LETTERA DI LICENZIAMENTO, LA PROVA DELLA CONSEGNA

, ,
di Stefano Ferri *

La recente Ordinanza n. 26532 del 08 settembre 2022 della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione fissa un importante principio in materia giuslavoristica: non si può provare in via testimoniale la consegna della lettera di licenziamento.

Vediamo di ricostruire la vicenda e perimetrare correttamente il principio sancito dalla Suprema Corte. Nel caso che prenderemo in esame non era controverso che la lavoratrice fosse stata licenziata in occasione di una riunione aziendale alla quale partecipavano l’amministratore delegato e due dipendenti; veniva viceversa ritenuta non provata la forma scritta di tale licenziamento in quanto era contestato che all’atto dell’estromissione la dipendente avesse ricevuto la lettera di licenziamento da parte datoriale.

Di conseguenza la lavoratrice ha impugnato il recesso di controparte in quanto orale quindi viziato da insanabile difetto di forma, mentre l’impresa affermava di aver consegnato la lettera, circostanza che riteneva di aver provato in via testimoniale (peraltro assunta in primo grado).

Si rammenta a tal proposito il disposto dell’articolo 2725 del codice civile che stabilisce che per gli atti relativamente ai quali la legge preveda la forma scritta, la prova per testimoni è ammessa soltanto nel caso di cui all’articolo 2724 punto 3, quindi qualora il contraente abbia senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova, circostanza non allegata nella fattispecie.

Il divieto di testimonianza nelle ipotesi di cui al 2725 comporta inammissibilità che può essere rilevata in ogni stato e grado di giudizio e anche d’ufficio, trattandosi di norma di ordine pubblico.

Neppure può essere invocato, chiarisce l’Ordinanza in questione, l’articolo 421 comma 2 del codice di procedura civile “noto essendo che esso, nell’attribuire al giudice del lavoro il potere di ammettere d’ufficio ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, si riferisce non ai requisiti di forma previsti (ad substantiam o ad probationem) per alcuni tipi di contratti, ma ai limiti fissati alla prova testimoniale, in via generale, dagli artt. 2721, 2722 e 2723 stesso codice”. Nel caso in esame, infatti, non era possibile attribuire alla lettera di licenziamento data certa di predisposizione anteriore o coeva all’atto della comunicazione al lavoratore; quindi non è possibile provare per testi tale predisposizione e consegna al lavoratore, altrimenti saremmo in aperta violazione del già citato articolo 2725 del codice civile, sia pur indiretta.

Di conseguenza, non essendo ammissibile la prova testimoniale circa la controversa comunicazione per iscritto del recesso datoriale, il licenziamento risulta nullo per difetto della forma prevista dalla legge.

Non si tratta peraltro di una posizione nuova, in quanto la Suprema Corte, già con Sentenza 3 giugno 2015 n. 479, aveva analizzato un caso nel quale “era contestato che al momento dell’estromissione dall’azienda al ricorrente fosse stata letto, mostrato o consegnato uno scritto contenente la volontà datoriale di recesso”. E anche in tale caso il tentativo di attribuire valore alla deposizione dei testi, che avevano riferito di aver letto e consegnato la missiva al destinatario, era stato respinto, trattandosi, come chiarito anche in questa pronuncia ed eccepito dal ricorrente, di testimonianze “inammissibili ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2725 del codice civile cpv. c.c. (come eccepito dal ricorrente), norma che non consente la prova testimoniale d’un contratto (o di un atto unilaterale, ex articolo 1324 c.c.) di cui la legge preveda la forma scritta a pena di nullità se non nel caso indicato dal precedente articolo 2724 c.c., n. 3, vale a dire quando il documento sia andato perduto senza colpa”.

La Sentenza del 2015, come la presente Ordinanza, si era soffermata anche sull’impossibilità di invocare, nella fattispecie, l’articolo 421 del codice di rito osservando che nell’attribuire al giudice del lavoro il potere di ammettere d’ufficio ogni mezzo di prova si riferisce non ai requisiti di forma previsti per alcuni tipi di contratti, ma ai limiti di cui agli articoli 2721, 2722 e 2723; peraltro questa posizione era consolidata e affondava le sue radici su precedenti Sentenze analoghe (tra le altre la n. 17614/09, n. 17333/05 e n. 11540/96).

L’Ordinanza 26532/2022 fissa quindi con chiarezza il principio, da considerarsi ormai pacifico, di inammissibilità della prova testimoniale relativamente alla consegna della lettera di licenziamento, e della conseguente nullità per difetto di forma, principio che dovrà essere tenuto ben presente dai datori di lavoro per evitare declaratorie di nullità evitabili con una maggiore attenzione agli adempimenti che concretizzano il recesso dal rapporto di lavoro.

* Odcec Reggio Emilia

 

image_pdfimage_print