L’EVOLUZIONE DELLA CONDOTTA ANTISINDACALE NELLA GIURISPRUDENZA: IL REQUISITO DELL’ATTUALITÀ E LE NUOVE CASISTICHE
di Alberto Checchetto*
Nel nostro ordinamento non esiste una definizione univoca di “condotta antisindacale”.
Gli elementi costitutivi della condotta antisindacale sono individuati all’art. 28 legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) e sono rappresentati dalla condotta datoriale lesiva dell’esercizio di diritti connessi alla libertà e all’attività sindacale, ovvero diretti ad ostacolare il diritto di sciopero.
Lo stesso Statuto prevede un apposito procedimento per la repressione della condotta antisindacale.
Più precisamente, l’art. 28 della citata legge stabilisce che, nel caso in cui il datore di lavoro si comporti in modo tale da impedire o limitare l’esercizio e la libertà dell’attività sindacale, l’organizzazione sindacale possa denunciare tale comportamento ricorrendo al giudice del lavoro.
Nel caso in cui intervenga un accertamento sull’effettiva lesione dei diritti sindacali, il giudice potrà ordinare al datore di lavoro di cessare tale comportamento ritenuto antisindacale e di rimuovere gli effetti dello stesso. Proprio l’assenza di una definizione univoca della fattispecie ha portato la giurisprudenza a chiarire nel tempo diversi aspetti relativi ai diritti sindacali e alle violazioni che hanno dato seguito a condanna per condotta antisindacale. Questo intervento, pertanto, si pone l’obiettivo di dare conto di alcune evoluzioni giurisprudenziali rispetto al requisito dell’attualità della condotta, nonché con riferimento alle recenti e diverse condotte ritenute antisindacali.
Uno degli aspetti sui quali l’evoluzione giurisprudenziale si è confrontata è quello del requisito di “attualità” nella repressione della condotta antisindacale.
In particolare, fin dalle prime sentenze che si sono occupate della fattispecie, è emersa la conferma del fatto che l’attualità della condotta antisindacale, nonché il perdurare dei suoi effetti, costituiscano condizione dell’azione ex art. 28 St. Lav. (cfr. Cass. n. 6946 del 1987), la quale è diretta a rimuovere la portata intimidatoria e l’ostacolo, o il restringimento, al libero svolgimento delle prerogative sindacali.
L’orientamento inizialmente prevalente in ordine al requisito dell’attualità si presentava particolarmente restrittivo, in quanto riteneva sussistente il suddetto requisito solo nelle ipotesi di comportamento antisindacale ancora in atto, ovvero di persistenza degli effetti al momento della proposizione dell’azione (Cass., S.U., 13 giugno 1977, n. 2443, in Mass. giur. lav., 1978, 35; Cass., 16 febbraio 1998, n. 1600).
Nel corso degli anni è emerso un diverso indirizzo che ha ampliato il concetto di attualità ritenendo di doverlo valutare in relazione all’idoneità o meno a ledere i beni tutelati.
L’azione ex art. 28 St. Lav. è, infatti, un’azione di condanna e non di mero accertamento.
Conseguentemente, è pacifico che qualora, sia la condotta antisindacale, sia i suoi effetti lesivi, cessino e non siano più attuali, l’organizzazione sindacale perde l’interesse ad agire.
Tuttavia, a tale requisito è stata data una lettura estensiva e pressoché uniforme dalla giurisprudenza più recente, la quale ha affermato che, sebbene certe azioni antisindacali siano puntuali e si esauriscano nel tempo, esse comunque possono incidere sulla libertà sindacale e creare situazioni di intimidazione e incertezza per i lavoratori.
