IL TFR DEI DIPENDENTI CHE CAMBIANO RESIDENZA DURANTE IL RAPPORTO DI LAVORO
L’approfondimento di Paolo Soro*
La tassazione degli stipendi erogati – in Italia e all’estero – nel corso del rapporto di lavoro, di norma, è questione che, pur nelle sue svariate sfaccettature tutt’altro che semplici, non presenta particolari problemi con riferimento all’articolo della convenzione internazionale cui riferirsi. Così, però, non è, quando ci troviamo di fronte al trattamento di fine rapporto, che non ha la stessa connotazione all’estero.
A tal riguardo, il Commentario OCSE osserva:
“Alcuni Stati considerano come una pensione, privata o pubblica, a seconda dei casi, i pagamenti effettuati in un’unica soluzione. In tal caso, sarebbe naturale considerare che il reddito rientri nell’articolo 18 o 19. Nella legislazione fiscale di altri Stati, tali pagamenti vengono considerati come remunerazione finale per le attività svolte. In tal caso, il pagamento deve essere indubbiamente ricompreso nell’articolo 15 o 19, a seconda dei casi. Altri ancora considerano tali pagamenti come un bonus non imponibile ai fini delle imposte sui redditi, ma eventualmente soggetto a imposte sulle donazioni o a imposte analoghe”.
Risulta, dunque, evidente che non pochi dubbi si delineano allorché un datore di lavoro deve versare il TFR a un suo dipendente straniero, che, seppure inizialmente assunto in Italia, abbia lavorato (e magari abbia poi concluso il rapporto di lavoro) all’estero.
I problemi aumentano in considerazione della necessità di accertare l’effettiva residenza fiscale del lavoratore: è noto quanto sia problematico tale sindacato, necessitando una verifica degli aspetti sostanziali (e non meramente formali), in merito ai quali non può nemmeno essere proposta istanza di interpello all’Agenzia delle entrate.
Al fine di fornire adeguata risposta, sarà innanzitutto bene richiamare la normativa nazionale e convenzionale di interesse, tenuto conto che quest’ultima prevale su quella interna. Così è invero stabilito dalla Costituzione all’art. 117:
“La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’Ordinamento Comunitario e dagli obblighi internazionali.”
Tale gerarchia è altresì ribadita pure nell’art. 75 del DPR 600/1973: “Nell’applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi, sono fatti salvi gli accordi internazionali resi esecutivi in Italia”.
Tutto ciò tenuto comunque conto del principio espresso all’art. 169 del TUIR fd17e3a2-9839- bab2-f372-4846137e5935 (agenziaentrate.gov. it):
“Le disposizioni del presente testo unico si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione”.
Nel nostro caso, peraltro, il primo problema che occorre risolvere è l’esatto inquadramento dei redditi da TFR, giacché il Modello OCSE 16×23 CRC Template (mef.gov.it) in realtà non prevede specifiche regole per tali emolumenti. Oltre a ciò non meno importante appare, naturalmente, l’analisi del relativo trattamento fiscale in Italia. Relativamente al corretto inquadramento della fattispecie reddituale in parola, ai più pare corretto considerarla come remunerazione analoga al lavoro subordinato (o, comunque, appartenente alla medesima categoria). È indubbio che il trattamento di fine rapporto abbia un legame sostanziale e contrattuale indissolubile con lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato. Sul punto, pure la stessa Agenzia delle entrate (Risoluzione 341/2008) ha avuto modo di precisare:
“Per quanto concerne l’Italia, la disciplina prevista per il TFR porta a ritenere che lo stesso abbia sostanzialmente natura di retribuzione, seppur differita.”
Anche in ottica internazionale, i vari Stati di regola riconducono, di volta in volta, le suddette prestazioni nell’ambito di applicazione dell’articolo 15 (lavoro subordinato) o dell’articolo 18 (pensioni). Entrambi gli articoli, d’altronde, si esprimono in termini generali: gli stipendi (o le pensioni) “…e le altre remunerazioni analoghe…”. Tale pressoché univoca lettura si spiega, poi, tenuto altresì conto delle differenze esistenti nelle varie nazioni con riguardo all’istituto del TFR. Di conseguenza, il Modello OCSE non poteva che essere strutturato in modo tale da lasciare sufficiente autonomo spazio operativo in capo ai governi, onde coniugare l’inquadramento nazionale proprio con le previsioni statuite nei vari trattati bilaterali.
