NUOVA RESIDENZA FISCALE DELLE SOCIETÀ
di Paolo Soro*
Il Decreto Legislativo di riforma in materia di fiscalità internazionale, al titolo I, capo I, articolo 2 – Residenza delle società e degli enti (di seguito, il Decreto), apporta importanti modifiche agli articoli 73 (commi 3 e 5-bis) e 5 (comma 3), del TUIR.
Come precisa la relazione illustrativa, in particolare, i criteri della “sede di direzione effettiva” e della “gestione ordinaria in via principale” esprimono la ratio della novella legislativa, sottolineando la rilevanza degli aspetti di natura fattuale in relazione al collegamento personale all’imposizione del reddito e realizzando un approccio che lo amplia e – quanto meno nell’idea del Legislatore – dovrebbe rafforzare la certezza del diritto. Per quanto i due criteri sostanziali operino disgiuntamente, la duplice inclusione persegue l’obiettivo di escludere alla radice indebiti ampliamenti a ulteriori criteri di natura sostanziale.
Le attività di supervisione e l’eventuale attività di monitoraggio della gestione da parte dei soci sono ora ben differenziate dalla direzione effettiva e dalla gestione amministrativa corrente. A detto ultimo proposito, l’inserimento del criterio della “gestione ordinaria in via principale”, prosegue la relazione illustrativa, consente di allinearsi a quell’orientamento di altri Paesi europei che lo impiegano per stabilire il collegamento personale all’imposizione nei casi in cui vi sia un effettivo radicamento della persona giuridica sul territorio ma sorgano incertezze interpretative in merito al luogo di direzione effettiva. In altri termini, ciò che rileva ai fini del criterio qui considerato è che gli atti siano relativi alla gestione ordinaria, attinente al normale funzionamento della società o dell’ente nel suo complesso. L’impiego, poi, dell’espressione “in via principale” consente di evitare un eccessivo allargamento del collegamento personale all’imposizione quando solo una parte di tali attività si svolge nel territorio dello Stato e quindi può, se del caso, esistere una stabile organizzazione.
In continuità con la disposizione vigente, la novella mantiene la presunzione di residenza per i trust e gli enti di analogo contenuto istituiti in Stati o territori a fiscalità privilegiata, in cui almeno uno dei disponenti e almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato italiano, con la possibilità per il contribuente – in riferimento a questi ultimi – di fornire la prova dell’effettiva residenza nello Stato o territorio estero.
Con le modifiche apportate al comma 3 dell’articolo 5, viene inoltre eliminato il riferimento al criterio dell’oggetto principale, che ha dato luogo a controversie e rischi di doppia imposizione.
In definitiva, il criterio della “sede legale” ha carattere formale e rappresenta un elemento di necessaria continuità con la normativa in vigore anteriormente alla riforma; quelli della “sede di direzione effettiva” e della “gestione ordinaria in via principale” presentano, invece, aspetti innovativi e hanno natura sostanziale, riguardando rispettivamente il luogo in cui sono assunte le decisioni strategiche e quello in cui si svolgono concretamente le attività di gestione corrente della società o associazione. Permane, ovviamente, l’alternatività fra tutti i criteri, anche nell’attuale normativa.
La decorrenza delle nuove disposizioni è stata fissata all’articolo 7 del Decreto, il quale prescrive che la novellata regolamentazione attinente alla residenza fiscale di società ed enti entri in vigore:
“A decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto.”
Considerato che il Decreto è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – Serie Generale N. 301 del 28/12/2023 (ed entra in vigore dunque il giorno dopo, 29/12/2023), ne consegue che la normativa in argomento decorre dal 2024.
Facciamo ora un salto nel passato al fine di comprendere meglio le modifiche decise dall’odierno legislatore.
Come noto, si ricade nella fattispecie dell’estero-vestizione allorché un soggetto d’imposta sottragga al potere impositivo nazionale, in maniera strumentale o meno, delle attività d’impresa che siano teoricamente suscettibili di produrre materia reddituale attiva (aziende industriali, commerciali, etc.), ovvero passiva (dividendi, interessi, utili, royalties – c. d. passive income). In sostanza, se la residenza effettiva contraddice quella formale, siamo di fronte a un tipico caso di estero-vestizione. La disposizione normativa è quella di cui all’art. 73, commi 3 e 5-bis, del TUIR. In particolare, il comma 3 previgente stabiliva che:
“Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”.
