di Giovanni Dall’Aglio*
Nel suo saggio del 20181, Bullshit Jobs2, opinabile olluminante a seconda dei punti di vista, l’antropologo David Graeber sosteneva che un’epidemia di lavori inventati e senza senso stava generando gravi danni psicologici alla popolazione. Un “lavoro del cavolo” essenzialmente è un lavoro privo di scopo e significato. È diverso dal tipo di lavoro usurante che può essere degradante e mal retribuito, ma che in fondo svolge un ruolo utile e fondamentale nella società. Nel caso ad esempio di un netturbino (se possiamo ancora chiamarlo così), siamo di fronte ad un lavoro che dà alla società più di quanto riceva (se svolto onestamente). In un certo senso ha anche una finalità nobile, in quanto dovrebbe servire a rendere migliore e più bello il luogo in cui viviamo. Piuttosto, un lavoro del cavolo può essere prestigioso, comodo e ben pagato, ma se svanisse domani, il mondo non solo non se ne accorgerebbe, ma potrebbe addirittura diventare un posto migliore. In sintesi, questi lavori “prendono” più di quanto “danno” alla società. Sono ottimi per nutrirci, vestirci e darci un alloggio, permettendo a milioni di persone di vivere ben oltre i propri bisogni. Ma il prezzo da pagare per i lavoratori è la loro umanità. Continua a leggere