Quanto al trattamento fiscale domestico, come noto, è previsto l’assoggettamento delle somme a tassazione separata. Nello specifico, l’articolo 17, comma 1, lettera a), del TUIR dispone che:
“L’imposta si applica separatamente sui seguenti redditi:
a) trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 del Codice Civile e indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente…”
Detti emolumenti sono tassati secondo le modalità previste dall’articolo 19 del TUIR e assoggettati a ritenuta alla fonte in base all’articolo 23, comma 2, lettera d), DPR 600/1973: “La ritenuta da operare è determinata: d) sulla parte imponibile del trattamento di fine rapporto…”
Abbiamo così definito l’aspetto “interno”; senonché il caso che dobbiamo analizzare concerne un soggetto straniero (il nostro dipendente che ha presumibilmente acquisito la residenza fiscale all’estero). Preliminarmente ricordiamo che l’art. 3 del TUIR stabilisce la tassazione su base territoriale per i redditi prodotti dai non residenti. Inoltre, sempre con specifico riferimento ai soggetti non residenti, l’articolo 23, comma 2, lettera a) del TUIR, stabilisce una presunzione assoluta in base alla quale si considerano prodotti nel territorio dello Stato i redditi derivanti dalle indennità di fine rapporto (di cui al su richiamato articolo 17, comma 1, lettera a, del TUIR) se corrisposti:
- Dallo Stato;
- Da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
- Da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti.
Da notare che il nostro Legislatore non prevede alcun discrimine rispetto alla nazionalità del percipiente, ma fa esclusivo riferimento alla residenza del soggetto che eroga gli anzidetti emolumenti. Pertanto, tale ultimo elemento dovrà essere tenuto in debita considerazione relativamente all’accertamento effettivo della reale residenza fiscale del lavoratore laddove ci si dovesse trovare di fronte a quei rarissimi casi in cui non risulti applicabile un trattato internazionale (gerarchicamente sovraordinato rispetto alla legislazione interna).
Per quanto concerne l’Italia, il concetto di residenza delle persone fisiche è stabilito dall’art. 2 del TUIR, in forza del quale si considerano residenti in Italia le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni su 365), anche non continuativamente, vedono verificate una delle seguenti condizioni:
- Iscrizione all’anagrafe della popolazione residente;
- Individuazione nel territorio italiano del proprio domicilio ex art. 43 del Codice Civile (da intendersi come il centro dei propri affari e interessi);
- Individuazione nel territorio italiano della propria residenza ex art. 43 del Codice Civile.
Per mettere al riparo i contribuenti da potenziali fattispecie di ingiuste doppie imposizioni, nei casi in cui – sulla base dell’analisi del trattato – si dovesse concludere per una tipologia di tassazione “concorrente” in entrambi i Paesi contraenti, sarebbe, di regola, adottabile il metodo del credito d’imposta indicato nelle convenzioni. Il predetto metodo, giova rammentarlo, è regolamentato in Italia dall’art. 165 del TUIR il quale ammette in detrazione le imposte estere oggetto di apposita convenzione contro le doppie imposizioni, in vigore tra l’Italia e il Paese in cui è stato prodotto il reddito, fermo restando che l’imposta già versata all’esterodeveesserecertaedefinitiva. Ataleultimo proposito, l’Agenzia delle entrate, con la Circolare 9/E-2015, ha chiarito quali sono i documenti che il contribuente deve conservare, al fine di dimostrare versamento, certezza e definitività dell’imposta estera:
- Copia della dichiarazione dei redditi presentata nel Paese estero (qualora nel suddetto Paese sia previsto tale adempimento);
- Distinta del versamento delle imposte pagate nel Paese estero;
- Certificazione rilasciata dal soggetto che ha corrisposto i redditi di fonte estera;
- Eventuale richiesta di rimborso (laddove non inserita nella dichiarazione dei redditi).
