MOLESTIE E VIOLENZA SUL LUOGHI DI LAVORO: CONOSCERE, PREVENIRE E GESTIRE. DISPOSIZIONI, AZIONI UTILI E PRASSI L’articolo, nel fornire un quadro delle principali disposizioni in materia, si sofferma su alcuni spunti di carattere operativo per la gestione e prevenzione delle molestie e violenze nei luoghi di lavoro.

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di Chiara P.B. Zambrelli* e Giovanni Rossi*

L’indagine sulla sicurezza dei cittadini condotta nel 2016 dall’Istat ha stimato il numero delle donne che, nel corso della vita, e in particolare nei tre anni precedenti all’indagine, sono state vittime di molestie e/o ricatti sessuali in ambito lavorativo. I dati restituiti stimano in particolare che 8 milioni 816 mila (43,6%) donne fra i 14 e i 65 anni nel corso della vita hanno subito qualche forma di molestia sessuale. Le molestie verbali sono risultate la forma più diffusa. Quasi un milione e mezzo di donne ha subito molestie di tipo fisico o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Con riferimento ai soli ricatti sessuali sul luogo di lavoro è stato stimato che, nel corso della vita, 1 milione 173 mila donne ne sono state vittima per essere assunte, per mantenere il posto di lavoro o per ottenere progressioni nella carriera.

Ulteriore significativo elemento di riflessione è che nel 32,4% dei casi il ricatto sessuale sia stato subito quotidianamente o più volte alla settimana e che si tratti di fenomeni nella maggioranza dei casi vissuti nel silenzio, con una stima pari all’80,9% dei casi nei quali, appunto, non vi è segnalazione o denuncia del fatto. L’indagine specifica, infine, che il 33,8% delle donne vittime di ricatto sessuale abbia cambiato lavoro, non sia stata assunta, abbia rinunciato alla carriera o sia stata licenziata o messa in cassa integrazione. Da tenere in considerazione che a tale domanda ha risposto solo una minoranza delle intervistate, pari al 24,2% (per maggiori approfondimenti:

https://www. istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza- sul-luogo-di-lavoro.

Per prevenire e poter efficacemente gestire il fenomeno della violenza e delle molestie nei luoghi di lavoro è dunque imprescindibile passare dalla loro comprensione e individuazione, sia sotto il profilo normativo, che sociale.

All’interno di un quadro normativo sicuramente ampio, ma che appare non del tutto coordinato, si richiama innanzitutto la recente adozione della “Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro n. 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro” del 21 giugno 2019 ed entrata in vigore in Italia il 29 ottobre 2021 con legge 15 gennaio 2021, n. 4, “Ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro n. 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro, adottata a Ginevra il 21 giugno 2019 nel corso della 108ª sessione della Conferenza generale della medesima Organizzazione. (21G00007)”, la quale fornisce un’importante definizione di violenza e molestia sul lavoro, ovverosia “un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico, e include la violenza e le molestie di genere” (https://www.ilo.org/rome/pubblicazioni/ WCMS_737774/lang–it/index.htm).

Sotto il profilo soggettivo la normativa OIL si riferisce a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla tipologia contrattuale in forza della quale operano all’interno del contesto lavorativo.

Sotto il profilo oggettivo, assume rilevanza qualsiasi occasione lavorativa nella quale si esprima una molestia o una violenza: non solo, dunque, all’interno dei locali aziendali, ma anche in occasione di viaggi, nello smart working, agli eventi, in fase di formazione, in sede di colloquio, qualsiasi sia il canale tramite cui la molestia o violenza vengano realizzate e, quindi, anche la rete. La Convenzione individua poi tre campi principali di intervento: quello sanzionatorio, quello preventivo e l’ambito della formazione.

La convenzione OIL, unitamente alle Raccomandazioni 206, ha individuato, in particolare, specifiche misure aventi natura preventiva da attuare sui luoghi di Tra queste:

  • adottare politiche di informazione su programmi di prevenzione, diritti e responsabilità dei lavoratori, sulle denunce, sulle procedure di indagine, sul diritto alla riservatezza;
  • integrare la valutazione di rischi per la sicurezza sul lavoro anche con riferimento a situazioni di molestia o violenza;
  • fornire programmi di formazione;
  • garantire alle vittime di illeciti l’accessibilità a meccanismi di ricorso e tutela.

