di Fabiano D’Amato*

L’I.N.L., ha reso disponibile l’aggiornamento delle FAQ del 26 giugno 2025, con riferimento alla c.d. “Patente a Crediti”, il cui obbligo, nei casi previsti, è stato introdotto con decorrenza dal 1° ottobre 2024.

La presenza di questi chiarimenti si rende via via utile al fine di chiarire dettagli circa aspetti complessi di un adempimento di rilevante importanza.

Fra le altre cose, l’Ispettorato è intervenuto fornendo chiarimenti in merito alla dichiarazione di regolarità con gli obblighi formativi, prevista nella richiesta della “patente” stessa.

Le FAQ sono consultabili sul sito dell’INL al seguente link:

https://www.ispettorato.gov.it/2024/10/15/patente-a-crediti-faq/

*ODCEC Roma

di Fabiano D’Amato*

Sul sito del Fondo di Solidarietà Bilaterale dell’Artigianato, è stato comunicato l’aggiornamento delle procedure per i soggetti inquadrati dal punto di vista previdenziale nel settore 4, recanti il codice autorizzazione INPS 7B (artigiani non edili).

In particolar modo si ricorda quanto previsto per la possibilità di fruire delle prestazioni di integrazione salariale, ove ricorrano i presupposti.

In particolare, il datore di lavoro eventualmente richiedente dovrà:

  • Essere regolare con la contribuzione all’Ente, in presenza di dipendenti, da almeno 5 anni a ritroso dalla data di sospensione; il periodo sarà più breve in caso di inizio attività che comporti l’obbligo di iscrizione da meno di 5 anni, con un minimo di un mese.
  • In assenza di regolarità, versare in anticipo a mezzo F24 gli importi dovuti, seguendo la apposita procedura.
  • Per gli anni 2019-2020-2021, andrà versato un importo di 100 euro annui per dipendente (media dell’anno di competenza).

Si ricorda che le procedure gestionali del Fondo FSBA sono gestite attraverso il sistema SINAWEB.

Informazioni piu’ approfondite sono reperibili sul sito FSBA: https://www.fondofsba.it/, attraverso il quale, con le apposite credenziali, sarà possibile accedere anche alla procedura SINAWEB.

*ODCEC Roma

di Fabiano D’Amato*

L’INPS, con Messaggio 18.6.2025 n.1935, ha comunicato un aggiornamento di quanto comunicato con Circolare 12.5.2025, n.90.

L’Istituto ha specificato che, per le assunzioni/trasformazioni effettuate dal 1.7.2025 in applicazione dell’agevolazione prevista dall’art.22 c.1 D.L. 7.5.2024 n.60 Conv. L. 4.7.2024 n.95, (“Bonus” Giovani di cui al c.d. Decreto Coesione), è subordinata al rispetto del requisito dell’incremento occupazionale netto.

Tale Messaggio si è reso in particolare necessario in quanto:

  • Il ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha comunicato che la Commissione europea ha richiesto l’inserimento dell’aumento netto del numero dei lavoratori nell’impresa, al fine dell’ammissibilità della spesa sul programma per gli incentivi all’occupazione per i giovani, nell’ambito del negoziato per la riprogrammazione del Programma nazionale giovani, donne e lavoro 2021-2027,
  • Sono stati necessari aggiornamenti delle procedure attuative e del modulo di domanda.

Il Messaggio è disponibile al seguente link:

https://www.inps.it/it/it/inps-comunica/atti/circolari-messaggi-e-normativa/dettaglio.circolari-e-messaggi.2025.06.messaggio-numero-1935-del-18-06-2025_14951.html

*ODCEC Roma

Fattore umano e soft skills come elementi chiave nella prevenzione degli incidenti sul lavoro in edilizia

L’articolo esplora la rilevanza del fattore umano e dell’errore nel settore delle costruzioni, evidenziando come la gestione delle soft skills – quali comunicazione efficace, consapevolezza situazionale e gestione dello stress – sia fondamentale per ridurre gli incidenti sul lavoro. Sottolinea inoltre l’importanza di una formazione continua e mirata che favorisca una cultura condivisa della sicurezza, con benefici concreti sia per i lavoratori sia per le imprese.

Uno sguardo ai numeri

È noto come sotto il profilo della sicurezza sul lavoro il settore delle costruzioni sia uno dei comparti più a rischio e come la sua struttura, spesso rappresentata da piccole e microimprese, renda complessa l’implementazione di sistemi di prevenzione particolarmente strutturati.
Dai dati INAIL emerge che nel 2023 nel settore delle costruzioni si sono verificati oltre 43.000 infortuni sul lavoro e 202 morti sul lavoro. Tra le cause principali figurano le cadute dall’alto (da ponteggi e impalcature), gli incidenti da schiacciamento, le ferite causate da materiali taglienti e abrasivi, le lesioni da sforzi fisici nel sollevamento e nella movimentazione manuale dei carichi.
Negli ultimi anni sta emergendo anche il fenomeno dalle malattie professionali: nel 2023 nel settore costruzioni ne sono state denunciate quasi 13.000. Le malattie più frequenti sono di natura muscolo-scheletrica, causate da posture scorrette, sollevamento di carichi pesanti e vibrazioni. Le patologie maggiormente ricorrenti sono: ernie discali, tendiniti e sindromi da sovraccarico funzionale, sindrome del tunnel carpale e disturbi respiratori.