Spostando ora la nostra analisi in ottica internazionale, riguardo alla residenza fiscale il Modello Convenzionale OCSE prevede all’articolo 4 che:
“L’espressione ‘residente di uno Stato contraente’ designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata a imposta nello stesso Stato a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione e di ogni altro criterio di natura analoga.”
Dopo di che, lo stesso articolo 4, nel successivo paragrafo 2, detta le c.d. tie breaker rules ai fini di dirimere gli eventuali conflitti di doppia residenza:
“Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona fisica è un residente dei due Stati contraenti, la sua situazione è determinata nel modo seguente:
- detta persona è considerata residente dello Stato nel quale dispone di un’abitazione permanente; quando essa dispone di un’abitazione permanente nei due Stati, è considerata residente dello Stato con il quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali);
- se non si può determinare lo Stato contraente nel quale detta persona ha il centro dei suoi interessi vitali, o se la medesima non ha un’abitazione permanente in alcuno degli Stati, essa è considerata residente dello Stato in cui soggiorna abitualmente;
- se detta persona soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati oppure non soggiorna abitualmente in alcuno di essi, essa è considerata residente dello Stato del quale ha la nazionalità;
- se detta persona ha la nazionalità di entrambi gli Stati o se non ha la nazionalità di alcuno di essi, le autorità competenti degli Stati contraenti risolvono la questione di comune accordo.”
Occorre, peraltro, riscontrare che, nonostante queste articolate disposizioni, stabilire con esattezza la residenza fiscale dei cittadini, in numerosissimi casi pratici, resta comunque particolarmente difficile. Ma facciamo lo stesso un passo avanti, dando per il momento assodato che è stato possibile appurare con certezza la residenza fiscale del “nostro” dipendente per i periodi di interesse. Dobbiamo adesso verificare cosa prevede l’articolo del Modello OCSE di riferimento al caso de quo. Sul punto abbiamo già in precedenza evidenziato come anche tale verifica risulti tutt’altro che agevole. Il Modello Convenzionale, invero, non contiene una disposizione specifica per gli emolumenti erogati ai dipendenti al momento della cessazione dell’impiego, ciò in considerazione del trattamento, giuridicamente e fiscalmente differenziato, che le singole legislazioni nazionali prescrivono per i predetti emolumenti. Per contro, è pur vero che l’assenza di una specifica disposizione convenzionale in materia, consente di fatto a ciascuna nazione di poter ricondurre le suddette prestazioni – come detto – nell’ambito di applicazione dell’articolo 15 (lavoro subordinato) ovvero dell’articolo 18 (pensioni). In una fattispecie concernente la Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Germania, l’Agenzia delle entrate (Risoluzione 341/2008) ha precisato che, per quanto concerne l’Italia, il TFR ha sostanzialmente natura di retribuzione, seppur differita, e va ricondotto nell’ambito applicativo dell’articolo 15 del Modello OCSE. Tale orientamento lo ritroviamo confermato anche in altri due documenti di prassi emanati dalla nostra Amministrazione finanziaria: Risoluzione 234/2008 e Interpello 343/2020. Per quanto concerne l’Italia, dobbiamo dunque concludere che la tassazione relativa ai compensi erogati a titolo di TFR al dipendente che stava prestando attività lavorativa all’estero, dovrà essere determinata in funzione di quanto stabilito dall’articolo 15 del Modello OCSE:
- 1. I salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato.
- Nonostante le disposizioni del paragrafo 1, le remunerazionicheunresidentediuno Statocontraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente svolta nell’altro Stato contraente sono imponibili soltanto nel primo Stato se:
- il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni nel corso dell’anno fiscale considerato, e le remunerazioni sono pagate da o per conto di un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato, e
- l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro ”
Pertanto, se il dipendente, al momento della conclusione del rapporto di lavoro, svolgeva la prestazione nel Paese estero ed era altresì ivi fiscalmente residente, l’imposizione diventa esclusivamente quella del medesimo Stato straniero. Evidentemente, però, considerato che il TFR matura di anno in anno, diventerà imperativo riproporzionare la parte di emolumenti erogati in base agli anni di lavoro effettuati in Italia e all’estero di tal guisa che, di pari passo con la residenza fiscale concretamente acquisita:
- sarà assoggettata a tassazione in Italia, la parte di TFR relativa agli anni di lavoro svolti in Patria;
- sarà assoggettata alla sola tassazione dello Stato estero, la parte di TFR concernente gli anni di lavoro concretamente svolti in detto Paese.