Quanto al panorama normativo a livello nazionale, l’art. 26 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, “Codice delle pari opportunita’ tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n.246” inserisce le molestie nel novero delle forme di discriminazione, definendole “comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso od a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi comunque lo scopo o l’effetto di violare la dignità del lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”. La qualificazione di molestie quale forma di discriminazione ha avuto l’importante effetto di estendere, anche a tale tipologia di condotte illecite, la tutela rafforzata prevista dalla legge appunto per le condotte discriminatorie. Tra i rimedi di carattere processuale, l’art. 40 del Codice Pari Opportunità costituisce una fondamentale norma di protezione e rafforzamento nella tutela delle vittime di condotte discriminatorie, comprese quindi le molestie; la disposizione introduce, infatti, una significativa attenuazione degli oneri probatori in capo alla vittima prevendo – laddove la lavoratrice o il lavoratore forniscano elementi presuntivi sull’esistenza delle condotte contestate – che spetti al convenuto provare l’insussistenza degli stessi. Sul punto si rimanda alla sentenza della Corte di Cassazione n. 23286 del 15 novembre 2016, la quale fornisce un’interessante analisi dell’equiparazione delle molestie, anche sotto il profilo degli oneri della prova, alla condotta discriminatoria. La legge 27 dicembre 2018, n. 205, “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020”, (Legge di bilancio del 2018) ha poi integrato l’art. 26 del Codice Pari Opportunità prevedendo espressamente il divieto di licenziamento, demansionamento, trasferimento o adozione di qualsivoglia misura organizzativa con effetti negativi, a seguito di denuncia da parte della lavoratrice o del lavoratore vittima di molestia.

Sempre in tale ambito sono da ricordare anche le azioni esperibili da parte della Consigliera di Parità, con poteri di diretto intervento nei casi di discriminazione, molestia o violenza.

Analoga definizione di molestia è contenuta nella normativa contro le discriminazioni per motivi di razza ed origine etnica di cui all’art. 2 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n, 215, “Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica” e per motivi di religione, convinzioni personali, handicap, età e orientamento sessuale di cui all’ art. 2 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n, 216, “Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”.

Le condotte di molestie e violenza sul lavoro, sia verbale che fisica, assumono rilievo anche penalistico, potendo integrare, in base alle caratteristiche del fatto, una violenza privata, una violenza sessuale o il reato di atti persecutori (c.d. stalking).

Il quadro sopra riassunto non esaurisce il compendio normativo in materia di tutela contro la violenza e le molestie nei luoghi di lavoro, caratterizzato da un’ampia produzione, bensì costituisce un preliminare richiamo al perimetro legislativo al quale far riferimento, utile sia alle vittime, ai fini della loro adeguata tutela, che ai datori di lavoro, al fine della corretta gestione delle situazioni di molestia e violenza che si dovessero realizzare in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa.

L’art. 2087 del codice civile impone in capo al datore di lavoro l’obbligo di tutelare la salute psicofisica dei dipendenti, con ciò costituendo in capo allo stesso datore la responsabilità della difesa dei collaboratori/ dipendenti da azioni moleste e/o violente che si esprimano in occasione dell’attività lavorativa.

Il datore di lavoro, infatti, non risponde unicamente per i comportamenti da lui personalmente realizzati, ma anche per la tutela che non ha inteso o non ha saputo apprestare a lavoratori e lavoratrici vittime di condotte moleste o violente.

E quali sono, quindi, le azioni che il datore di lavoro deve innanzitutto porre in essere per tutelare adeguatamente le lavoratrici e i lavoratori?

Nel rapporto “Analisi preliminare sulle molestie e la violenza di genere nel mondo del lavoro” di Carla Pagano e Fiorenza Deriu, a cura dell’Ufficio Oil per l’Italia e San Marino dell’aprile 2018 (https://www.ilo.org/rome/ pubblicazioni/ WCMS_714784/lang–it/index.htm), sono stati individuati i tre ambiti di manifestazione della violenza nel contesto lavorativo, ovvero quello fisico, psicologico e sessuale.

L’ambito fisico, secondo il rapporto citato, tipicamente include “qualsiasi danno provocato sul piano fisico alla persona che subisce l’atto di violenza, anche se non riporta danni visibili o gravi”. Tra gli esempi offerti nel documento troviamo: l’uso della forza, forme di bullismo che violano il corpo di una persona a scopo intimidatorio o di sopraffazione e l’insieme delle conseguenze sulla salute fisica del lavoratore e della lavoratrice che siano “l’effetto diretto di una situazione prolungata di stress psicofisico dovuto ad una delle forme di molestia e violenza subite sul lavoro”.

