SICUREZZA SUL LAVORO: vademecum di sgravio delle responsabilità datoriali

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di Raffaele Bergaglio*

 Nell’ambito della sicurezza e della tutela della salute negli ambienti di lavoro la posizione di garanzia principale è quella ricoperta dal datore di lavoro, il quale rimane il soggetto più esposto a contestazioni, specie di natura penale.

Sul piano dei rimedi, nonostante gli oltre sedici anni trascorsi dalla pubblicazione del D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sono ancora frequenti i quesiti legali su cosa fare per schermare in qualche modo le posizioni dei soggetti apicali delle società, talvolta persino ipotizzando sotterfugi dei quali invero non se ne ravvisa il bisogno.

Diversi sono, infatti, gli strumenti di tutela previsti dal legislatore per sgravare il datore di lavoro di una parte assai significativa degli obblighi incombenti su di lui, sollevandolo specularmente dalle responsabilità; strumenti di tutela che aumentano nel caso di organi direttivi collegiali, sennonché molto spesso sembrano ignorati o interpretati erroneamente da chi potrebbe disporne in maniera cautelativa anche per sé stesso.

Vale dunque la pena di compiere alcune riflessioni sui mezzi prevenzionistici a disposizione del datore di lavoro nelle varie conformazioni legali che può assumere formalmente.

 

Il conferimento delle deleghe gestorie nel direttivo

Innanzitutto, all’interno degli organismi direttivi collegiali, è opportuno provvedere ad una razionale distribuzione dei compiti (deleghe), affinché siano chiare le attribuzioni di ciascuno e le conseguenti responsabilità.

Con la delega gestoria di cui all’art. 2381 Cc (da non confondere con la delega in materia di sicurezza di cui all’art. 16 D.lgs. 81/2008), all’interno di strutture aziendali complesse, si può affidare ad uno o più amministratori, con poteri illimitati di spesa, le attribuzioni relative alla sicurezza sul lavoro (cfr. Cass. pen., sez. IV, 20.10.2022, n. 8476).

Pur essendo le deleghe tipiche delle società per azioni, anche nelle società a responsabilità limitata, amministrate da organi collegiali, lo statuto può intervenire sull’organizzazione interna, stabilendo compiti in materia di sicurezza in capo a taluno degli amministratori. Inoltre, nulla vieta che l’organo direttivo di una Srl, al proprio interno, provveda ad approvare un documento scritto, con data certa, sottoscritto dai vari amministratori, con il quale si stabiliscano i compiti di ciascun amministratore, assegnando ad uno (o più) di essi quelli in materia di sicurezza.

Nell’ambito di un eventuale procedimento penale, all’intento del quale si tende soprattutto ad accertare i ruoli effettivamente ricoperti da ciascuno, un documento del genere assumerebbe un valore non indifferente.

Ciò farebbe sì che tutti gli altri membri dell’organo direttivo, indipendentemente dalla forma societaria prescelta, vengano sollevati da responsabilità in materia di sicurezza.

 

La valutazione dei rischi e la nomina del RSPP

Particolare attenzione dovrebbe essere dedicata sempre alla valutazione di tutti i rischi possibili, in modo tale da non escluderne alcuno di quelli nel cui ambito potrebbe verificarsi un infortunio o una malattia professionale.

In caso di qualsiasi eventuale futura contestazione di violazioni di norme afferenti alla sicurezza sul lavoro, una delle prime verifiche che sarà compiuta è quella della inclusione del rischio concretizzatosi nel documento di valutazione dei rischi (DVR).

Pertanto, assai importante è la qualità e la completezza con la quale deve essere redatto ed aggiornato questo documento, poiché eventuali sue lacune rispetto al tipo di rischio dal quale potrebbe scaturisca un incidente o una malattia, costituirebbero il presupposto dell’imputazione colposa a carico del datore di lavoro che sarà individuato.

Si ricorda, che la redazione del DVR e la nomina del RSPP, secondo l’art. 17 del TUSL, non sono delegabili da parte del datore di lavoro. Tuttavia, nella sostanza, il datore di lavoro si limita alla sottoscrizione del DVR, affidando la sua redazione a specialisti del settore, ferma restando la sua responsabilità in caso di infortunio, quantomeno nella maggior arte dei casi, il che rappresenta una circostanza di non poco conto.