Vedremo meglio il tutto, da un punto di vista pratico, più oltre. Prima però di chiudere questa parentesi dedicata alla normativa convenzionale, corre l’obbligo di prospettare alcune “falle” che potrebbe presentare il ragionamento svolto da un punto di vista pratico.
- Prima questione
Tutto quanto indicato va benissimo laddove vi sia contezza degli anni in cui il dipendente ha la residenza fiscale in Italia e di quelli in cui, viceversa, è fiscalmente residente nel Paese estero. Ma se, come spesso accade, non vi sia la possibilità di avere tale certezza? Ebbene, in tal caso, si dovrà seguire la previsione legale prescritta dal precedentemente richiamato articolo 17, comma 1, lettera a, del TUIR, assoggettando comunque in Italia in maniera ordinaria (ossia, tassazione separata) l’intero TFR. Al dipendente interessato, per contro, non sarà preclusa la possibilità di ricorrere al metodo del credito, onde portare in detrazione le imposte versate in Italia da quelle che gli potrebbero eventualmente richiedere nel Paese straniero. In ogni caso, ricordiamo che a parere dell’Agenzia delle entrate (Circolare 17/2017), il lavoratore può produrre specifica certificazione attestante la residenza fiscale estera, che però deve essere rilasciata dalla competente Amministrazione Finanziaria dello Stato interessato; non acquisiscono alcun valore eventuali altre attestazioni o autocertificazioni del lavoratore stesso. In merito, giova inoltre ricordare che, come più volte chiarito dall’Amministrazione Finanziaria (Risoluzioni 86/2006, 56/2005, 183/2003, 68/2000, 95/1999), i sostituti d’imposta possono, sotto la propria responsabilità, applicare direttamente l’esenzione o le minori aliquote convenzionali, previa presentazione, da parte dei beneficiari del reddito, della documentazione idonea a dimostrare l’effettivo possesso di tutti i requisiti previsti dalla Convenzione per fruire dell’agevolazione. Tale prassi amministrativa, avendo carattere facoltativo, non comporta un obbligo di adeguamento per il sostituto d’imposta che, in tutti le ipotesi incerte sulla sussistenza nel caso concreto dei requisiti previsti dalle rispettive Convenzioni per evitare le doppie imposizioni, continuerà ad assoggettare a tassazione, ai sensi della vigente normativa interna, i redditi di qualsiasi tipologia tra i quali, ovviamente, i redditi da lavoro dipendente e quelli soggetti a tassazione separata.
- Seconda questione
Si è detto che, nella maggior parte dei casi, i Paesi ricomprendono gli emolumenti relativi al TFR, o all’articolo 15 del Modello (Italia), o all’articolo 18. Pertanto, potrebbe succedere che, per uno stesso soggetto, l’Italia consideri l’imposizione degli emolumenti come lavoro subordinato ex art. 15 e il Paese estero li inquadri come pensione ex art. 18. Che tipo di problemi possono derivare da simili situazioni? In realtà, questo è un falso problema: premesso che il dipendente ha comunque sempre la possibilità di ricorrere al metodo del credito d’imposta in casi di difforme interpretazione da parte delle Autorità dei due Paesi contraenti, se si verifica quanto stabilisce l’articolo 18 si potrà immediatamente notare che – anche in tale ipotesi – si applica la tassazione esclusiva nel Paese di residenza fiscale del dipendente, se l’attività è ivi svolta. Dunque, il risultato concreto non muta tra articolo 15 e articolo 18.