Il comma 5-bis affermava che, salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, Codice Civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1 (vale a dire: società per azioni e in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, cooperative, società di mutua assicurazione, enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché trust residenti nel territorio dello Stato che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali), i quali, alternativamente:
- a) sono controllati, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
- b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.
Schematizzando quanto appena riportato, in base al previgente art. 73, laddove il management della società o ente estero sia principalmente composto da soggetti che, per la maggior parte del periodo dell’anno, sono residenti in Italia, potremmo incorrere in un’ipotesi di estero-vestizione. Il condizionale è d’obbligo, poiché la disposizione premette la locuzione “salvo prova contraria”: vale a dire che ci troviamo di fronte all’ennesima presunzione prevista dall’ordinamento tributario, certamente suscettibile di dimostrazione contraria, ma che comunque, ab initio, impone un’evidente inversione del naturale onere della prova, spostandolo a carico del contribuente.
Il nuovo comma 3 dell’art. 73 del TUIR, oggi ci presenta il seguente testo:
“Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale”.
Dunque, la sede della direzione effettiva subentra alla generica “sede dell’amministrazione”. Dopo di che, il Legislatore chiarisce altresì che:
“Per sede di direzione effettiva si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso.”
Peraltro, la norma inserisce tra i requisiti anche la gestione ordinaria in via principale. Con ciò il Legislatore intende riferirsi al:
“Continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso”.
Come anticipato, nel testo precedente, la disposizione faceva altresì riferimento pure al concetto di “oggetto esclusivo” dell’attività. L’oggetto esclusivo o principale dell’ente residente veniva determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Con tale locuzione, si intendeva l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto. In mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l’oggetto principale dell’ente residente veniva determinato in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato; tale disposizione si applicava in ogni caso agli enti non residenti.
Con l’approvazione del Decreto, almeno questi riferimenti al criterio dell’oggetto principale, forieri di corposo contenzioso, sono stati fortunatamente eliminati. Considerato, peraltro, che tutti i requisiti restano alternativi fra di loro, ne consegue che ci troveremo potenzialmente di fronte a un caso di estero-vestizione quando, al di là del dato formale, è concretamente localizzata in Italia:
“La sede nella quale vengono adottate le decisioni strategiche” (presumibilmente, gestione straordinaria, piani di investimento, indirizzi di vendita/produzione, etc.) ovvero “la sede nella quale viene svolta la gestione corrente, ordinaria”
Fermo comunque restando il primo requisito formale legato alla sede legale.
Tra i citati tre requisiti iniziali, appare dunque chiaro come il POEM (Place Of Effective Management – sede effettiva dell’amministrazione, quale luogo in cui sono adottate le decisioni strategiche e/o viene svolta la gestione ordinaria) sia quello che risulti presentare le maggiori criticità. Lo stesso Modello Convenzionale dell’OCSE, all’art. 4, afferma infatti che, nell’ipotesi di doppia residenza di una società, quale criterio discriminante debba essere preso in considerazione proprio il Place Of Effective Management. Orbene, in quanto luogo in cui si formano le principali decisioni strategiche della gestione, il POEM viene di regola identificato con la sede in cui si riunisce l’organo amministrativo. Conseguentemente, il registro delle adunanze del CDA sarà oggetto di opportuna verifica da parte del Fisco.