Al riguardo, si ritiene indispensabile affidarsi ad un professionista di alto livello, interno o esterno all’azienda, quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), con cui il datore di lavoro dovrebbe mantenere un filo diretto ed ininterrotto, possibilmente documentato, al fine di individuare ogni potenziale rischio, specie di fronte a nuove lavorazioni, nuove mansioni, introduzione di nuove forze lavoro, nuovi macchinari ecc., così continuando ad aggiornane il DVR.

 

La delega di funzioni ex art. 16 D.lgs. 81/2008

I principali strumenti di sgravio della responsabilità datoriale consistono nel trasferimento ad altri soggetti degli obblighi previsti in materia di sicurezza. Non vi è dubbio, quindi, che la delega di funzioni, prevista all’art. 16 del TUSL, realizzi il formale trasferimento dei poteri e obblighi datoriali di natura prevenzionistica al delegato, fermo restando in capo al delegante l’obbligo di vigilanza sul corretto svolgimento delle funzioni affidate (cit. Cass. pen, sez. IV, 20.10.2022, n. 8476).

Proprio in virtù dell’obbligo residuale in capo al delegante, talvolta si discute ancora delle rimanenti responsabilità che ne conseguono in capo a quest’ultimo, poiché non ancora del tutto pacifiche in giurisprudenza.

La delega, normalmente, viene rilasciata ad un dirigente. Questi potrà certamente essere un membro del consiglio di amministrazione. Così, spesso si vedono deleghe a favore del direttore del personale o altro dirigente delle HR.

Secondo quanto si è detto sopra, la delega ex art. 16 del TUSL potrà essere conferita anche e soprattutto al consigliere già munito di della gestoria dal consiglio di amministrazione, per quanto attiene alla sicurezza.

Tuttavia, la legge non contiene indicazioni specifiche in tal senso e non impone che il delegato ai sensi dell’art. 16 D.lgs. 81/2008 sia per forza un dirigente, sicché nulla vieta che essa venga rilasciata a favore di un dipendente d’azienda sotto ordinato, ad esempio un quadro, purché vengano rispettate le condizioni di legge. Non vi è dubbio, pertanto, che la delega possa essere conferita anche ad un soggetto esterno all’organo direttivo.

Tranne la valutazione dei rischi e la nomina del RSPP (cfr. art. 17 D.lgs. 81/2008), gli obblighi datoriali in materia di sicurezza sul lavoro sono tutti delegabili, ma la delega prevista dall’art. 16, D.lgs. 81/2008 è ammessa con i seguenti limiti e condizioni: a) che essa risulti da atto scritto recante data certa; b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate; e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.

Troppo spesso capita ancora di vedere deleghe non sottoscritte, conferite a soggetti non sufficientemente formati in ordine ai rischi specifici d’impresa o senza idonei poteri di spesa, il che ne vanifica gli effetti.

Alla delega deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità, ma talvolta i dipendenti non vengono neppure messi a conoscenza dell’aggiornamento dell’organigramma e dei ruoli all’interno della propria azienda da parte dei propri datori di lavoro.

Da notare che la norma non prevede che la delega venga registrata presso il registro delle imprese, anche se la cosa potrebbe essere consigliabile. Per giunta, da parte di molti si ritiene preferibile che la delega ai sensi dell’art. 16 TUSL venga conferita mediante atto notarile.

Invero, non essendo le modalità espressamente stabilite dalla legge, la pubblicità può essere realizzata anche attraverso altri canali informativi, peraltro pure congiuntamente, come circolari interne, diffusioni di organigrammi aziendali, ecc.

È vivamente consigliabile mantenere traccia di ogni forma di pubblicità della delega, salvando adeguatamente in file ogni tipo di comunicazione che ne attesti l’esistenza. In questa prospettiva, anche l’esportazione e il salvataggio di chat di gruppi WhatsApp, che dovessero contenere indicazioni nella prospettiva qui in commento rivestono utilità.