Una valutazione complessiva può quindi giustificare una pronuncia di condanna inibitoria (si veda fra le molte Cass. 3894/1984) “Quando la condotta antisindacale si esaurisce istantaneamente e non vi sono più effetti da rimuovere, se, per la sua frequente reiterazione, essa rivela una natura non meramente episodica, ma destinata a persistere nel tempo, con conseguenti effetti intimidatori e situazione di incertezza fra i lavoratori, non è preclusa al giudice una pronuncia di cessazione del comportamento illegittimo per il futuro, purché adeguatamente motivata” ed ancora “L’esaurirsi di singole azioni antisindacali del datore di lavoro non preclude al giudice di vietargli, ai sensi dell’art. 28 della legge n. 300 del 1970, la (ulteriore) continuazione di dette azioni, ove le stesse siano espressione di una condotta non meramente episodica ma destinata oggettivamente a persistere nel tempo, con conseguenti durevoli ripercussioni negative per la libertà o l’attività sindacale, cui, in mancanza della pronuncia di un divieto siffatto, non sarebbe apprestata effettiva tutela. L’accertamento della sussistenza in concreto delle condizioni che legittimano un ordine dell’indicato contenuto che non si risolve in un precetto (penalmente sanzionato) rivolto a vietare ipotetici e generici comportamenti futuri implica un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito ed insindacabile in cassazione, se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici”.
Sulla questione si è espressa nuovamente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1392/2018 in un caso in cui la società ricorrente riteneva fosse possibile ravvisare il requisito della attualità della condotta solo quando, una volta esauritosi il comportamento, potevano perdurare i suoi effetti.
Ritenendo infondato il motivo di impugnazione, la Corte ha richiamato, fra le altre, la precedente sentenza n. 23038/10 e affermato che “in tema di repressione della condotta antisindacale, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 28 il solo esaurirsi della singola azione lesiva del datore di lavoro non può precludere l’ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo ove questo, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti tuttora persistente ed idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell’attività sindacale”.
Il principio è stato poi riaffermato dal Tribunale di Trieste nel recente decreto del 23.09.2022 nell’ambito di un ricorso per il riconoscimento della condotta antisindacale: “A tal proposito, ha affermato ripetutamente la Corte di Cassazione, che il solo esaurirsi della singola azione lesiva del datore di lavoro non può precludere l’ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo ove questo, alla streguadiuna valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti tuttora persistente ed idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, e sia suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell’attività sindacale (Cass. nr.11741/2005; Cass. nr. 1684/2003; Cass. nr. 5422/1998).”
Su questa base, e partendo dal presupposto della mancata indicazione da parte del legislatore di uno specifico termine di decadenza nella proposizione dell’azione, diversamente da altre ipotesi, la giurisprudenza ha ritenuto che le organizzazioni sindacali possano scegliere liberamente “nell’ambito delle proprie autonome valutazioni e nell’esercizio dei propri poteri di autotutela, i tempi per la domanda giudiziaria di cessazione dell’attività antisindacale, la quale … può essere proposta anche dopo lungo tempo dall’inizio dell’illegittima condotta” (Cass. 16 febbraio 1998, n. 1600).
In sostanza, il requisito dell’attualità della condotta deve essere esaminato in relazione a tutti quei comportamenti che possano in qualche modo, anche se materialmente cessati, presupporre il mantenimento di effetti durevoli nel tempo (si pensi ad esempio alle ipotesi in cui la condotta asseritamente sindacale abbia ad oggetto un provvedimento datoriale fondato sull’interpretazione di una clausola contrattuale collettiva).
L’unico limite è rappresentato dall’inammissibilità dell’azione nelle ipotesi della richiesta di repressione di comportamenti antisindacali futuri.
Esaminata l’evoluzione della giurisprudenza nell’ambito del requisito dell’attualità della condotta, si ritiene interessante dare conto di alcuni spunti della recente giurisprudenza nel valutare nuove casistiche di condotta antisindacale.
La Suprema Corte ha affrontato il tema del volantinaggio elettronico e, in generale, delle modalità di comunicazione sindacale in sede aziendale.
In particolare, la giurisprudenza si è dovuta confrontare con riferimento all’evoluzione delle modalità di comunicazione nelle aziende e il fatto che, tra gli strumenti deputati per le comunicazioni sindacali, rientri anche la posta elettronica.
Lo strumento specifico di cui si discute è la casella di posta aziendale attribuito a ciascun dipendente e la sempre crescente digitalizzazione e riduzione delle attività in presenza.
Nel caso specifico, la Corte ha confermato la condanna di una società per comportamento antisindacale in quanto aveva sanzionato una componente della RSU che, in orario di lavoro, aveva inviato comunicazioni di carattere sindacale all’indirizzo di posta elettronica aziendale di circa duecento dipendenti.