Cionondimeno, secondo il precedente testo normativo, se dei soggetti (persone fisiche con residenza in Italia) componevano in prevalenza l’organo amministrativo, appariva alquanto arduo vincere la presunzione di residenza connessa al POEM, pensando di far passare la propria tesi semplicemente sulla base di un verbale che riportava la sede estera come quella nella quale si sono svolte le varie riunioni dell’organo amministrativo, o magari solo in funzione del tipo di lingua usata nel trascrivere lo stesso verbale. Invero, il parametro cui l’Agenzia delle entrate ha sempre posto particolare cura con riferimento al POEM era piuttosto quello concernente la complessiva attività di direzione e di coordinamento. Ebbene, laddove tale attività si trasformava – ad esempio – in una costante ingerenza nella vita quotidiana della società (come spesso accadeva), risultava inevitabile far coincidere la residenza della società estera con quella di chi era deputato a compiere (o, comunque, indirizzare regolarmente) gli atti di gestione, proprio in virtù della sopra citata presunzione prevista nella richiamata disposizione normativa. Tale presunzione, a detta dell’Amministrazione finanziaria, poteva essere vinta fornendo valide prove circa l’effettività della residenza. Tali erano, per esempio:
– documenti atti a dimostrare che le riunioni del CDA erano state concretamente svolte all’estero (biglietti aerei, ricevute di alberghi, ristoranti, bus, metro, taxi etc., concomitanti con la data delle riunioni);
– documenti che dimostrano l’effettiva esecuzione di atti autonomi da parte dei membri del locale CDA (progetti, presentazioni, meeting e ogni altra documentazione diretta a migliorare l’economicità della società non residente);
– documenti, anche fattuali, testimonianti il grado di autonomia funzionale della società non residente e del suo personale dal punto di vista organizzativo, amministrativo, finanziario e contabile (direttive interne, contratti di natura commerciale e finanziaria, corrispondenza ordinaria con soggetti terzi, apertura e gestione dei conti correnti bancari, richiesta di mutui o prestiti etc.), vale a dire qualunque documentazione in condizione di provare l’effettivo svolgimento in loco dell’intera gestione operativa della società non residente.
In proposito, i principali indici di controllo reputati dall’Amministrazione finanziaria sintomatici ai fini della collocazione in Italia dell’effettivo potere decisionale/amministrativo, onde consentire di verificare l’esistenza di una società estero-vestita, erano i seguenti:
– mail scambiate tra residenti e non residenti;
– documenti personali degli amministratori della società non residente;
– concomitanza degli stessi soggetti nei CDA delle due società (residente e non residente);
– qualifica professionale degli amministratori esteri (ossia, se persone di comodo, o magari soggetti che abitualmente svolgono la funzione di “amministratori” per conto anche di altre società);
– residenza effettiva della società non residente (eventuale sede presso lo studio di qualche professionista locale: commercialista, avvocato, società di consulenza, etc.);
– abituale svolgimento delle riunioni del CDA presso la sede estera;
– verbali di assemblea dei soci (quindi, come anzidetto: verifica del luogo in cui sono materialmente deliberati – ancorché eseguiti – gli atti di gestione);
– contratti della società non residente e luogo effettivo in cui sono conclusi;
– disponibilità di conti correnti bancari italiani ed eventuale gestione dall’Italia di conti correnti bancari esteri.
Ebbene, si reputa che gli anzidetti elementi, in quanto mirati alla dimostrazione del luogo in cui è concretamente condotta l’amministrazione societaria, debbano continuare ad assumere pieno valore con l’introduzione dell’art. 2 del Decreto (e, anzi, ciò a maggior ragione, proprio oggi). Per quanto attiene all’amministrazione, l’attuale novella consente invero di escluderne la sede intesa come indice meramente formale, atteso che detto elemento dovrà essere valutato riferendosi ai luoghi nei quali sono effettivamente assunte le decisioni gestionali, indipendentemente dall’eventuale residenza personale degli amministratori. Detta residenza degli amministratori, peraltro, rimane prevista dalla norma con riguardo ai gruppi societari di cui al successivo comma 5-bis del Decreto.
I criteri della “sede di direzione effettiva” e della “gestione ordinaria in via principale” esprimono dunque la ratio della novella legislativa. Inoltre, l’impiego dell’espressione “in via principale” consente di evitare un eccessivo allargamento del collegamento personale all’imposizione quando solo una parte di tali attività si svolge nel territorio dello Stato e quindi potrebbe, se del caso, esistere una stabile organizzazione: è noto – ad esempio – che la gestione corrente di un ramo d’impresa di regola configuri una stabile organizzazione (“place of management” ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera a, del Modello OCSE e articolo 162, comma 2, lettera a, del TUIR, ossia “sede di direzione”). D’altronde, sulla stessa linea si era già posta pure la Corte di Giustizia UE nella sentenza del 28 giugno 2007, Planzer Luxembourg Sarl, in cui era stato affermato che la nozione di sede dell’attività economica:
“Indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest’ultimo (punto 60)”.