Di fondamentale importanza è il requisito di validità della delega afferente alla autonomia di spesa del delegato per quanto riguarda qualsiasi spesa necessaria per l’espletamento sicuro delle attività.

Al riguardo, nel mondo delle imprese, talvolta si suole delimitare i poteri di spesa al fine di prevenire eventuali acquisti inutili, sperperi o condotte infedeli, prevedendo la firma congiunta con uno degli amministratori per spese superiori a determinati importi. Affinché la delega mantenga efficacia, la cosa importante è che i limiti di spesa necessitanti di firma congiunta siano alti, in modo tale che il delegato possa far fronte autonomamente ad ogni necessità in ottica prevenzionistica.

Secondo il terzo comma dell’art. 16, la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. L’obbligo di cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4.

Per il comma 3-bis il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il datore di lavoro delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro alle medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2. La delega di funzioni di cui al primo periodo non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite. Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate.

Quello che invece non è chiaro, perché non stabilito dalla legge, è il confine di tale obbligo di vigilanza, il quale, pertanto, viene lasciato alla interpretazione della giurisprudenza, che ha assunto posizioni ondivaghe, a discapito della certezza del diritto.

In epoca molto recente, in maniera condivisibile e garantista, si è affermato che tale obbligo debba attestarsi a un livello di alta vigilanza in forza del quale il delegante non deve procedere a un puntuale e continuo controllo sull’operato del delegato (Cass. Pen., Sez. IV, n. 51455 del 5.10.2023).

Tale obbligo, pertanto, potrebbe essere adempiuto mediante controlli a campione, e-mail e WhatsApp contenenti raccomandazioni e richieste.

Ad ogni buon conto, si deve ritenere che la presenza di una delega funzionale, conferita ex art. 16 del TUSL, in presenza di tutti i requisiti previsti dalla norma e di un sufficiente livello di supervisione, sgrava il datore di lavoro da responsabilità penale.

 

La nomina dei preposti

Se, come si è dato sopra, il conferimento di una delega di funzioni per ciò che attiene alla sicurezza sul lavoro può sgravare enormemente il datore di lavoro, considerazioni simili, ancorché dotate di portata meno salvifica, valgono per la nomina di uno o più preposti.

Il preposto è la «persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa» [art. 2 c. 1 lett. e), D.lgs. 81/2008].

Con il termine ”sovrintendere”, secondo il concorde orientamento della dottrina e della giurisprudenza, si indica l’attività rivolta alla vigilanza sul lavoro dei dipendenti per garantire che esso si svolga nel rispetto delle regole di sicurezza.

Generalmente questa figura, nell’organigramma aziendale, è costituita da capi-squadra, capi-reparto, capi-officina, capi-sala, capi-cantiere, ecc..

Il D.l. 21.10.2021, n. 14, convertito con L. 215/2021, modificando l’art. 18 D.lgs. 81/2008, intitolato agli «obblighi del datore di lavoro e del dirigente», ha introdotto il comma 1 la lettera b-bis), secondo il quale, ora, il datore di lavoro e il dirigente devono «individuare il preposto o i preposti per l’effettuazione delle attività di vigilanza …».

In generale, si può affermare che non spetti al preposto adottare direttamente misure di prevenzione, bensì fare applicare quelle predisposte dal datore di lavoro e dal delegato (eventualmente su indicazione del RSPP), intervenendo con le proprie direttive, impartendo le cautele da osservare, inoltrando le dovute segnalazioni al datore e in casi estremi fermando i lavori.

Per una più esaustiva trattazione, si ricorda che l’art. 19 del TUSL prevede una serie di obblighi del preposto, che sonno stati ulteriormente integrati dal citato D.l. 21.10.2021, n. 14, conv. con L. 215/2021.

Per quanto qui rileva, la nomina di uno o più preposti, certamente sgrava in qualche misura il datore di lavoro, ma con altrettanta certezza non esime il datore di lavoro dalla dovuta vigilanza.

Si tratta, ora, di stabilire il perimetro di tale obbligo di vigilanza.