L’ambito psicologico include, nella sua manifestazione, problemi assimilabili a quelli generati dallo stress post traumatico. Sono individuate quali tipiche problematiche: ansia, paura, disturbi del sonno, depressione, diminuita autostima, alienazione, disturbi della concentrazione e della memoria, fino a elementi più gravi come tendenza al suicidio e abuso di sostanze stupefacenti, l’insieme di disturbi sociali derivanti dalle stesse cause, come tendenza all’isolamento, agorafobia, claustrofobia, attacchi di panico, aggressività e problemi relazionali in famiglia. L’ambito sessuale include, infine, tutte le forme di violenza verbale, non verbale e fisica, che hanno lo scopo di violare la dignità di una persona, creando un ambiente ostile, degradante, umiliante. Tra i comportamenti lesivi della sfera sessuale il documento citato include: palpeggiamenti, osservazioni, sguardi, battute, l’uso di un linguaggio sessualizzato, allusioni alla vita privata di una persona, riferimenti al suo orientamento sessuale, insinuazioni con connotazioni sessuali, commenti sul modo di vestire o di apparire, il persistente guardare in modo malizioso e lascivo una persona o una parte del suo corpo.

La pubblicazione Oil del novembre 2020, “Luoghi di lavoro più sicuri e liberi da violenza molestie. Breve analisi” (https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/-— europe/—ro- geneva/—ilo-rome/documents/ publication/wcms_760777.pdf), fornisce poi una pratica sintesi, non solo sotto il profilo definitorio, ma anche delle azioni utili da adottare nei luoghi di lavoro, sia per la vittima di condotte moleste e violente, che per il datore di lavoro che deve prevenirle e gestirle.

Tra gli esempi di rischi psicosociali che possono contribuire ad aumentare il pericolo di violenza e molestie sul lavoro sono individuati ad esempio: le pretese eccessive, gli incarichi non corrispondenti alle conoscenze del lavoratore, il sovralavoro, i controlli stringenti con l’eliminazione degli spazi di autonomia, i lavori ripetitivi o monotoni, una mancanza o scarsa chiarezza dei ruoli, le critiche inappropriate, la mancanza di supporto, la leadership autocratica o al contrario troppo permissiva.

Tra le situazioni lavorative che potenzialmente possono aumentare il rischio di molestia o violenza sul lavoro troviamo il lavoro svolto da soli o in contesti isolati, a contatto con il pubblico, con oggetti di valore, con persone vulnerabili.

Si ribadisce nel documento citato che rilevante è la cultura del lavoro; un ambiente nel quale le violenze e le molestie vengono tollerate e normalizzate o ancora non denunciate, inevitabilmente favorirà l’ulteriore incremento dei fenomeni.

L’analisi della significativa produzione a livello regolamentare, sia europeo che nazionale consente di affermare che i piani di intervento sono sicuramente di carattere preventivo, sanzionatorio e di formazione. In quello preventivo rientrano la comprensione e l’analisi delle situazioni di rischio all’interno della realtà lavorativa, l’adozione di efficaci canali di comunicazione e di ascolto, l’informazione, l’adozione di codici di condotta o codici etici, l’intervento sulle situazioni di potenziale rischio.

Il piano sanzionatorio comporta la necessità che i comportamenti illeciti e scorretti siano sanzionati anche sul piano disciplinare e in alcun modo tollerati. Ed infine, la formazione rappresenta il canale primario perché si crei una cultura di contrasto alle molestie e violenze che parta dalla consapevolezza dei diritti e delle responsabilità, dal riconoscimento di quali comportamenti integrino una molestia e violenza e dall’informazione sugli strumenti a tutela, sia all’interno dell’azienda, che all’esterno.

Il documento elaborato dall’Inail, “Metodologia per la valutazione e gestione del rischio stress lavoro correlato” (https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/ pubbl ica zioni/cat alogo- gene ra le / pubbl – la – metodologia-per-la-valutazione-e-gestione.html), costituisce un importante supporto per la valutazione del rischio di stress lavoro correlato, il quale ha tra le proprie cause appunto anche le condotte di molestia e violenza.

Tra le azioni correttive e di miglioramento previste a titolo esemplificativo nel documento rientrano, quali strumenti di prevenzione:

  • nella prevenzione primaria, l’adozione di un codice etico o di comportamento, il miglioramento delle modalità di comunicazione aziendale, la definizione e descrizione dei ruoli e delle responsabilità, la rotazione dei compiti;
  • nella prevenzione secondaria, ni programmate tra dirigenti e lavoratori per comunicazioni o raccolta delle problematiche;
  • nella prevenzione terziaria, centri o sportelli di ascolto, programmi di assistenza ai lavoratori per la risoluzione di problemi, identificazione di figure di riferimento in azienda per consulenza.