Il ruolo centrale del fattore umano

Vari studi evidenziano che il fattore umano esercita un ruolo fondamentale nel fenomeno degli infortuni sul lavoro, sia in senso positivo che negativo, cioè, ne può essere causa determinante e contestualmente può essere modalità di mitigazione.
La sicurezza sul lavoro e la prevenzione sono possibili se si punta su un equilibrio tra le componenti fondamentali del sistema complesso costituito da uomo, macchina ed ambiente.
Il processo di prevenzione non può consistere solo nell’eliminazione dei rischi, ma deve comprendere tutte le condizioni che possono innescare l’infortunio, perché è lo squilibrio tra le tre componenti del sistema che provoca la riduzione di affidabilità del sistema.
L’uomo è quindi componente fondamentale e vari studi hanno dimostrato che la maggior parte degli incidenti non deriva da una mancanza di competenze tecniche, ma da fattori umani come una scarsa comunicazione, una insufficiente gestione dello stress o da lacune organizzative.

Comprendere l’errore umano

I primi studi sull’importanza del cosiddetto fattore umano nel verificarsi di infortuni risalgono agli anni Settanta nel settore dell’aviazione. In precedenza, erano prevalenti teorie “meccaniche” e si riteneva che per compiere in maniera sicura il lavoro fosse necessario possedere esperienze tecniche.
L’errore umano invece può essere la causa di incidenti, con conseguenze anche gravi, sia che si verifichi in fase di esecuzione o in fase di pianificazione dell’attività lavorativa, sia che venga determinato dal mancato riconoscimento di un pericolo o dalla incapacità di gestire situazioni particolari ed improvvise.
Dai primi studi effettuati nel settore del trasporto aereo era emerso che più della metà degli incidenti era proprio la conseguenza di errori umani legati alla comunicazione tra i componenti dell’equipaggio, alla errata ripartizione dei ruoli, al mancato coordinamento o alla incapacità di prendere decisioni rapide.

Il comportamento dell’uomo può essere distinto in tre situazioni alle quali sono ascrivibili altrettante tipologie di errori:

  1. “skill based”: errori dovuti a disattenzione; il caso tipico è quello di operatori che hanno una buona esperienza nello specifico campo di lavoro e che quindi nello svolgere un compito di routine diminuiscono l’impegno mentale;

  2. “rule based”: errori riconducibili all’applicazione di procedure corrette nel momento sbagliato, oppure alla scelta di procedure non adeguate alla situazione;

  3. “knowledge based”: errori provocati dalla mancanza di conoscenze o dalla loro non corretta applicazione, e quindi dalla difficoltà di trovare le soluzioni ottimali quando ci si trova in presenza di situazioni nuove o impreviste, per le quali non si conoscono le regole o le procedure di riferimento.

Tra gli errori umani sono però comprese anche le azioni intenzionali in violazione delle procedure, che possono avvenire eccezionalmente o costituire una routine. Queste azioni in molti casi sono scelte in buona fede per “migliorare” o “velocizzare” le procedure esistenti.

Gli errori umani posso essere distinti anche basandosi sulla causa scatenante e sulle condizioni in cui l’errore si verifica; in tal senso gli errori possono essere classificati come errori dovuti a:

  • fattori attivi: risultanti da azioni degli operatori, più facili da riconoscere ed analizzare poiché immediatamente percepiti e facilmente individuabili;

  • fattori passivi, dovuti a cause non immediatamente presenti sul luogo dell’errore, che richiedono un’analisi molto più laboriosa per rintracciarne l’origine. Questa tipologia di errori viene anche definita come errori latenti, in quanto associati ad attività distanti dal luogo e dal momento dell’incidente (attività manageriali, normative e organizzative). Spesso le azioni insicure che portano all’incidente sono precedute, a livello immediatamente superiore, da sistemi o procedure di controllo non adeguati e, al vertice, da decisioni inadeguate della dirigenza che influenzano direttamente o indirettamente tutti i livelli sottostanti.

L’incidente avviene quindi quando si verifica una serie di precondizioni. Molto spesso però si verificano errori che vengono corretti dagli altri livelli di salvaguardia: in tali casi si parla dei cosiddetti quasi incidenti la cui rilevazione può essere un potente strumento per valutare correttamente le eventuali condizioni di rischio (near missing).
Per tutti questi motivi la comprensione dell’errore umano è il primo passo verso una strategia di prevenzione efficace.

L’importanza delle soft skill (non-technical skills)

L’errore umano in ambito lavorativo non è certamente qualificabile come una semplice disattenzione; si tratta invece più spesso di errori derivanti da sovraccarichi cognitivi o da un’organizzazione aziendale non adeguata.
Spesso tra i fattori si annovera anche una diffusa cultura aziendale che non evidenzia l’importanza della segnalazione di pericoli.
Per questo motivo in materia di prevenzione sulla sicurezza sul lavoro è necessario approfondire e sviluppare anche le soft skill (altrimenti definite come non-technical skills – NTS).
Si tratta di sviluppare competenze che vanno oltre le abilità tecniche e riguardano la capacità di gestire situazioni complesse attraverso comportamenti e abilità personali e sociali.
Tra le principali soft skill fondamentali per il settore edile possiamo enucleare:

  • Consapevolezza situazionale: capacità di riconoscere e anticipare situazioni pericolose, prestando attenzione all’ambiente e identificando tempestivamente i rischi.

