un tributo di sangue inaccettabile, che l’Italia paga oramai da troppi anni, senza che si riesca a registrare un’inversione di tendenza o quanto meno una riduzione del numero delle vittime.

In questa situazione, anche grazie ai fondi del PNRR, l’attività ispettiva è stata fortemente rafforzata negli ultimi dieci anni, grazie in particolare agli ultimi interventi operati nel corso della primavera 2024, sia sul piano dell’incremento personale assunto dall’Ispettorato Nazionale, sia quanto allo sviluppo delle professionalità degli ispettori (che dovrebbe condurre ad una piena integrazione degli aspetti contributivi e di disciplina del rapporto), sia in relazione ad un apparato normativo che è stato recentemente rivisto e rafforzato dal decreto-legge 2 marzo 2024, n. 19 (poi convertito nella l. 29 aprile 2024, n. 56).

Sono tante le novità (alcune delle quali ancora in arrivo, perché condizionate all’emanazione di decreti ministeriali) ed in particolare si vogliono qui segnalare due aspetti.

 

  1. Un DURC oramai esteso alla verifica del rispetto della normativa anti-infortunistica.

L’art. 29 del d.l. 19 del 2 marzo 2024, al comma 1, integra la disciplina del DURC richiedendo che, perché le imprese possano mantenere i benefici fiscali e previdenziali previsti dalle leggi speciali, in sede ispettiva dovrà verificarsi non solo il puntuale versamento dei contributi, ma altresì il rispetto delle più importanti prescrizioni in tema di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, secondo una check-list che dovrà individuarsi ad opera di un decreto ministeriale di futura emanazione.

A riguardo, si deve ricordare che già ora l’art. 30 del d. lgs. 81 del 2008 (TU in tema di salute e sicurezza) prevede un elenco di adempimenti (Modello OT23) ai fini della riduzione del tasso medio di tariffa, che probabilmente potrebbe costituire base per il futuro provvedimento.

È importante precisare che già in passato si consentiva che, a fronte di una violazione degli obblighi di legge o delle previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro, venisse meno il godimento dei benefici sul piano contributivo. La norma ora introdotta, però, amplia la portata sanzionatoria che consegue all’accertamento di segno negativo, perché, a fronte di una singola violazione, si fanno venir meno i benefici relativi a tutti i lavoratori, e dunque si producono effetti anche per quelle categorie, o gruppi di lavoratori, per i quali il controllo ispettivo non ha rilevato alcuna irregolarità.

Peraltro, seppure resti confermata la possibilità per le imprese di procedere ad una sanatoria ex post delle norme violate, si specifica ora che non sempre è ammesso l’integrale recupero dei benefici perduti, quando questi siano stati erogati in presenza di violazioni, che non possono più essere oggetto di regolarizzazione (perché ad es. relative a condotte oramai trascorse o, come si suol dire, “esaurite”).

In questi casi, infatti, non opera la regola generale per cui, una volta rilevata un’irregolarità relativa alla disciplina del rapporto di lavoro, l’Ispettorato, mediante diffida o “prescrizione obbligatoria” assegna un termine per porvi rimedio (ovvero concede 30 giorni per il versamento dei contributi previdenziali omessi). Al contrario, essendo oramai impossibile un intervento di regolarizzazione, perché la condotta illegittima si è oramai conclusa (o “esaurita”), il pagamento tardivo può dar luogo al recupero dei benefici perduti, solo nella misura del doppio dell’importo sanzionatorio oggetto di verbalizzazione (art. 1175 bis della legge 296/2006, introdotto dal comma 1, lett. b dell’art. 29 del decreto 19/2024, ora in esame). Ed evidente deve apparire come, specie nelle imprese di maggiori dimensioni, l’importo del beneficio perso può essere ben maggiore di quanto eventualmente si possa recuperare in via di sanatoria postuma.

 

  1. Il contrasto al lavoro povero attraverso la sanzione penale e un innovativo obbligo di applicare il CCNL di settore.

Ai commi 4 e 5 dell’art. 29 del d.l. 19/2024, novellando l’art. 18 del d.lgs. 276/2003 (legge “Biagi”), si modifica il quadro sanzionatorio in caso di violazioni in materia di somministrazione di lavoro e di appalto, prevedendo un notevole inasprimento delle pene per tutte le ipotesi nelle quali sussista attività non autorizzata per conto di terzi (come tipicamente nel caso di cooperative o di altre società che vengano a “prestare” i propri soci o dipendenti ad altra impresa), ovvero per l’esercizio abusivo dell’attività di intermediazione, ricerca e selezione del personale (come, ad es., nelle ipotesi di vero e proprio “caporalato”, dove i lavoratori non sono assunti dall’impresa che poi ne utilizza la prestazione).

Al comma 4, lett. d), n. 1) dell’art. 29 del decreto in commento, riformulando l’art. 38 bis del d. lgs. 81 del 2015 (Jobs Act), si prevede così l’arresto fino a tre mesi quando, pur a fronte di un contratto che pure presenti tutti i requisiti di legge, si reputi che la somministrazione, ovvero l’appalto, siano stati posti «in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo».

