di Fabiano D’Amato*

La Banca Centrale Europea ha ridotto il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali dell’Eurosistema, ex Tasso Ufficiale di Riferimento, che, a decorrere dal 23 aprile 2025, è pari al 2,40%.

L’INPS, con la Circolare n. 80 del 18.4.2025, l’INPS ha reso pertanto note le seguenti variazioni decorrenti dallo stesso 23.4.2025:

  • Gli interessi da dilazione e differimento contributivo saranno pari all’8,40% annuo.
  • Le somme aggiuntive da applicare in caso di omesso o ritardato versamento contributivo saranno pari al 7,90% in ragione d’anno, entro il limite del 40% dei contributi omessi o tardivamente versati

Nulla cambia per la sanzione in caso di evasione contributiva che rimane, in ragione d’anno, pari al 30%, nel limite complessivo del 60% dei contributi non corrisposti entro la scadenza prevista.

Nella Circolare l’Istituto riassume anche alcune agevolazioni previste al fine di favorire l’adempimento spontaneo.

La Circolare INPS è reperibile al seguente link.

https://www.inps.it/it/it/inps-comunica/atti/circolari-messaggi-e-normativa/dettaglio.circolari-e-messaggi.2025.04.circolare-numero-80-del-18-04-2025_14903.html

*ODCEC Roma

image_pdfimage_print

di Francesco Genna, Erika Pietrocola e Simona Gentile*

L’ATS Brianza ha attivato la Campagna informativa “Impariamo dagli errori” raccontando, sul sito Web aziendale, alcune dinamiche infortunistiche di casi indagati, con la speranza che l’informazione su questi eventi contribuisca a ridurre la possibilità del ripetersi ancora di infortuni con le stesse dinamiche.

La campagna “Impariamo dagli errori” è stata ideata per offrire alle imprese un “archivio” di esperienze e conoscenze relative alle dinamiche infortunistiche che si sono verificate nei vari settori di attività, con l’intento di fornire anche indicazioni utili per la prevenzione. L’obiettivo principale è quello di offrire delle schede come strumento di supporto e consultazione per la gestione della salute e sicurezza sul lavoro in azienda.

Le schede possono essere utilizzate durante le attività formative, dove è più efficace la visione e la discussione di casi concreti di infortuni che hanno coinvolto lavoratori con le stesse mansioni, consentendo al lavoratore di immedesimarsi più facilmente nella situazione descritta.

Il principio sul quale è basato tale progetto può sintetizzarsi con il motto “conoscere per prevenire”. Difatti, la conoscenza delle dinamiche incidentali può aumentare la consapevolezza di possibili situazioni di pericolo e rischio e supportare il datore di lavoro nell’adozione di misure di prevenzione e protezione e i lavoratori nel loro rispetto.

Tra gli obiettivi della campagna, vi è anche quello di esaminare eventi poco esplorati dal sistema di prevenzione: i near-miss, ovvero quelli eventi incidentali che non hanno avuto conseguenze lesive per le persone. Raccogliere, analizzare e condividere le informazioni sui near-miss rappresenta una opportunità di miglioramento e uno strumento per la prevenzione degli infortuni. È stato possibile accedere a tale fonte informativa solo grazie al diretto e prezioso contributo di alcune imprese, che hanno messo a disposizione del gruppo di lavoro le informazioni sugli incidenti accaduti nei luoghi di lavoro.

La Campagna è svolta in collaborazione con altri operatori Tecnici della Prevenzione di alcune Ats Lombarde, personale INAIL nazionale, Inail di Monza e con il coinvolgimento di alcune Associazioni datoriali dell’industria, dell’Edilizia e dell’Agricoltura del territorio di ATS Brianza.

Il modello di analisi utilizzato nella realizzazione delle schede d’infortunio è quello “multifattoriale a scambio di energia” del metodo Infor.Mo (ex Sbagliando s’impara) adottato dal sistema si sorveglianza nazionale degli infortuni mortali e gravi, https://www.inail.it/nsol-informo/analisi.do, che prevede l’identificazione dei fattori di rischio (i cosiddetti determinanti ed eventuali modulatori) che hanno portato al verificarsi dell’evento. Per determinante si intende ogni fattore che concorre a determinare un incidente, aumentandone la probabilità di accadimento. Il modulatore, invece è quel fattore ininfluente sulla probabilità di accadimento, ma è in grado di aggravare o attenuare il danno che ne consegue dall’evento.

Il metodo è stato implementato con la collaborazione dell’Inail, inserendovi una classe di fattori di rischio remoti denominati Criticità organizzative alla base dell’evento per analizzare anche le carenze nell’organizzazione aziendale e nel suo sistema di sicurezza.

Nella parte finale la scheda contiene anche la rappresentazione grafica degli elementi, utile per ricostruire la sequenza logico-cronologica della dinamica infortunistica.

Le schede di infortuno e di incidente pubblicate in questa campagna, evidenziano in primo luogo la multifattorialità di ogni evento. L’infortunio è considerato come il risultato di una sequenza di eventi, perturbazioni e variazioni che intervengono nello svolgimento normale dell’attività lavorativa. Le azioni poste in essere dall’individuo vengono messe in relazione con altri fattori quali le attrezzature e l’ambiente. L’applicazione di questo modello fa emergere la considerazione che la sequenza degli eventi coinvolge fattori più o meno prossimi all’infortunio, includendo anche i fattori che sono maggiormente distanti dall’infortunio e che spesso vengono dimenticati.