  • Capacità decisionale: abilità di prendere decisioni rapide e corrette anche sotto pressione, valutando le informazioni disponibili ed agendo in modo sicuro.

  • Comunicazione efficace: capacità di coordinare le attività tra team affinché le informazioni sulla sicurezza vengano comprese chiaramente da tutti.

  • Lavoro di gruppo: capacità di collaborare in modo efficace e condividere le informazioni tra i membri del gruppo per mantenere un ambiente sicuro.

  • Leadership: capacità di coordinare le attività lavorative, assicurando l’osservanza delle procedure di sicurezza e motivando il team a comportamenti sicuri.

  • Gestione dello stress: abilità nel riconoscere e gestire lo stress per evitare che le pressioni psicologiche influiscano negativamente sulla sicurezza.

Il fattore umano e la capacità di gestire lo stress e la fatica del lavoro in edilizia

In ambienti lavorativi ad alto rischio come quello delle costruzioni è molto importante, per evitare l’insorgere di errori, sviluppare l’abilità di riconoscere e gestire lo stress.
Spesso la stanchezza fisica e mentale aumenta la probabilità di commettere errori e generare situazioni insicure per sé e per gli altri.
Vanno attivate pertanto anche tutte quelle misure che possono indurre una riduzione dello stress e tra le contromisure per combattere la fatica, così frequente nel settore delle costruzioni, si possono ricordare:

  • comportamenti mirati al miglioramento della durata e qualità del sonno;

  • dieta adeguata, evitando cibi grassi, alcolici e caffeina;

  • attenzione alla assunzione di farmaci stimolanti, da assumere solo sotto controllo medico;

  • pianificazione organizzativa: evitare attività complesse tra le 03:00 e le 06:00 e considerare fattori climatici.

Formazione: leva fondamentale per la sicurezza

Possiamo senza dubbio affermare che solamente una formazione mirata può ridurre significativamente gli incidenti lavorativi causati da comportamenti a rischio legati a errori umani.
È però altrettanto fondamentale erogare una formazione continua: sviluppare un programma costante per sensibilizzare i lavoratori sui rischi e sui comportamenti sicuri.
L’apprendimento deve essere attivo: workshop, simulazioni e attività pratiche rendono la formazione più efficace.

La formazione sviluppa una cultura della sicurezza e il messaggio chiave è: essere consapevoli dei rischi permette di agire proattivamente per evitarli.
In questo contesto, la formazione non può essere un obbligo formale, ma deve diventare una leva di cambiamento, basata sulla condivisione.

Vision Zero: un modello innovativo di prevenzione

Un modello che rappresenta quanto detto finora è Vision Zero, programma lanciato nel 2017 durante il XXI Congresso Mondiale sulla salute e sicurezza sul lavoro.
L’idea di fondo è che la sicurezza non sia solo adempimento burocratico, ma parte integrante della cultura aziendale.
Vision Zero prevede lo sviluppo di sette regole d’oro:

  1. Leadership e impegno concreto della direzione.

  2. Identificazione e controllo dei rischi.

  3. Definizione chiara di obiettivi e programmi.

  4. Sistema organizzativo strutturato.

  5. Sicurezza e manutenzione di macchinari e ambienti.

  6. Sviluppo costante delle competenze.

  7. Partecipazione attiva dei lavoratori.

Conclusioni: investire nella prevenzione è vantaggioso per tutti

La sicurezza nel settore costruzioni richiede un approccio a più livelli: analitico, sistemico, umano e operativo.
Investire nella prevenzione non è solo un dovere etico e giuridico, ma un vantaggio competitivo: riduzione dei costi, aumento della produttività, miglior reputazione.
Ma soprattutto: significa salvare vite!

di Monica Livella
Responsabile della sede Inail di Cremona, giornalista pubblicista, formatrice salute e sicurezza luoghi di lavoro

Cassazione, sez. lav., ordinanza dell’8 aprile 2025, n. 9284

La Corte di Cassazione è tornata sul tema – sempre più di attualità – del rapporto esistente tra il diritto del lavoratore ad essere reintegrato in servizio e la maturazione – da parte del medesimo lavoratore – del requisito pensionistico.

Un lavoratore in favore del quale era stato giudizialmente accertato (con sentenza del 2015) il diritto alla reintegrazione esercitava successivamente il diritto di opzione, proponendo (con ricorso depositato nel 2019) un secondo giudizio avverso il datore di lavoro per ottenere il pagamento dell’indennità sostitutiva ex art. 18, comma 4° dello Statuto dei Lavoratori.

Il Tribunale di Cosenza prima e poi la Corte d’Appello di Catanzaro accoglievano le richieste del lavoratore, senza tuttavia considerare che, nel frattempo, questi aveva raggiunto i requisiti pensionistici e aveva iniziato a beneficiare del relativo trattamento già nel 2017.

Questo è il tema centrale della vicenda in commento. Difatti, ad avviso della Società ciò costituiva una circostanza determinante e sufficiente ad escludere l’applicazione dell’art. 18 S.L.

La Società pertanto ricorreva per Cassazione dolendosi del fatto che i giudici di merito non avessero tenuto conto del fatto che il lavoratore fosse già titolare di pensione di vecchiaia: questa circostanza, cioè, avrebbe dovuto escludere sia il diritto alla reintegra che quello all’indennità sostitutiva, quanto meno dalla data di accesso alla pensione.

La Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso della società.

La Corte ha infatti affermato che l’effettivo godimento della pensione di vecchiaia può costituire un comportamento concludente idoneo a escludere la reintegrazione. La richiesta e l’ottenimento del trattamento pensionistico da parte del lavoratore ben può essere qualificata come implicita manifestazione della volontà di porre fine al rapporto di lavoro. In questo caso, la reintegrazione sarebbe quindi impossibile per un fatto che non è più imputabile al datore di lavoro, bensì al lavoratore.

Di talché, ad avviso della Corte, anche l’indennità sostitutiva – il cui presupposto sarebbe costituito dall’attualità del diritto alla reintegra – non può essere riconosciuta.

E ciò anche perché, ad avviso della Suprema Corte, la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare se il lavoratore fosse effettivamente andato in pensione e se ciò avesse costituito una causa ostativa alla reintegrazione.

L’omissione di tale accertamento ha quindi determinato la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Catanzaro.

La pronuncia è certamente rilevante perché riconosce che il raggiungimento dei requisiti pensionistici e la fruizione della pensione possono indicare una volontà, anche implicita, del lavoratore di cessare il rapporto di lavoro. L’esistenza di tale volontà va però necessariamente valutata in concreto e caso per caso.

di Bernardina Calafiori e Eleonora Ilario
Avvocati Studio Legale Daverio & Florio
(studiolegale@daverioflorio.com)

di Bernardina Calafiori e Alessandro Montagna

Con la pronunzia in commento (Cass., sez. lav., n. 7825 del 29.01.2025, depositata il 24.03.2025), la Suprema Corte di Cassazione ha colto lo spunto per confermare, nell’ambito dell’iter motivazionale sotteso alla decisione in esame, una serie di fondamentali principi in materia di licenziamento disciplinare del dipendente.

Chiamata a stabilire se il licenziamento di un dipendente, colpevole di avere reiteratamente violato una serie di disposizioni datoriali in ordine al corretto uso degli strumenti informatici assegnati ai dipendenti per ragioni di servizio, fosse qualificabile come recesso datoriale per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo, la Suprema Corte ha fissato i seguenti principi di diritto:

(i) che, al fine di stabilire se il licenziamento del dipendente sia fondato su giusta causa ovvero su giustificato motivo soggettivo, rileva la gravità dell’inadempimento ascritto al dipendente, posto che la relativa valutazione “… si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento addebitato al lavoratore in relazione al concreto rapporto, e l’inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 cod. civ., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (giustificato motivo soggettivo: n.d.r.) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (giusta causa: n.d.r.) …”;

(ii) che, al fine di pervenire alla qualificazione del licenziamento per “giusta causa”, e dunque ex art. 2119 c.c., ovvero per “giustificato motivo soggettivo”, e dunque ex art. 3 legge 604 del 15.07.1966, le esemplificazioni dei casi che integrano l’una ovvero l’altra causa di recesso all’interno dei contratti collettivi non sono vincolanti, atteso che il relativo elenco ha “… una valenza meramente esemplificativa, sicché non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito …”;

(iii) che, atteso che “giusta causa” e “giustificato motivo soggettivo”, come sopra individuati, si differenziano sul piano meramente quantitativo, pur essendo idonee, entrambe le qualificazioni, a fondare il recesso datoriale, deve ritenersi “… certamente ammissibile, anche in sede d’impugnazione, la conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo …”.

(iv) che l’esito favorevole per il dipendente del giudizio di impugnazione del suo licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo determina, in esito alla ricostituzione del rapporto di lavoro senza soluzione di continuità dal giorno del recesso datoriale (e, dunque, non in caso di tutela indennitaria), il diritto alla percezione delle retribuzioni eventualmente non corrisposte dal datore di lavoro durante il periodo di allontanamento cautelare dal servizio.

Si tratta, come detto, di principi di diritto consolidati, che la Suprema Corte ha inteso ribadire con nettezza nella pronunzia in commento, dai quali non è dato prescindere ai fini di una regolare instaurazione del procedimento disciplinare che “sfoci” nel licenziamento, immediato ovvero con preavviso, del dipendente.