Come si può ben comprendere, questa ipotesi di somministrazione “fraudolenta” viene ad integrare una fattispecie a dir poco indeterminata, il cui completamento viene di fatto lasciato alla discrezionalità dell’ispettore che procederà a comunicare la notitia criminis alla Procura della Repubblica, nonché al p.m. che potrà procedere all’incriminazione, ed infine al giudice, che sarà chiamato ad applicare la misura penale prevista dalla norma.

Ed invero, a fronte della libertà sindacale che consente alle imprese di scegliere fra una pluralità di contratti collettivi e della stessa libertà di impresa, riesce difficile individuare in cosa possa consistere una antigiuridicità così grave da determinare una sanzione penale, in assenza dell’indicazione puntuale della specifica violazione di legge, di cui si è reso responsabile l’imprenditore, essendo evidente come per nessun prodotto dell’autonomia privata, quale è il contratto (anche se collettivo), si è mai fatto ricorso ad una misura sanzionatoria di carattere penale.

Né minore incertezza circonda il comma 2 dello stesso art. 29 del d.-l. 19/2024, che impone alle imprese un innovativo obbligo di corrispondere ai lavoratori impiegati nell’appalto «un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale maggiormente applicato nel settore e per la zona il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto».

Deve apparire evidente anche qui l’estrema novità della scelta del legislatore che, rendendosi conto della circostanza che nel nostro ordinamento non esiste una nozione legale di categoria merceologica (a mente dell’art. 2070 c.c.), e non volendo tornare a prevedere un principio di parità di trattamento in caso di appalto interno al ciclo aziendale (come pure si prevedeva prima del 2003, in forza delle previsioni dell’ormai abrogata legge n. 1369 del 1960), ha assegnato alle imprese il rispetto di un parametro per nulla chiaro (se non fumoso!), atteso che, allo stato, non esiste nessuna rilevazione ufficiale che indichi quale sia il contratto più applicato “nel settore e per la zona”.

Ed infatti, il sistema della contrattazione collettiva consolidatosi negli anni, all’esito dei rapporti che intercorrono fra CGIL, CISL, UIL e le varie associazioni datoriali, per molte mansioni prevede una pluralità di contratti collettivi che si vengono a sovrapporre, regolando un medesimo settore (si pensi alla logistica e ai “servizi generali”, ovvero alla contrattazione collettiva per le cooperative che si sovrappone a tutte le altre categorie merceologiche, o anche a settori nei quali sussista una contrattazione per la piccola e per la grande impresa). Anche in questo caso, o si procederà mediante la redazione di tabelle ministeriali (ma con il rischio che l’indicazione di tipo amministrativo venga a ledere la libertà sindacale), oppure, in assenza di indicazioni chiare di provenienza ministeriale, si sarà costretti a defatiganti vicende processuali (come avvenne per es. alcuni anni fa, quando si tentò di fissare una nuova tariffa INAIL, individuando dieci diverse categorie di rischio).

 

  1. Il ruolo dei professionisti e delle organizzazioni sindacali per favorire la legalità nei luoghi di lavoro

Queste novità normative che si sono brevemente descritte possono inserirsi in un quadro più ampio, che interessa, in misura diversa, molti paesi europei. Infatti, non solo in Italia, ma in tutti gli Stati membri dell’Unione, è venuta in rilievo negli ultimi anni la questione della vigilanza amministrativa in tema di lavoro, tanto che con il Regolamento 2019/1149 è stata creata un’Autorità europea, con sede a Bratislava, che si occupa soprattutto di appalti transnazionali, nella prospettiva di evitare che le norme in tema di libertà di prestazione di servizi siano aggirate da imprenditori disinvolti.

Questo risultato è, per un verso, il frutto di una crescente necessità di omogeneizzazione delle norme che richiedono, com’è evidente, di essere applicate in maniera standardizzata, ma al contempo fa emergere la difficoltà delle organizzazioni sindacali a presidiare i luoghi di lavoro, a garanzia della tutela dei diritti dei lavoratori.

Pur senza dimenticare l’esperienza dei RLST previsti dall’art. 48 d. lgs. 81/2008 e diffusi soprattutto nel settore dell’edilizia, quest’ultimo aspetto è particolarmente delicato in Italia, sia per il numero di piccole imprese appaltatrici e “contoterziste”, sia per la diffusione (e talora il radicamento) della criminalità organizzata in alcuni settori produttivi.

Eppure, deve apparire certo che un compito così oneroso, come quello della tutela della legalità, richiede la collaborazione di tutte le forze in campo, di modo che non solo i professionisti, ma anche le OO.SS. dovranno, sviluppando l’esperienza dei comitati per l’emersione previsti in passato, operare nella direzione del contrasto all’illegalità. E tanto avendo consapevolezza che questa non solo danneggia i lavoratori direttamente coinvolti (sul piano dei versamenti contributivi, del rispetto dei minimi, del pagamento di tutte le voci retributive), ma altera altresì il libero gioco della concorrenza, mettendo in pericolo le imprese rispettose delle regole.

    *Professore Università Cattolica di Milano

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