È già stato, inoltre, chiarito che la fattispecie della estero-vestizione, tesa ad accordare prevalenza al dato fattuale dello svolgimento dell’attività direttiva presso un territorio diverso da quello in cui ha sede legale la società, non contrasta con la libertà di stabilimento. Se ne trae conferma dalla sentenza della Corte di Giustizia UE 12 settembre 2006, C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (richiamata da Cassazione Sez. 5, 21/6/2019, n. 16697), la quale, con riferimento al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, ha stabilito che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per sé sola un abuso di tale libertà; tuttavia, una misura nazionale che restringa la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate a escludere la normativa dello Stato membro interessato.
Proseguendo nella lettura del testo odierno troviamo la conferma della presunzione in capo ai trust che hanno a che fare con i Paesi a fiscalità privilegiata, mantenendo entrambe le disposizioni di carattere antielusivo:
“Si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, in cui almeno uno dei disponenti e almeno uno dei beneficiari del trust sono fiscalmente residenti nel territorio dello Stato.
Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust istituiti in uno Stato diverso da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.”
Il successivo comma 5-bis, relativo alla presunzione di residenza nel territorio dello Stato di società ed enti controllati o amministrati da soggetti residenti nel territorio dello Stato (estero-vestizione), è riformulato come conseguenza dell’introduzione dei nuovi criteri della sede di direzione effettiva e della gestione ordinaria. Peraltro, nella sostanza, la disposizione conferma che, sempre ai fini delle imposte dirette, salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, Codice Civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1 (vale a dire: società per azioni e in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, cooperative, società di mutua assicurazione, enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché trust residenti nel territorio dello Stato che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali), i quali, alternativamente:
- a) sono controllati, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
- b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.
L’ipotesi elusiva tipica che tale ultima disposizione mira fondamentalmente a combattere è quella delle società Italiane che costituiscono una holding estera, la quale detiene a cascata la partecipazione di società Italiane. Questa costruzione fittizia veniva, infatti, molto usata un tempo, per evitare la tassazione delle plusvalenze in capo alla holding estera, su cessioni di partecipazioni di società Italiane.
Da notare, poi, che (come indicato al comma 5-ter), ai fini della verifica, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio (o periodo di gestione del soggetto estero) e che, ai medesimi fini, per le persone fisiche, si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari.
Infine, giova ricordarlo, nulla cambia per gli organismi di investimento collettivo del risparmio che si considerano residenti se istituiti in Italia. L’incipit del comma 3 è, però, riformulato per esigenze di chiarezza, meglio esplicitando – in linea con la prassi dell’Agenzia delle entrate – che ai fini della residenza per gli organismi di investimento collettivo del risparmio rileva il criterio del luogo di istituzione.
Ricapitolando quanto qui evidenziato, dunque, la novellata disposizione modifica il criterio di collegamento ai fini della determinazione della residenza fiscale delle società, degli enti e delle associazioni, sopprimendo il criterio dell’oggetto principale e sostituendo il criterio della sede dell’amministrazione con quelli della sede di direzione effettiva e/o della gestione ordinaria in via principale. Inoltre, resta quale criterio di collegamento rilevante ai fini della residenza fiscale la presenza della sede legale nel territorio dello Stato.
In accoglimento di quanto richiesto nella lettera c) del parere reso dalla VI Commissione finanze della Camera dei deputati e della 6^ Commissione finanze e tesoro del Senato della Repubblica, nell’articolo 2 del Decreto qui oggetto di esame è stato inserito il comma 2 che riformula la lettera d) del comma 3 dell’articolo 5 del TUIR in materia di residenza delle società di persone e delle associazioni equiparate alle società di persone. Secondo le intenzioni del Legislatore, anche in tal caso, l’obiettivo consisterebbe nel cercare di assicurare maggiore certezza giuridica, allineando i criteri di radicamento con il territorio dello Stato con quelli previsti per le persone giuridiche.