di Graziano Vezzoni*

Cari colleghi, oggi ho vissuto un’esperienza così straordinaria che non posso fare a meno di condividerla con voi. Sì, perché sono entrato nella sede INPS di Lucca e mi sono sentito come Harry Potter al Ministero della Magia – solo che invece di maghi c’erano impiegati e anziché bacchette magiche si brandivano timbri e calcolatrici.
L’atrio era un tripudio di colleghi in attesa, tutti con lo sguardo speranzoso di chi sta per assistere al primo spettacolo del mattino al Cirque du Soleil. Alle pareti troneggiavano le foto degli impiegati del mese, che sorridevano come star, e l’atmosfera era così allegra che avrei giurato di sentire in sottofondo la colonna sonora di un film.
Quando è stato il mio turno, un funzionario dall’aspetto tanto solerte quanto gentile mi ha accolto con un “Signor Graziano, venga, si accomodi”, che più caloroso non si poteva. E mentre mi sedevo, ecco apparire un caffè così aromatico da far sembrare quello del barista sotto casa un brodino insipido. Ma non finisce qui!
Accanto al caffè, un pasticcino degno di una scena di “La Grande Abbuffata”, credetemi, anche Zeus avrebbe lasciato l’Olimpo per un boccone così divino.
Dopo aver gustato queste prelibatezze, invitato dal sorridente funzionario, ho esposto il motivo della mia visita: verificare una cartella esattoriale più complicata di un episodio di “Lost”. Il mio cliente aveva regolarmente versato i contributi, ma secondo l’INPS, no. Il funzionario, riscontrata la mia documentazione ed effettuato un paio di clic sul computer e una telefonata, come per magia, risolve tutto. Il funzionario arrossando in faccia pronuncia: “Mi devo scusare per l’accaduto, la colpa è stata nostra. Adesso è tutto a posto, la cartella è sgravata.”
Con un sorriso largo come quello del Gatto di Alice nel Paese delle Meraviglie, lo saluto e, attraversando nuovamente l’atrio ormai deserto, ho pensato: “Ma guarda un po’, l’isola che non c’è esiste davvero!”
Arrivato in ufficio ero già pronto a inviare al Direttore dell’INPS di Lucca una mail di ringraziamento quando, ahimè, la realtà ha bussato alla mia porta – o meglio, la sveglia mattutina ha suonato. Tutto questo era stato un sogno, un meraviglioso sogno burocratico.
Con un misto di nostalgia per il sogno svanito e la speranza per un futuro altrettanto efficiente (ma stavolta nella vita reale), mi dirigo verso il mio ufficio, consapevole che mi sarebbe aspettata una giornata di lotta contro i vari cassetti previdenziali, fiscali, PEC e telefonate senza risposte.
Cari Direttori (INPS, INL, INAIL e AE), perché dobbiamo relegare un servizio così essenziale per le nostre aziende ai confini del mondo onirico?
Capisco che sognare non costa nulla, ma rendere quei sogni realtà sarebbe impagabile.
Con affetto e una punta di ironica malinconia,
Il vostro commercialista del lavoro che ancora crede nelle favole.

*ODCEC Lucca

di Ivana De Michele*

Quando la pluralità diventa motore di innovazione, crescita economica e sviluppo sociale nei luoghi di lavoro

Non dimenticherò mai una conversazione con una giovane imprenditrice che, alla fine di un nostro incontro, mi disse: “Pensavo che inserire donne in ruoli chiave fosse una scelta etica. Poi ho scoperto che è anche la decisione più intelligente che abbia mai preso per far crescere la mia azienda.”

In quel momento ho capito che il valore della diversità non si misura solo in termini morali, ma anche in termini concreti di competitività, redditività e visione strategica. Da commercialista e da professionista impegnata sui temi delle pari opportunità, lo vedo ogni giorno: le aziende più inclusive sono quelle che crescono meglio e durano di più.

Per anni il dibattito sulla diversità è stato relegato alla sfera del “dover essere”. Ma nel mondo postpandemico, dove i modelli lavorativi stanno cambiando rapidamente e le sfide globali richiedono
visioni nuove, la diversità è diventata un asset strategico. Non si tratta più di rispettare una percentuale, ma di capitalizzare l’intelligenza collettiva. E farlo genera risultati.

Nel dicembre 2023, McKinsey ha pubblicato il quarto report della serie “Diversity Matters”, basato su un dataset ampliato che include 1.265 aziende in 23 paesi.
I risultati mostrano che la correlazione tra diversità e performance finanziaria è più forte che mai:

  • Le aziende nel top quartile per diversità di genere nei team esecutivi hanno una probabilità del 39% maggiore di superare i concorrenti in termini di redditività.
  • Lo stesso vale per la diversità etnica nei team esecutivi, con un aumento del 39% nella probabilità di outperforming.
  • Le aziende con oltre il 30% di donne nei team esecutivi mostrano una performance finanziaria significativamente superiore rispetto a quelle con una rappresentanza inferiore.
  • Per la prima volta, è stata osservata una correlazione statisticamente significativa tra diversità nei consigli di amministrazione e performance finanziaria: le aziende nel top quartile per diversità di genere nei board hanno una probabilità del 27% maggiore di ottenere risultati finanziari superiori.

Inoltre, la mancanza di diversità sta diventando sempre più penalizzante: le aziende nel bottom quartile per entrambe le metriche (genere ed etnia) hanno una probabilità del 66% inferiore di ottenere performance superiori rispetto ai concorrenti.
Il report McKinsey-LeanIn del 2024 evidenzia che le donne rappresentano ora il 29% dei ruoli C-suite, rispetto al 17% del 2015. Tuttavia, persistono ostacoli significativi:

  • Il cosiddetto “broken rung” rimane il principale ostacolo: per ogni 100 uomini promossi da entrylevel a manager, solo 81 donne ricevono la stessa promozione, e solo 73 donne di colore.
  • Le donne continuano a sperimentare microaggressioni e discriminazioni sottili, che hanno un impatto negativo sulla loro sicurezza psicologica e sulla probabilità di burnout.
  • La flessibilità lavorativa si conferma un fattore chiave: l’80% delle donne afferma che la flessibilità le ha aiutate a mantenere il proprio ruolo o a evitare la riduzione dell’orario lavorativo.