- Terza questione
Cosa accade se il Paese estero interessato è uno di quelli nella lista degli Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato di cui al Decreto Ministeriale 4 maggio 1999 (esempio classico: Svizzera)? Come noto, in tali casi, subentra la previsione (relativa) stabilita in tema di residenza fiscale dall’art. 2, comma 2-bis, del TUIR. Pertanto, anche a seguito della formale iscrizione all’AIRE, continua a sussistere nei confronti del dipendente l’onere di dover provare il cambio di residenza da un punto di vista sostanziale. In assenza di tale effettiva documentazione probatoria, gli emolumenti concernenti il TFR saranno tassati regolarmente in Italia, posto che, ai sensi dei già più volte menzionati artt. 3 e 23 del TUIR, i redditi si considerano conseguiti nel nostro Stato (principio della base territoriale).
Vediamo adesso un esempio pratico per comprendere meglio come occorre comportarsi.
– 10/01/2016: la società ALFA assume il dipendente PINCO con contratto a tempo pieno e indeterminato presso la sede di Milano;
– 14/01/2021: PINCO è inviato in distacco a prestare le sue mansioni lavorative presso la sede di Amsterdam della società BETA, consociata di ALFA;
– 18/12/2021: PINCO lascia l’Italia e acquisisce la residenza fiscale nei Paesi Bassi;
– 12/07/2022: il contratto di lavoro tra ALFA e PINCO viene risolto.
ALFA deve corrispondere a PINCO il TFR accantonato dal 10/01/2016 al 12/07/2022 (6 anni e mezzo, ossia 78 mesi), pari a complessive euro 50.000; si pone il problema concernente il corretto trattamento fiscale da applicare a tali emolumenti.
In ottica convenzionale, il TFR viene ricompreso tra i redditi di lavoro dipendente. La Convenzione Italia / Paesi Bassi disciplina la materia all’articolo 15 e le regole ivi dettate seguono pedissequamente il Modello OCSE. Dunque:
- tassazione esclusiva in Olanda se il dipendente ha residenza fiscale olandese per il lavoro prestato in Olanda;
- tassazione concorrente Italia / Olanda se il lavoro non è svolto nel Paese dove si ha la residenza fiscale;
- tassazione esclusiva nel Paese di residenza se il lavoro viene svolto nel Paese estero per meno di 183 giorni e le remunerazioni sono erogate da un datore di lavoro ivi non residente o da una Stabile Organizzazione.
Sulla base di quanto indicato, occorre ripartire il TFR tra il periodo “italiano” e quello “olandese”.
a) 10/01/2016 – 14/01/2021 (5 anni, ossia 60 mesi): PINCO lavora in Italia ed è residente in Italia = la relativa quota parte di TFR [50.000 : 78 X 60 = 38.462] è soggetta a tassazione esclusiva italiana;
b) 14/01/2021 – 18/12/2021 (1 anno pari a 12 mesi): PINCO lavora in Olanda ed è residente in Italia = la relativa quota parte di TFR [50.000 : 78 X 12 = 7.692] è soggetta a tassazione concorrente; quindi, ALFA assoggetta il TFR regolarmente in Italia e PINCO farà ricorso al metodo del credito per evitare di avere doppia imposizione fiscale nei Paesi Bassi;
c) 18/12/2021 – 12/07/2022 (6 mesi): PINCO lavora in Olanda ed è altresì ivi fiscalmente residente = la relativa quota parte di TFR [50.000 : 78 X 6 = 3.846] è soggetta a tassazione esclusiva nei Paesi Bassi; pertanto, ALFA non effettua alcuna trattenuta su detta porzione di TFR.
Cionondimeno, prima di procedere in tale maniera, è necessario che ALFA si faccia consegnare in originale da PINCO un certificato rilasciato dall’Amministrazione Finanziaria olandese, nel quale viene attestato che la residenza fiscale di PINCO è nei Paesi Bassi a decorrere effettivamente dal 18/12/2021. Giova ribadire ancora una volta che eventuali autocertificazioni sottoscritte direttamente da PINCO non hanno alcun valore. Neppure hanno validità i certificati di iscrizione AIRE / ANPR, poiché attestano situazioni formali ma non possono garantire che, nella sostanza, PINCO abbia viceversa continuato a mantenere la sua residenza fiscale in Italia così come prevista dall’art. 2 del TUIR. Pertanto, in assenza dell’anzidetto certificato olandese, fermo restando quanto evidenziato nel periodo di cui alla superiore lettera a), per gli emolumenti relativi al periodo c), ALFA si comporterà nello stesso modo indicato riguardo al periodo b) e PINCO farà valere in Olanda il credito per le imposte trattenute in Italia.