Con la sentenza numero 35643/2022, la Cassazione, inquadrata la questione nell’ambito del c.d. volantinaggio elettronico, osserva che l’evoluzione delle modalità di comunicazione che è andata affermandosi negli ultimi anni anche nell’ambito delle aziende impone di ricomprendere la posta elettronica tra gli spazi deputati alle comunicazioni sindacali, ciò anche al fine di garantire reale efficacia all’attività sindacale.
In sostanza, la Suprema Corte ha affermato che la distribuzione di comunicati sindacali via mail rientra nell’attività di proselitismo prevista e tutelata dall’art. 26 dello Statuto dei Lavoratori ed è, dunque, ammessa in tutti quei casi in cui non arrechi pregiudizio all’attività produttiva.
Restando in tema di implementazione tecnologica, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31778 del 4 novembre 2021, ha motivato che, in tema di impianti audiovisivi, qualora l’installazione determina la possibilità di controllare a distanza, anche soltanto potenzialmente, la prestazione dei lavoratori, essa non può avvenire senza l’accordo con le organizzazioni rappresentative di questi ultimi.
Il fatto di installare gli impianti audiovisivi senza consultazione sindacale configura condotta antisindacale.
Sempre la Suprema Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – con la sentenza n. 33982 del 17.11.2022, ha avuto modo di misurarsi, sempre in tema di condotta antisindacale, in relazione alle clausole di ultravigenza del contratto collettivo stabilendo che può dirsi integrata la fattispecie nell’ipotesi di disdetta unilaterale del contratto applicato da parte del datore prima della sua scadenza.
In particolare, ha ritenuto antisindacale la condotta datoriale di violazione della clausola di ultravigenza di un contratto collettivo, specie se posta in essere nel periodo di rinnovo dello stesso, perché lesiva dell’autorevolezza del sindacato nel tutelare le condizioni economiche dei lavoratori, senza che la portata della violazione sia elisa dalla mera partecipazione dell’organizzazione sindacale alle trattative per la stipula del nuovo contratto.
Sotto altro aspetto, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33803 del 16.11.2022, ha esaminato la questione relativa all’esercizio del potere disciplinare rispetto al diritto di critica nei confronti del sindacalista. Nel caso specifico si discuteva della condotta datoriale consistita nell’avere avviato nei confronti di un segretario provinciale dell’organizzazione sindacale, un procedimento disciplinare e nell’avere irrogato allo stesso una sanzione per fatti verificatisi nel corso di una riunione a cui il predetto aveva partecipato nella veste di segretario durante il periodo di aspettativa sindacale.
Nel caso esaminato, la Corte di Cassazione, ha respinto il ricorso promosso dall’organizzazione sindacale volto ad ottenere la declaratoria del carattere antisindacale del comportamento tenuto dal datore di lavoro nei confronti del segretario provinciale del sindacato, collocato in aspettativa sindacale, e consistito nell’avvio a carico di quest’ultimo del procedimento disciplinare e nell’irrogazione della sanzione della proroga di un anno del termine per l’aumento dello stipendio.
Infatti, ha stabilito che: “Il collocamento del lavoratore in aspettativa sindacale, che non fa venir meno la continuità del rapporto di lavoro e quindi gli obblighi ed i poteri che ad esso ineriscono, con esclusione unicamente degli obblighi rispettivi di prestazione e di corrispondere la retribuzione, è compatibile con l’operare dei limiti all’esercizio del diritto di critica posti al fine di assicurare tutela ad altri beni di pari rilievo costituzionale. Ne consegue che è configurabile in capo alla parte datoriale la facoltà di esercizio del potere disciplinare riconosciuto a fronte di condotte del lavoratore inadempienti rispetto agli obblighi che sul medesimo continuano a gravare, nonostante il godimento dell’aspettativa sindacale”.
In relazione alle procedure sindacali, il Tribunale di Trieste, con decreto del 23.09.2022 ha avuto modo di chiarire che la comunicazione aziendale di avvio di una procedura ex legge n. 234/2021, mancante della preventiva informativa alle OO.SS presenti in azienda, prevista dalla contrattazione collettiva di settore e dal contratto integrativo aziendale, configura una condotta antisindacale.
Con riferimento all’attività sindacale, il Tribunale di Roma, sez. lav., con sentenza n. 4178 del 6.09.2022, ha stabilito che costituisce condotta antisindacale, in quanto lesiva del c.d. “diritto al conflitto”, la rimozione unilaterale, da parte del datore di lavoro, di bandiere e striscioni, contenenti il logo del sindacato, affissi nella zona d’ingresso della struttura d’impresa, nell’imminenza della data fissata per lo sciopero generale e nel pieno stato dell’agitazione.