Sebbene i report McKinsey siano globali, i dati italiani mostrano un ritardo nella diversità nei vertici aziendali.
Secondo il rapporto Cerved 2023, solo il 18% delle posizioni nei CDA delle società italiane non quotate è occupato da donne e secondo il Gender Equality Index 2023 dell’European Institute for Gender Equality (EIGE), l’Italia si colloca sotto la media europea, soprattutto nei settori dell’occupazione femminile, della partecipazione ai ruoli decisionali e del gender pay gap.

Nonostante il livello di istruzione delle donne italiane sia mediamente superiore a quello maschile, il tasso di occupazione femminile si ferma al 51,1% (contro una media UE del 67%), e la presenza nei ruoli apicali resta bassa. Solo il 18% delle imprese italiane ha una donna come amministratore unico o delegato. Le retribuzioni,
a parità di ruolo e competenze, continuano a mostrare una differenza salariale del 12% netto, che sale fino al 40% in alcune professioni libere.

Questi numeri non sono solo un problema sociale.
Sono un freno alla crescita economica del Paese.
Secondo Banca d’Italia, se l’occupazione femminile raggiungesse quella maschile, il PIL italiano crescerebbe di circa 7 punti. Un dato che dovrebbe far riflettere tutti: inclusione e crescita non sono antagonisti. Sono alleati.

Infatti le aziende italiane che hanno investito in leadership diversificata mostrano segnali positivi in termini di innovazione e resilienza.

Il valore della diversità nei luoghi di lavoro non si limita all’equità. Riguarda l’innovazione. Ambienti omogenei tendono a riprodurre gli stessi schemi decisionali, con il rischio di cadere in una comfort zone che inibisce la creatività. Al contrario, un team eterogeneo porta a soluzioni più complesse, ma anche più efficaci, proprio perché nate dall’incontro (e talvolta dallo scontro) di visioni differenti.

Le aziende che promuovono una cultura inclusiva sono anche quelle che:

  • attraggono e trattengono talenti (soprattutto le nuove generazioni)
  • sviluppano prodotti e servizi più adatti a un mercato globale
  • ottengono migliori risultati in termini di reputazione e responsabilità sociale
  • hanno accesso a forme di finanziamento legate ai criteri ESG

Dal 2024, con l’entrata in vigore della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), la rendicontazione della diversità è diventata un obbligo normativo per migliaia di imprese europee. Le aziende saranno tenute a dichiarare pubblicamente il proprio impegno e i risultati raggiunti su diversi ambiti, tra cui:

  • presenza di donne nei ruoli apicali
  • politiche retributive inclusive
  • misure di conciliazione vita-lavoro
  • prevenzione delle discriminazioni
  • cultura organizzativa e formazione

Gli standard ESRS (European Sustainability Reporting Standards), sviluppati da EFRAG, forniscono uno schema preciso per questa rendicontazione.
Questo significa che diversità e inclusione entrano a pieno titolo nella governance aziendale, come elementi valutabili dagli investitori e dai mercati.

La valorizzazione della diversità non riguarda solo le grandi imprese. Anche le PMI, gli studi professionali, gli enti pubblici e gli ordini professionali possono e devono lavorare per promuovere modelli organizzativi più inclusivi.
Per farlo servono:

  • strumenti di analisi del gender pay gap
  • formazione sul linguaggio e i bias inconsci
  • politiche di flessibilità oraria e smart working
  • mentoring e sponsorship per la crescita professionale delle donne
  • attenzione alla leadership condivisa e alla partecipazione nei processi decisionali

Il tema della diversità tocca anche gli ordini professionali e il mondo delle libere professioni, che storicamente hanno mostrato una forte disparità di genere, soprattutto nei ruoli dirigenziali.

Nonostante l’ingresso crescente delle donne in professioni come quella del commercialista, dell’avvocata, dell’architetta o della notaia, permane un forte squilibrio nei vertici e negli organi
rappresentativi.
Secondo dati aggiornati del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, solo il 30% degli iscritti sono donne, ma la loro presenza nei Consigli degli Ordini locali è spesso ben inferiore. Lo stesso vale per altri Ordini: le donne sono più della metà dei giornalisti e degli psicologi iscritti, ma in minoranza nei vertici.

Perché è importante parlarne?
Perché l’inclusione nei processi decisionali è un indicatore di democrazia interna e di capacità di rappresentare davvero le istanze di tutti gli iscritti.
Gli Ordini, inoltre, possono diventare attori fondamentali di cambiamento, promuovendo:

  • bandi e nomine più inclusivi
  • formazione su parità e leadership
  • task force per monitorare il gender pay gap tra professionisti
  • eventi, mentoring e pubblicazioni dedicate
  • linguaggio amministrativo e comunicativo attento alla parità

Noi professionisti possiamo essere parte attiva del cambiamento. Non solo nei nostri studi, ma nel sistema professionale nel suo complesso. Perché un mondo del lavoro più equo si costruisce anche a partire dalle sue fondamenta.

Scommettere sulla diversità non è solo “la cosa giusta da fare”. È la cosa utile da fare. Perché la vera innovazione nasce quando si mettono insieme sguardi differenti. E la competitività, oggi, passa per la capacità di creare ambienti di lavoro in cui tutte e tutti possano esprimere il proprio potenziale senza ostacoli.

Il lavoro del futuro sarà sempre più fluido, complesso, globale. E per affrontarlo serviranno competenze, creatività, visione. Ma soprattutto serviranno organizzazioni capaci di guardare oltre la somiglianza e investire nella differenza.
È lì che si gioca il valore. Anche quello economico.

