RIFORMA CARTABIA: I RIFLESSI SUI RAPPORTI DI LAVORO E SULLE LORO TUTELE

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di Giada Rossi* 

Il 28 febbraio 2023 è entrata in vigore la cosiddetta Riforma Cartabia, ovverosia il decreto legislativo del 10 ottobre 2022 n. 149, teso alla “semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile, nel rispetto della garanzia del contraddittorio”, con significativi riflessi anche sui rapporti di lavoro e sulle loro tutele.

Di primario rilievo è l’ampliamento delle sedi deputate alla risoluzione delle controversie di lavoro, deflattive del contenzioso avanti al Giudice del Lavoro.

In ambito di controversie di lavoro, il legislatore italiano ha sempre visto con favore le procedure di conciliazione stragiudiziali, nelle sedi sindacali o amministrative, rendendole financo, per alcuni anni, condizione di procedibilità per adire l’autorità giudiziaria o, come tutt’ora accade, prevedendone l’obbligatorietà per legge in caso di licenziamento per motivo oggettivo (vedasi il tentativo obbligatorio di conciliazione avanti all’Ispettorato del Lavoro per le aziende con i requisiti dimensionali dell’art. 18 in caso di risoluzione di rapporti di lavoro instaurati anteriormente al 7 marzo 2015).

Storicamente, oltre ai tentativi di conciliazione previsti dai Ccnl di settore, divenuti facoltativi a seguito della soppressione dell’ordinamento corporativo, sono state infatti attribuite funzioni di conciliazione agli uffici provinciali e regionali del lavoro (oggi Ispettorato del Lavoro) nelle controversie in materia di licenziamento individuale nonché in caso di irrogazione di una sanzione disciplinare (art. 7 Statuto dei Lavoratori); ed ancora, con l’art. 410 c.p.c. è stata estesa la facoltà di ricorrere alle conciliazioni, nelle sedi sindacali o amministrative, alla generalità delle controversie di lavoro.

In questo contesto, nell’anno 2014, con il decreto legge 132/2014, veniva introdotta nel nostro ordinamento, fra le procedure alternative alla ordinaria risoluzione delle controversie nel processo, la negoziazione assistita, ovverosia una procedura nella quale le parti convenivano di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati. In caso di esito positivo, l’accordo avrebbe costituito titolo esecutivo.

Inizialmente prevista anche per le controversie di lavoro, in sede di conversione in legge ne era stato ridotto l’ambito applicativo, escludendo la materia giuslavoristica.

A distanza di quasi due lustri, è stata definitivamente introdotta questa procedura di conciliazione, alternativa alle sedi elettive delle conciliazioni in materia di lavoro (sindacale o avanti all’Ispettorato del Lavoro, oltre a quella giudiziaria), nella quale ciascuna parte dovrà essere assistita da un legale, che a sua volta potrà essere affiancato da un consulente del lavoro.

L’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita, da trasmettersi a cura di una delle due parti, entro dieci giorni, ad uno degli organismi di cui all’art. 76 del decreto legislativo del 10 settembre 2003, n. 276 (id est commissioni di certificazione) non sarà impugnabile, secondo la disciplina di cui all’art. 2113, comma 4, c.c. Salvo contrari arresti giurisprudenziali, l’accordo avrà la stessa efficacia delle conciliazioni in sede protetta.

Altrettanto rilevante è l’abolizione del cosiddetto Rito Fornero, ovverosia il rito speciale, introdotto con la legge 92/2012, riservato alle controversie di impugnazione dei licenziamenti comminati da aziende con alle proprie dipendenze più di 15 dipendenti nello stesso comune oppure più di 60 in tutto il territorio nazionale.

L’applicazione di questo speciale rito, volto ad una accelerazione delle controversie di lavoro in caso di domanda di reintegrazione da parte del lavoratore, era stato per legge escluso dai contratti di lavoro “a tutele crescenti”, ovverosia quelli instaurati posteriormente al 7 marzo 2015, rimanendo circoscritto ai rapporti di lavoro regolati dall’art. 18 Statuto dei Lavoratori, con un’utilità destinata quindi a ridursi con il passare degli anni.

Sino all’avvento della Riforma Cartabia, in caso di tutela giudiziale avverso i licenziamenti illegittimi, sussistevano dunque due riti differenti, a seconda della data di instaurazione del rapporto di lavoro.

