“ORE DI PENSIERO OBBLIGATORIE” NEL CONTRATTO DI LAVORO

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di Giovanni Dall’Aglio* 

Capita spesso, al rientro dalle vacanze, di pensare frasi del tipo “ora che ho avuto un po’ di tempo per pensare, ho capito che…” oppure “mentre ero in vacanza mi è venuta questa grande idea…”. Quello che però non cogliamo è che, proprio in quei momenti, stiamo svolgendo la parte più importante del nostro lavoro.

Siamo assuefatti all’idea che il lavoro si concentri in quelle 8 ore (nel migliore dei casi) in cui siamo seduti alla scrivania, non rendendoci conto che il tempo (perso?) a pensare sarà un elemento chiave per molti lavori “del futuro”.

Nell’ultimo secolo abbiamo assistito ad una progressiva transizione: da lavori “fisici” a lavori “mentali”. Processo che sarà ulteriormente accelerato grazie all’automazione e all’intelligenza artificiale. Tuttavia, lo scheduling della settimana lavorativa non ha subito grandi stravolgimenti, se non forzatamente a seguito di una pandemia globale.

Mentre un lavoro fisico o puramente operativo si esaurisce con le 8 ore di lavoro, quello mentale non si esaurisce mai. Si lavora sotto la doccia, mentre si fa la spesa o durante una lunga passeggiata ed è proprio in questi momenti di pausa apparente che diamo voce alla creatività ed alla curiosità. 

Non c’è da stupirsi del fatto che grandi professionisti di successo abbiano dedicato larghe percentuali del proprio tempo lavorativo unicamente a pensare. Warren Buffet ad esempio, per sua stessa ammissione, sostiene di aver speso l’80% della sua carriera lavorativa leggendo e pensando; Jeff Weiner (CEO di LinkedIn) trascorre due ore al giorno unicamente a pensare; Jack Dorsey, creatore di Twitter, percorre cinque miglia al giorno camminando per andare al lavoro, tempo che trascorre unicamente a pensare.

Lo scheduling lavorativo di 8 ore giornaliere è sensato se si pratica un lavoro ripetitivo, rivolto al cliente o fisicamente vincolante. Ma per la gran parte dei “lavori di conoscenza” (vecchi e nuovi), ha poco significato.

Siamo forse arrivati oggi al paradosso per cui lo schema delle 8 ore che viene difeso in nome della produttività, in realtà ha come effetto quello di limitarla. Molti dipendenti di azienda sono impiegati oggi in attività “improduttive” unicamente perché vincolati a stare alla scrivania per 8 ore. Qualora questi si sentano stanchi, frustrati o “inutili”, devono comunque essere presenti al lavoro. Questo non solo crea un costo per l’azienda, ma mina il benessere mentale del lavoratore e la sua soddisfazione.

Non è una questione di lavorare di meno. Al contrario. Molti lavori di conoscenza “non si fermano mai”, e proprio per questo non dovrebbero essere vincolati alla presenza oraria. Uno dei più grandi fallimenti del modello di business lavorativo è che siamo misurati da quanto lavoriamo e non da ciò che realizziamo.

Spiace tuttavia osservare come siano spesso i lavoratori per primi a creare una “barriera culturale” nei confronti di un cambio di paradigma. A molti di essi può sembrare rassicurante rimanere ore in ufficio a svolgere compiti ripetitivi, mentre può spaventare l’idea di doversi prendere 2 ore di pausa da trascorrere camminando da soli o sorseggiando del buon vino in pieno orario di lavoro. Si sentirebbero in colpa o improduttivi.

Ma è proprio in quei momenti che possiamo pianificare gli aspetti strategici del nostro lavoro. Senza questi momenti, saremmo costantemente immersi in questioni operative di basso raggio, senza mai avere il tempo di concentrarci su aspetti d’insieme più ampi.

L’unico modo per fare un ottimo lavoro, in tutti i settori, è trovare il tempo per considerare le questioni da una prospettiva più alta.

Se ci spaventa l’idea di trovare del tempo per pensare, non lamentiamoci se poi verremo sostituiti dai bot, perché in fondo abbiamo scelto di vivere come autonomi.

*Ingegnere e PhD in Trieste

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