Si richiamano, sempre sotto un profilo operativo, anche le indicazioni forniti dal Comitato Unico di Garanzia Inail che ha elaborato il documento “Ri- conoscere per prevenire i fenomeni di molestia e violenza sul luogo di lavoro” (https://www.inail.it/cs/internet/ comunicazione/pubblicazioni/catalogo-generale/ pubbl-ri-conoscere-per-prevenire-fenomeni-molestia. html) e che individua tra le buone prassi in capo al datore di lavoro per la prevenzione e la gestione di episodi di molestia e violenza:

  • la corretta valutazione dei rischi connessi alla molestia e violenza, quindi la capacità di individuare le fonti di rischio e l’integrazione del documento di valutazione dei rischi;
  • formare ed informare i lavoratori sulla tematica, sui diritti, sui percorsi di tutela;
  • la creazione di un codice di condotta;
  • la creazione di figure di riferimento alle quali all’interno del contesto lavorativo i dipendenti possano rivolgersi.

Le azioni preventive richiedono che il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) sia integrato con l’analisi del rischio correlato alle molestie e violenze, le quali sono infatti pacificamente annoverate tra i fattori di rischi per lo stress lavoro correlato. L’art. 28 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” (Testo Unico Sicurezza sul Lavoro) prescrive infatti che il datore di lavoro nella adozione del Documento di Valutazione dei Rischi deve fare riferimento a “tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolare tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro- correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004”.

L’accordo quadro europeo sullo stress lavoro correlato adottato in data 8 ottobre 2004, recepito a livello nazionale dall’accordo interconfederale del 9 giugno 2008, in particolare, nell’individuare i rischi connessi, oggetto di tutela e del corrispondente obbligo in capo al datore di lavoro, cita quali strumenti di gestione dei problemi da stress lavoro correlato:

  • le misure di gestione e di comunicazione, chiarendo i ruoli aziendali, dando sostegno nell’espletamento delle mansioni, migliorando l’ambiente di lavoro, i processi di lavoro e l’organizzazione;
  • la formazione per quanto concerne il fenomeno dello stress lavoro correlato;
  • l’informazione e la consultazione dei lavoratori.

A supporto della valutazione dei rischi connessi allo stress lavoro correlato, si rimanda infine alla recente pubblicazione della norma ISO 45003:2021 per la gestione della salute e sicurezza sul lavoro – salute sicurezza psicologica sul lavoro – Linee di indirizzo per la gestione dei rischi psicosociali.

Si ritiene inoltre utile richiamare un interessante documento di sintesi, elaborato da CGIL Piemonte e CGIL Umbria all’interno del percorso formativo per la prevenzione delle violenze e delle molestie anche sessuali nei luoghi di lavoro e che fornisce un pratico quadro riassuntivo. (https://binaries.cgil.it/ pdf/2023/02/16/131153773-0cfbf145-d4c1-415f-806a- 372a5728abb9.pdf)

Da ultimo, a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo10marzo2023, n. 24, “Attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali” in materia di “whistleblowing”, le aziende, nell’elaborare e aggiornare i relativi protocolli, devono predisporre adeguati canali per la gestione delle segnalazioni di molestie e violenze sui luoghi di lavoro, che sono compresi ovviamente tra gli illeciti rilevanti ai fini della normativa. L’art 17 del d.lgs. 24/2023 vieta espressamente qualsiasi atto ritorsivo nei confronti di chi segnala gli illeciti o le irregolarità; nella casistica degli atti aventi natura ritorsiva vi sono licenziamento, sospensione, mancata promozione, cambiamento del luogo di lavoro, la modifica dell’orario, note di merito negative, procedimenti disciplinari, mancato rinnovo o risoluzione anticipata del contratto a termine.

Dal lato della lavoratrice e del lavoratore che si ritrovi ad essere vittima di comportamenti molesti o violenti è fondamentale la comunicazione e la segnalazione/ denuncia del fatto. Il panorama normativo offre diversi strumenti che, a più livelli consentono di ottenere una tutela, anche in via di urgenza, sia sul fronte puramente giuslavoristico, sia penale e finalizzata alla cessazione delle condotte illecite, sia al ristoro sotto il profilo risarcitorio del danno subito, in ogni sua componente e quindi patrimoniale e non patrimoniale.

Per una adeguata tutela della salute psicofisica delle lavoratrici e dei lavoratori, dunque, è necessario che il fenomeno delle molestie e violenze in ambito lavorativo sia innanzitutto correttamente compreso, individuato e, quindi, gestito, dando un ruolo centrale alla fase della prevenzione. In tale ambito è in via principale compito dei datori di lavoro intervenire con adeguati meccanismi e informare le lavoratrici e i lavoratori sugli strumenti a loro a disposizione per segnalazioni e tutela.

*Avvocati in Milano

 

 

 

 

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