Ora invece si tornerà ad un rito unificato ma, si badi, esclusivamente sotto il profilo processuale, in quanto il regime di tutela dei licenziamenti illegittimi (secondo l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e secondo la normativa introdotta dal Jobs Act) resterà distinto a seconda della data di assunzione del lavoratore.

All’abolizione del cosiddetto Rito Fornero non seguirà, quantomeno nelle intenzioni del legislatore, una dilatazione dei tempi delle vertenze promosse onde ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro, avendo la Riforma Cartabia introdotto un nuovo articolo nel codice di procedura civile teso ad offrire un canale privilegiato per le domande di reintegra: l’art. 441- bis c.p.c. sancisce infatti che la trattazione e le decisioni delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti nelle quali è proposta domanda di reintegrazione nel posto di lavoro hanno carattere prioritario rispetto alle altre pendenti sul ruolo del giudice, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto.

La norma citata prevede inoltre la possibilità per il giudice di ridurre sino alla metà i termini del procedimento e di concentrare le fasi di istruttoria e decisionale in relazione alle domande di reintegra, così potendo concretamente soddisfare le esigenze di celerità del caso specifico.

Risolvendo dubbi interpretativi susseguitisi negli anni, la Riforma Cartabia prevede un nuovo articolo di legge, in tema di licenziamenti dei soci di cooperativa.

L’art. 441-ter c.p.c. prevede ora espressamente che il Giudice del Lavoro, investito della domanda tesa all’impugnazione del licenziamento del socio di cooperativa, decida anche sulle questioni relative al rapporto associativo, divenendo quindi l’Ufficio deputato a dirimere questo tipo di controversie nel loro complesso. Viene infatti altresì esplicitato come il giudicante decida sul rapporto di lavoro e sul rapporto associativo nei casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro deriva dalla cessazione del rapporto associativo.

Da ultimo, la Riforma introduce l’art. 441- quater c.p.c., intitolato licenziamenti discriminatori.

Detto articolo non rappresenta una vera novità, limitandosi a stabilire – e forse a chiarire – che le vertenze citate possano essere instaurante, a scelta del lavoratore, con il rito ordinario oppure, ricorrendone i presupposti, con i relativi riti speciali, a seconda delle fattispecie, ex art. 38 del d.lgs. 11 aprile 2006 n. 198 e ex art. 28 del d.lgs. 1° settembre 2011 n. 150, il primo da intendersi quale procedura d’urgenza azionabile su ricorso del singolo lavoratore, delle organizzazioni sindacali, delle associazioni e delle organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso ovvero della consigliera o del consigliere di parità provinciale o regionale territorialmente competente, avanti al Giudice del Lavoro, che ordinerà all’autore del comportamento denunciato la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti; il secondo avente ad oggetto discriminazioni per motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o religiosi, età, convinzioni personali, orientamento sessuale o handicap, controversie tutte ora regolate dal nuovo rito semplificato di cognizione, introdotto dalla riforma Cartabia all’art. 281- decies c.p.c., fra le cui peculiarità spicca la facoltà delle parti, nel giudizio di primo grado, di stare in giudizio personalmente. Con la sentenza che definisce questo tipo di giudizio, il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti.

Precisata dunque la facoltà del lavoratore di scegliere fra il rito ordinario del lavoro e quelli speciali, l’art. 441-quater c.p.c. sancisce che la proposizione della domanda relativa alla nullità del licenziamento discriminatorio e alle sue conseguenze, nell’una o nell’altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda.

Da quanto sopra, emerge come la Riforma Cartabia, di ampia portata rispetto alla disciplina processuale, abbia invero inciso su un numero molto limitato di aspetti della disciplina giuslavoristica; ciononostante, è evidente la rilevanza di questi limitati interventi, originati dal nobile intento di unificare e semplificare le azioni a tutela del lavoratore, risolvendo problematiche che la giurisprudenza, solo nel corso di molti anni, aveva tentato di superare, purtroppo non in modo univoco e non senza zone d’ombra.

La buona riuscita della Riforma non potrà che dipendere dal concreto impegno dei professionisti coinvolti e della magistratura.

* Avvocato in Milano

 

 

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