Fino a qui abbiamo analizzato la sola fattispecie reddituale concernente il TFR. Occorre, peraltro, sottolineare che possono esserci numerosi casi che riguardano altre erogazioni che sono comunque collegate ai rapporti di lavoro dipendente. Vediamo qualche esempio e cerchiamo di capire quale scelta fiscale l’Amministrazione ritiene corretto adottare, in successiva ottica “Modello OCSE”.
L’Agenzia delle entrate (Interpello 343/2020, Risoluzione 234/2008) ha affrontato, in particolare, i casi concernenti:
- incentivo all’esodo;
- somma transattiva per risoluzione consensuale del rapporto;
- corresponsioni dipendenti da patti di non concorrenza.
La conclusione a cui l’Amministrazione perviene consente di poter affermare che, anche per i predetti emolumenti (così come per qualunque altra indennità conseguente all’esistenza di un contratto di lavoro dipendente), i redditi debbano essere tutti ricompresi tra quelli di lavoro subordinato ai fini dell’individuazione della norma convenzionale cui riferirsi analogamente a quanto visto per il TFR.
In merito ai primi due (incentivazione all’esodo e somma erogata in sede transattiva), l’Agenzia rammenta che, in base all’articolo 17, comma 1, lettera a), del TUIR, sono assoggettati a tassazione separata, non solo il trattamento di fine rapporto, ma anche le altre indennità e somme percepite una tantum in occasione della cessazione del rapporto di lavoro dipendente, fra cui vi rientrano sia le somme erogate a titolo di incentivazione all’esodo sia quelle erogate a seguito di transazioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro. Analogamente al TFR, quindi, anche alle somme erogate a titolo di incentivo all’esodo e a quelle corrisposte a titolo di transazione novativa, deve essere riconosciuta natura retributiva come avviene per qualunque altro reddito di lavoro dipendente. Invero, tali somme sono tutte riconducibili alla sfera di operatività dell’articolo 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni.
Riguardo ai patti di non concorrenza, il discorso merita una differente articolazione per quanto la conclusione cui si arriva non cambia. Tali accordi pattizi regolano, limitandoli, lo svolgimento dell’attività dei lavoratori subordinati nel periodo successivo alla cessazione dei contratti di lavoro. L’art. 2125 del codice civile ne subordina la validità alle seguenti circostanze:
- devono risultare da atto scritto;
- devono essere pattuiti dei corrispettivi a favore del prestatore di lavoro;
- i vincoli devono essere contenuti entro precisi limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
Il comma 2 dello stesso art. 2125 c.c., inoltre, fissa la durata del vincolo in massimo 5 anni, nell’ipotesi si tratti di Dirigenti e di 3 anni massimo negli altri casi. Orbene, ancorché caratterizzati da una specifica autonomia, i patti di non concorrenza restano, pur sempre, ancorati ai rapporti principali che sono di lavoro subordinato. Per orientamento consolidato della Corte di Cassazione (11282/1990, 9118/1991, 9802/1998, 14454/2000), i patti di non concorrenza di cui all’art. 2125 del codice civile:
“Non sono estensibili ai rapporti diversi da quello di lavoro subordinato, ancorché caratterizzati da para-subordinazione…, cui è applicabile invece la disciplina dell’art. 2596 c.c., sui limiti contrattuali della concorrenza”.
Dall’asserita connessione dei patti di non concorrenza con i rapporti di lavoro dipendente, discende la naturale qualificazione tributaria delle somme relative. In forza del principio di onnicomprensività che caratterizza i redditi di lavoro dipendente, di cui all’art. 51, comma 1, del TUIR, vengono considerati redditi di lavoro dipendente:
“Tutti gli importi e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.