*ODCEC Milano

di Marco Guzzini*

Nel mio percorso mi sono domandato più volte cosa fosse davvero necessario per affrontare con equilibrio l’esperienza nel mondo del lavoro. Come non farsi bloccare dall’incertezza, dai cambiamenti sempre più rapidi, dalla fragilità della motivazione? Come guidarsi verso la realizzazione della propria impresa professionale, senza perdere di vista una visione integrata e bilanciata della vita? Come fare in modo che anche la vita professionale possa diventare l’espressione concreta del proprio processo evolutivo, senza discontinuità? Come coltivare una mente calma e, chiara e capace di rimanere concentrata e focalizzata sulle priorità e non distrarsi rendendo significativa ogni esperienza?

Spoiler: Nella mia esperienza queste riflessioni mi hanno portato a cercare gradualmente come non dividere in modo forzato ciò che è personale da ciò che è professionale, ma portare autenticità e
coerenza in ogni ambito, coltivando una forma di armonia possibile, pur nella complessità e nel rispetto di confini e persone con le quali sono in relazione.
Trovare un ritmo che non fosse intermittenza ma collaborazione in una stessa partitura. E non è sicuramente una passeggiata. È un lavoro continuo di osservazione e negoziazione.

Realizzarmi professionalmente ha significato e significa tuttora prendermi cura dei conflitti – con gli altri e soprattutto con me stesso – conoscermi profondamente e allenarmi ad abitare i limiti, i confini, le resistenze. Riconoscere e coltivare qualità e risorse personali (in me e negli altri) oltre alle competenze specialistiche.
Nel tempo ho imparato a riconoscere che siamo esseri in continuo sviluppo, portatori di un potenziale vivo, creativo e luminoso. Un potenziale che, però, è spesso coperto da ombre più o meno evidenti: abitudini, automatismi, schemi appresi, paure. Sorti dalle nostre esperienze nel contesto nel quale siamo cresciuti e dal significato che diamo ad esse.
Coltivare questo potenziale richiede una competenza fondamentale: saper essere guide sagge di sé. Una forma di leadership interiore da riconoscere e sviluppare, che rappresenta la base su cui costruire ogni altro tipo di efficacia, personale e professionale.
Dalla consapevolezza di questo potenziale possono emergere molte energie che nutrono anche la nostra vita professionale.

In questa prospettiva, la ricerca e la conoscenza interiore non è una fuga dal mondo operativo, concreto o professionale, ma diventa la via concreta per realizzare la propria impresa – sia personale
che professionale – in modo coerente, sostenibile e autentico.

La mente che sceglie: consapevolezza come leva evolutiva
Il tema centrale del lavorare su di sé è proprio questo: recuperare la capacità di scelta.
Una mente che sa scegliere è una mente non distratta che ha spazio per discernere, dare priorità, restare connessa al proprio scopo.
Per farlo è necessario un lavoro di consapevolezza: osservare le proprie abitudini mentali, riconoscere ciò che ci condiziona, sciogliere ciò che trattiene. In quattro verbi: Osservare, Comprendere, Scegliere e Agire.
In questo percorso, uno dei passaggi decisivi per me è stato riconoscere quel filo rosso che teneva insieme le mie passioni, le mie competenze, le relazioni significative e il mio desiderio di contribuire e partecipare ad uno sviluppo sociale generativo.
Quando finalmente ho reso chiaro quel disegno, ho trovato una grande energia e determinazione necessarie ad affrontare con molta più lucidità le sfide.
Una volta compreso lo scopo, tutto ha iniziato a rispondere a una logica più chiara, capace di orientare anche nei momenti più incerti. Capace di sostenermi anche nei momenti di crisi. Senza respingerli, imparando a starci dentro senza drammi.

Che cos’è il counseling e perché è utile ai professionisti
Il Business Counseling è una relazione d’aiuto centrata sulla persona. È uno spazio professionale in cui si può esplorare ciò che sta accadendo con uno sguardo accogliente e non giudicante, mettendo in luce bisogni, risorse e possibilità. Si basa sull’ascolto, sulla fiducia e su un’esplorazione consapevole dell’esperienza vissuta.
Non è terapia, né coaching, né formazione tecnica.
È uno spazio protetto in cui poter dare parola a ciò che si sente, si pensa e si desidera, per riconoscere con maggiore chiarezza i propri bisogni, le proprie risorse e anche gli eventuali blocchi che ostacolano l’espressione piena di sé.
È una forma di accompagnamento, fondata principalmente sulla presenza, che mira a facilitare processi di consapevolezza, orientamento e trasformazione.
Ho toccato con mano come questo strumento, integrato ad altre competenze più tecniche come il management, l’organizzazione, la strategia e il project management, possa rappresentare un punto
di svolta. Aiuta a creare ponti tra la dimensione interiore e quella operativa, tra la sfera del significato e la concretezza dell’azione quotidiana nel proprio ambito professionale.
Un approccio multidisciplinare alla crescita personale facilita questo passaggio: dalla sfera dell’intenzione e dell’intuizione alla pratica consapevole, affinché sia sempre l’esperienza diretta a guidare il processo di comprensione. Dalla filosofia – dai “perché” – alla pratica, al “cosa” e “come”, nella relazione con sé e con l’altro.