Tale condotta, secondo il Giudicante, è suscettibile di ostacolare, sul piano dei rapporti di forza, il diritto del sindacato di battersi per l’accoglimento, da parte dell’imprenditore, delle proprie rivendicazioni.
Sempre nell’ambito dei rapporti tra le parti, il Tribunale Milano sez. lav., con la sentenza n. 945 del 27.07.2018 ha ritenuto antisindacale la condotta del datore di lavoro che non consegni a ciascuna RSU copia delle chiavi della bacheca sindacale, mentre la Suprema Corte con la sentenza n. 3837 del 26.02.2016, ha stabilito l’antisindacalità della condotta del datore di lavoro che concede i locali per un’assemblea con preavviso tale da non consentirne la pubblicizzazione.
Si è, invece, occupato delle modalità di avvio delle trattive sindacali il Tribunale di Padova, Sezione Lavoro, con l’ordinanza del 30.12.2021, stabilendo che il datore di lavoro è libero di intraprendere trattative sindacali, senza obbligo di negoziare con alcune sigle sindacali piuttosto che con altre.
Con riferimento agli adempimenti retributivi mensili del datore di lavoro, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 24612 del 2.10.2019, ha esaminato l’ipotesi di rifiuto da parte dell’azienda a procedere al pagamento delle deleghe sindacali mediante cessione del credito.
In quel caso ha ritenuto che il rifiuto ingiustificato di eseguire il pagamento dei contributi sindacali, secondo il tipo negoziale della cessione del credito, configura un inadempimento che, oltre a rilevare sotto il profilo civilistico, costituisce anche condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28, legge 20 maggio 1970, n. 300, in quanto oggettivamente idonea a limitare l’esercizio dell’attività e dell’iniziativa sindacale.
Sempre nell’ambito della progressione degli orientamenti, merita, inoltre, un richiamo la pronuncia resa dalla Suprema Corte a Sezioni Unite n. 13978 del 6.06.2017 con la quale è stato risolto un contrasto che è perdurato per quasi vent’anni, confermando l’antisindacalità del diniego del diritto all’assemblea richiesta soltanto da alcuni componenti della RSU, sul presupposto che tale organo non sarebbe sempre sottoposto al principio maggioritario, essendo in taluni casi la titolarità dei diritti sindacali imputabile anche ai singoli componenti.
Un ulteriore tema riconducibile all’evoluzione del mondo del lavoro è quello dei cosiddetti “riders addetti al food delivery” e, anche con riferimento a tale categoria, la giurisprudenza si è interrogata in merito all’applicabilità della disciplina di cui all’art. 28 legge 300/70.
Il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 781 del 24.11.2021 ha ritenuto che, trattandosi di un rapporto di lavoro inquadrabile nell’ambito delle collaborazioni etero-organizzate di cui all’articolo 2 del d.lgs. n. 81/2015, ne consegue che detti lavoratori godono di una “protezione equivalente” a quella dei lavoratori subordinati con applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato, che, in assenza di specifiche restrizioni, si estende anche alla dimensione collettiva dei diritti dei lavoratori stessi, che ricomprende il procedimento per la repressione della condotta antisindacale ex articolo 28 dello Statuto dei lavoratori. Nella sostanza, il giudice ha ritenuto antisindacale la condotta del committente il quale aveva risolto tutti i contratti dei rider che non avevano accettato l’applicazione delle condizioni del contratto collettivo nel frattempo stipulato con una organizzazione sindacale.
Tale impostazione è stata ulteriormente confermata anche dal Tribunale di Bologna con pronuncia del 12.01.2023 con la quale ha stabilito l’assenza di prova della rappresentatività della UGL-Rider che aveva sottoscritto il contratto collettivo e, di conseguenza, che non può negarsi l’applicazione ai rider, collaboratori etero-organizzati, della disciplina del lavoro subordinato.
Questi rappresentano solo alcuni esempi di come la disciplina della condotta antisindacale sia in continua evoluzione e la giurisprudenza debba confrontarsi con sempre nuove realtà dettate anche dalle mutate condizioni lavorative e sociali.
*Avvocato in Venezia