Nel concetto di retribuzione imponibile, inoltre (Circolare 326/1977):
“Devono ricomprendersi tutte le somme e i valori erogati al dipendente anche indipendentemente dal nesso sinallagmatico tra la effettività della prestazione di lavoro resa e i compensi percepiti.”
Inoltre afferma l’Agenzia nella Risoluzione 234/2008:
“L’assoggettamento delle predette somme al meccanismo della tassazione separata, di cui all’art. 17, comma 1, lettera a), del TUIR, è finalizzato ad agevolare il lavoratore dipendente evitando che l’intero importo, derivante dalla stipula del patto di non concorrenza, ma comunque collegato a un rapporto di lavoro dipendente protratto nel tempo, concorra alla formazione del reddito complessivo relativamente a un unico periodo di imposta, con un notevole pregiudizio per lo stesso lavoratore in termini di determinazione dell’aliquota progressiva applicabile.”
Considerato tutto quanto precisato, l’Agenzia ritiene che anche le somme erogate con riferimento alla stipula di eventuali patti di non concorrenza con i dipendenti debbano essere regolamentate – analogamente a quanto evidenziato per il TFR – dalla disposizione convenzionale dettata nell’articolo 15 (lavoro subordinato) del Modello OCSE.
In conclusione, giova riassumere per capi quanto complessivamente illustrato.
In ottica convenzionale, le regole cui fare riferimento per gli emolumenti erogati ai lavoratori subordinati a titolo di trattamento di fine rapporto, sono quelle previste dall’articolo 15 (lavoro subordinato) del Modello OCSE posto che i predetti compensi hanno natura retributiva e che, essendo direttamente conseguenti al contratto di lavoro, devono essere ricompresi nell’alveo dei redditi da lavoro dipendente.
- Lo stesso inquadramento evidenziato per il TFR deve essere riconosciuto per qualunque altra somma corrisposta ai dipendenti (esempio: incentivo all’esodo, transazione, patto di non concorrenza, etc.), in quanto trovi la sua causa nel prodromico contratto di lavoro subordinato sottoscritto (e ciò indipendentemente dal nesso sinallagmatico tra la effettività della prestazione di lavoro resa e i compensi percepiti).
- Il trattamento fiscale concernente il TFR erogato al dipendente assunto in Italia e cessato all’estero, deve tenere conto degli anni in cui l’attività è stata prestata in Italia e di quelli nei quali il rapporto si è svolto all’estero, riproporzionando la rispettiva materia imponibile su cui applicare le disposizioni di cui all’articolo 15 del Modello OCSE.
- In ossequio alla predetta norma convenzionale, è prevista la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro dipendente nello Stato di residenza del beneficiario, a meno che l’attività lavorativa, a fronte della quale sono corrisposti i redditi, sia svolta nell’altro Stato contraente, ipotesi in cui i predetti emolumenti sono assoggettati a imposizione concorrente in entrambi i Paesi;
- Sempre in forza del medesimo articolo 15, è peraltro prevista la tassazione esclusiva nello Stato di residenza anche per i redditi erogati in corrispettivo di un’attività di lavoro subordinato svolta nell’altro Stato, allorché ricorrano congiuntamente le seguenti tre condizioni: a) il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni nel corso dell’anno fiscale considerato; b) le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato; c) l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato.
- L’applicazione del regime convenzionale comporta un aleatorio sindacato in merito alla concreta residenza fiscale del dipendente in tutti i periodi di interesse, la cui responsabilità grava sul datore di lavoro italiano, il quale, se non riceve la documentazione idonea a dimostrare l’effettivo possesso di tutti i requisiti previsti dalla Convenzione per fruire dell’agevolazione (esempio: certificato rilasciato dall’Amministrazione Finanziaria straniera – non fanno prova certificati AIRE / ANPR Anagrafe Italiani residenti all’estero (A.I.R.E.) – Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, o autodichiarazioni degli interessati), non è obbligato ad adottare il regime di tassazione stabilito nel Modello OCSE, posto altresì che tale comportamento ha carattere facoltativo e che al dipendente resta in ogni caso la facoltà di ricorrere al metodo del credito d’imposta onde scongiurare un’eventuale ingiusta doppia imposizione.
*Odcec Roma