Sostanzialmente, in coerenza con le modifiche intervenute nell’art. 73 TUIR, vengono eliminati i riferimenti al criterio dell’oggetto principale, che ha dato luogo a controversie e rischi di doppia imposizione, e al criterio della sede dell’amministrazione formale. Analogamente alla residenza delle persone giuridiche, la residenza di società di persone e delle associazioni equiparate viene ricondotta agli usuali tre criteri:
- Il primo criterio della “sede legale” ha carattere formale e rappresenta un elemento di necessaria continuità con la normativa in vigore anteriormente alla riforma;
- Quelli della “sede di direzione effettiva” e della “gestione ordinaria in via principale” presentano, invece, aspetti innovativi e hanno natura sostanziale, riguardando rispettivamente il luogo in cui sono assunte le decisioni strategiche e quello in cui si svolgono concretamente le attività di gestione corrente della società o associazione.
Come sempre, essendo i tre criteri fra loro alternativi, ciascuno di essi è di per sé in grado di fondare il collegamento delle società di persone con il territorio dello Stato.
La previgente disposizione recava il seguente testo:
“Si considerano residenti le società e le associazioni che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale, nel territorio dello Stato.
L’oggetto principale è determinato in base all’atto costitutivo, se esistente in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, e, in mancanza, in base all’attività effettivamente esercitata”.
Nell’odierna riperimetrazione di tipo più prettamente sostanziale/fattuale, la norma prevede il seguente testo:
“Si considerano residenti le società e le associazioni che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale.
Per sede di direzione effettiva si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’associazione nel suo complesso.
Per gestione ordinaria si intende il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’associazione nel suo complesso”.
In definitiva, dunque, in collegamento con quanto stabilito per le società di capitali (ed enti equiparati) nell’art. 73, TUIR, il Legislatore non può che modificare altresì, di pari passo, quanto previsto nell’art. 5, TUIR, per: società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice ed equiparate, ai fini di determinare i requisiti di residenza fiscale nel territorio dello Stato.
Riassumendo tutto quanto fin qui esposto, la parte del Decreto di riforma della fiscalità internazionale che interessa il tema della residenza fiscale delle società è finalizzata all’allineamento del nostro ordinamento alla prassi internazionale e alla disciplina prevista dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni, con l’obiettivo di dare maggiore certezza e, contestualmente, ridurre il contenzioso. La disciplina viene riformata intervenendo sui criteri di collegamento (ex articolo 73 del TUIR).
Nello specifico, l’articolo 2 del Decreto di recepimento lascia invariato il criterio di collegamento fondato sulla presenza della sede legale nel territorio dello Stato, rimuovendo, invece, il criterio dell’oggetto principale inteso in ottica meramente formale, estraneo alla prassi internazionale. La disposizione, inoltre, formula diversamente il criterio della sede dell’amministrazione, specificando i criteri di collegamento di natura sostanziale: la direzione effettiva e la gestione ordinaria in via principale.
Come già più volte ricordato, anche nell’attuale perimetrazione, tutti e tre i criteri di collegamento permangono tra loro alternativi, di tal guisa che il verificarsi di uno solo di essi consente al Fisco di qualificare la residenza fiscale in Italia.
In sede di conclusioni, pare doveroso osservare che, in genere, un tentativo del Legislatore che vada nella direzione di modificare i parametri formali ricercando piuttosto la sostanza, è sicuramente apprezzabile. Peraltro, francamente, lo sforzo compiuto appare alquanto insufficiente e resta l’amaro in bocca per l’ennesima occasione sprecata.
Oltre a ciò, considerato il tenore letterale della novella, resta tuttora il timore – più che fondato – di contenziosi nei quali i contribuenti saranno ancora una volta vittime di un’ingiustificata inversione dell’onere della prova, in assoluta controtendenza rispetto alla sbandierata certezza del diritto. Invero, la legge imporrebbe all’Agenza delle entrate di dimostrare l’esistenza di uno degli anzidetti tre criteri. Ciononostante, nella pratica, abbiamo visto spesso delle incomprensibili inversioni dell’onere della prova a carico del contribuente, per giunta avallate da taluna giurisprudenza.
Ecco, almeno sotto questo punto di vista, una riscrittura più puntuale ed esente da qualsivoglia interpretazione soggettiva della norma, sarebbe parsa doverosa e, proprio nell’ottica di perseguire gli obiettivi dichiarati, avrebbe drasticamente diminuito il volume del contenzioso, quanto meno in previsione futura.
*ODCEC Roma
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