Recentemente, i giudici di legittimità, prendendo le mosse da un principio generale derivante dall’art. 18 del D.lgs. 81/2008 (TUSL), qual è il dovere di vigilanza del datore di lavoro nei confronti di tutti i suoi sottoposti, siano essi delegati, preposti, capi squadra, operai più o meno specializzati rispetto alle mansioni svolte, hanno spiegato che le modalità attraverso le quali esercitare il dovere di vigilanza datoriale, non essendo specificamente definite dal legislatore, devono essere rimesse all’organizzazione aziendale, che dovrà conformarle in maniera adeguata in base alle situazioni che di volta in volta si presentano (Cass. Pen., Sez. IV, n. 51455 del 5.10.2023).

Da tempo la giurisprudenza ha preso atto dell’impossibilità che il titolare formale degli innumerevoli obblighi in materia di sicurezza possa integralmente adempiervi personalmente, assumendo come essenziale per il corretto esercizio dell’attività d’impresa la presenza di centri intermedi di imputazione della responsabilità, a partire dalla nomina di preposti e dalla delega di funzioni ex art. 16, D.lgs. 81/2008.

Sulla base di tale assunto, nella sentenza citata si sostiene che il datore di lavoro possa assolvere all’obbligo di vigilare sull’osservanza delle misure di prevenzione degli infortuni, limitandosi ad adottare le procedure e gli strumenti che gli consentano di conoscere le attività lavorative effettivamente svolte e le loro concrete modalità esecutive. Pertanto, si stabilisce che “il controllo richiesto al datore di lavoro non è personale e quotidiano”, sicché “ogni volta che le dimensioni dell’impresa non consentano un controllo diretto [esso] è affidato a procedure: report, controlli a campione, istituzione di ruoli dirigenziali e quanto altro la scienza dell’organizzazione segnali come idoneo allo scopo nello specifico contesto”.

In altre parole, in assenza di una norma che delimiti il dovere di vigilanza del datore di lavoro rispetto ai compiti attribuiti al dipendente preposto, soggetto che ricopre una posizione di garanzia a titolo originario, poiché prevista dalla legge (artt. 299 e 2, D.lgs. 81/2008), i giudici di legittimità hanno mutuato principi stabiliti in un’area contigua, quella riguardante il delegato (di cui si è detto sopra), che è un garante a titolo derivato (art. 16), applicando i principi giurisprudenziali formatasi a tale riguardo.

Ne deriva che la nomina di uno o più preposti, effettuata in presenza di tutti i requisiti necessari (di cui si dirà), specie nelle imprese la cui organizzazione non consente una vigilanza datoriale su tutte le lavorazioni, sgrava parzialmente il datore di lavoro dalla verifica degli obblighi in materia prevenzionistica, in relazione a tutte quelle incombenze quotidiane, che attengono alle lavorazioni specifiche, che vengano svolte sotto la sovrintendenza del preposto, fermo restando il dovere di alta vigilanza del dolore di lavoro; dovere di vigilanza che, per quanto possa essere effettuato mediante ”controlli a campione”, come valentemente stabilito dalla corte, si ritiene opportuno conformare in maniera più dettagliata rispetto a quello esercitato sul delegato, atteso che il preposto non è un dirigente.

I preposti devono ricevere una formazione particolarmente approfondita e specifica rispetto dall’azienda in cui lavorano.

In un diritto penale del fatto, che privilegia la sostanza sulla forma, esiste anche la figura del preposto di fatto (cfr. art. 299 TUSL), attribuibile a colui che, quale capo-reparto-cantiere-turno-squadra, operi sostanzialmente in questa veste, senza aver ricevuto alcuna nomina formale.

Fermo restando che tale figura sta via via ridimensionandosi, essendo divenuta obbligatoria la nomina dei preposti, non si può escludere la presenza di ulteriori soggetti (rispetto a quelli formalmente già nominati) che di fatto abbiano assunto posizioni sovra ordinate rispetto ad altri dipendenti dell’impresa. Tuttavia, è del tutto evidente per quel che importa queste considerazioni, che il datore di lavoro attento, abbia tutto l’interesse a nominare preposti nella maniera più corretta possibile, al fine di restringere il perimetro delle proprie responsabilità, restando egli in ogni caso la figura più esposta nella piramide aziendale delle responsabilità.

 

*Avvocato in Milano

 

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