Tematiche esterne e dinamiche interiori
Le tematiche che emergono sono numerose e si muovono su più livelli. Alcune sono immediatamente riconoscibili nelle esperienze di relazione: la gestione del team, la leadership, i conflitti, la motivazione, le priorità e la pianificazione, la qualità delle relazioni, la collaborazione in contesti di rete, anche in assenza di una gerarchia formale, etc.
Altre riguardano invece aspetti meno visibili, ma altrettanto influenti: la gestione della rabbia, la fatica di concentrarsi, la difficoltà a prendere decisioni, la sensazione di inadeguatezza, la perdita di direzione, il rapporto con il tempo e con la propria energia.

I dubbi, i timori, le aspettative e tutte le emozioni che si incrociano mentre stiamo agendo la nostra competenza e mentre stiamo prendendo decisioni sul nostro lavoro. Mentre la nostra vita scorre.
Emergono anche domande importanti e “alte” che hanno risvolti decisamente molto concreti:
Qual è il valore che attribuisco al mio tempo?
In che modo riconosco e comunico il valore del mio lavoro?
Quanto riesco a trovare equilibrio tra ciò che dedico a me e ciò che dedico alla professione, affinché entrambe le dimensioni siano risorse, e non ostacoli, l’una per l’altra?
Che relazione ho con il successo, l’errore e il fallimento?
Come coltivo la fiducia in me stesso?

Come si lavora: consapevolezza applicata alla realtà
Nel business counseling si procede attraverso un processo esplorativo che si alterna costantemente a una contestualizzazione concreta sul caso specifico. È un lavoro fatto di domande, ascolto e
consapevolezza, che mira a riattivare la connessione con l’intera esperienza corporea per facilitare processi di discernimento profondi.
Questi processi coinvolgono sia la dimensione cognitiva – attenzione, memoria, linguaggio, concettualizzazione, ragionamento, categorizzazione, logica – sia la dimensione non cognitiva, che
comprende emozioni, sensazioni fisiche, memoria corporea, intuizione, immaginazione e qualità della relazione.
Una parte fondamentale del percorso consiste nell’apprendere come attraversare le crisi senza disgregarsi interiormente, senza agire in modo impulsivo o reattivo. Sapere anche stare fermi, con
consapevolezza. Sapere riconoscere e celebrare ogni passo avanti. Significa anche imparare a restare nelle situazioni di disagio, restituendo loro una dimensione di normalità: non come anomalie da evitare, ma come passaggi naturali della vita personale e professionale.
Saper restare in equilibrio, anche nei momenti complessi, permette di compiere scelte più sagge, più coerenti con la propria visione, e più rispettose del contesto e delle persone coinvolte.
Nel mio caso, la conoscenza dei meccanismi organizzativi e del Business mi permette di supportare le persone anche nella identificazione del proprio metodo per portare nella concretezza le
proprie idee in modo strutturato.
Questo significa lavorare su tre dimensioni fondamentali: l’identificazione delle priorità, la pianificazione e la capacità di focalizzarsi sull’azione.
È questo il passaggio chiave per trasformare l’esperienza del cambiamento interiore in pratica quotidiana, perché il cambiamento, in realtà, si consolida solo attraverso la relazione stretta e
continua fra pensiero, sensazione, intuizione, aspirazione, azione e pratica.
In due parole. Saggezza e Metodo.
In alcuni casi, questo approccio si rivela particolarmente utile nei momenti in cui la sfera personale impatta con forza sul piano professionale.
Eventi come una separazione, un lutto, una malattia o una difficoltà familiare possono influenzare profondamente la qualità della nostra presenza al lavoro.
Avere uno spazio in cui potersi guardare con accoglienza, senza fretta e senza giudizio, permette di riconoscere ciò di cui si ha bisogno, per poi restituirsi al mondo relazionale – anche quello professionale – in modo più equilibrato e autentico.
Ultimo ma in realtà primo, Uno dei motivi che mi ha spinto a fare questo lavoro – prima ancora di proporlo, vivendolo su di me – è stata la necessità di dare spazio alla possibilità di cercare, costantemente, un modo per rendere l’azione imprenditoriale, professionale e lavorativa una via concreta per contribuire anche sul piano sociale. Con la consapevolezza di quanti impatti relazionali generiamo.
Niente di straordinario o eroico.
Non è questo il punto.
È semplicemente ciò che possiamo fare, ognuno a modo suo, per contribuire il più possibile in una coerenza generativa – e non distruttiva – rispetto agli ambienti che abitiamo e alle persone con cui siamo in relazione.

Verso la propria impresa personale
Con il tempo, ho compreso che la realizzazione della propria impresa professionale passa per una dimensione più profonda: quella dell’impresa personale.
Non si tratta solo di raggiungere risultati, ma di costruire un percorso che tenga insieme ciò che si è, ciò che si fa e ciò che si intende portare nel mondo.
Il business counseling, in questa prospettiva, non è un servizio ma una possibilità da considerare: uno spazio di allenamento per chi desidera abitare il proprio ruolo professionale con maggiore consapevolezza, continuità e integrità.
Non per diventare qualcun altro, ma per diventare pienamente sé stessi, anche nel lavoro attingendo pienamente al proprio potenziale sviluppando competenze relazionali e gestionali

*Ingegnere Executive Business Counseling