Di conseguenza, tale multifattorialità degli eventi impone strategie che prevedano misure di prevenzione e di protezione individuate su molteplici piani di azione; il che significa mettere concretamente in atto, in azienda, più misure di sicurezza (attrezzature sicure, procedure di lavoro corrette, informazione, formazione, addestramento, vigilanza, ecc.) a tutela dei lavoratori. (Fig. 2 – Classificazione dei fattori di rischio individuati negli infortuni analizzati).

Si riportano di seguito i risultati di uno studio di analisi condotto sulle schede prodotte dal 2018 (anno di nascita della Campagna).

Risultati della campagna

I dati seguenti derivano dall’analisi delle schede realizzate fino al mese di Febbraio 2025. Per i 144 casi esaminati sono stati individuati 711 fattori di rischio.

Dall’analisi è emerso che i fattori di rischio si suddividono quasi equamente tra determinanti dell’incidente e criticità organizzative che ne sono alla base. I modulatori invece, rappresentano una quota minore.

Il 44% dei fattori è rappresentato dalle criticità organizzative.  Tra i determinanti al primo posto vi è l’attività dell’infortunato con il 20%, seguita dalle problematiche connesse alle attrezzature di lavoro 17%, l’attività di terzi 8%, l’ambiente 5%, materiali 4%, e DPI 2%.

Nelle criticità organizzative, i processi più coinvolti negli errori sono:

  • Carente Valutazione del rischio (32%)
  • Mancanza di procedure di lavoro (18%)
  • Assenza o inefficace formazione (18%)
  • Mancata vigilanza (10%)
  • Mancata o errata progettazione (7%)
  • Mancato coordinamento (2%)
  • Assenza o carenza di manutenzione (3%)
  • Non corretta gestione degli appalti (2%)
  • Errata installazione (2%)
  • Errata costruzione (2%)

Secondo il modello, i fattori di rischio vengono classificati come stato quando si tratta di una condizione di rischio pregressa e permanente, o come processo quando si tratta di un’azione dinamica come ad esempio un comportamento errato del lavoratore o la rottura di una protezione.

Nell’analisi dei casi trattati, sono stati rilevati per il 52% fattori determinanti di processo e per il 48% fattori determinanti di stato.

Anche l’analisi di questi fattori risulta fondamentale per comprendere come implementare le misure di prevenzione. Gli stati possono essere affrontati prima dell’incidente, in quanto rappresentano situazioni di rischio preesistenti, evidenti e legate alle criticità. Per quanto riguarda i fattori denominati processi, che si riferiscono alle azioni compiute dall’infortunato o da terzi, pur essendo più difficili da controllare, è possibile intervenire attraverso percorsi formativi e programmi di addestramento.

Utilizzando i dati raccolti, è stato possibile analizzare anche altre variabili: comparti, luogo dell’infortunio, attrezzature coinvolte e attività infortunato.

Il settore metalmeccanico e quello delle costruzioni sono i più colpiti da infortuni gravi. Per contrastare il continuo verificarsi di infortuni mortali facilmente evitabili con le misure di prevenzione, Ats Brianza ha sviluppato un Piano di Prevenzione mirato “Primo non morire”, accessibile al seguente link Primo, non morire, con l’obiettivo di sensibilizzare le aziende e fornire strumenti di valutazione e formazione per affrontare le situazioni lavorative che, per frequenza e gravità, causano la maggior parte degli incidenti mortali anche nel nostro territorio.

Il grafico seguente riporta le percentuali relative al luogo di di accadimento dell’infortunio. Si evince
che il reparto aziendale è il luogo in cui si registra il maggior numero di infortuni, seguito dai magazzini
e piazzali.

Riguardo le attrezzature di lavoro o gli altri agenti materiali che hanno determinato l’infortunio, troviamo le macchine di sollevamento e trasporto (27%), seguite dalle macchine di produzione (24%).

L’ATS Brianza affianca questo progetto ai Piani Mirati di Prevenzione (https://www.ats-brianza.it/ it/approfondimenti-sui-rischi-lavorativi-specificipiani-mirati-di-prevenzione-faq-e-informazioni/23master-category/cat-servizio-imprese/2228-pianimirati-di-prevenzione.html), ulteriore strumento che promuove un approccio proattivo orientato al supporto e assistenza alle imprese.

La Campagna è visibile direttamente a questo link: https://www.ats-brianza.it/it/casi-infortuni.html o più semplicemente utilizzando un motore di ricerca indicando “Ats Brianza impariamo dagli errori”.

*ATS Brianza

image_pdfimage_print

di Bernardina Calafi ori e Eleonora Ilario*

Le conclusioni ispettive accertavano che l’azienda oggetto di esame risultava priva di un’effettiva organizzazione imprenditoriale. Nella specie, la società distaccante non risultava avere una struttura amministrativa propria (nessun ufficio, né spese per utenze o materiali di consumo), non possedeva automezzi propri (che erano invece forniti dalla distaccataria) e risultava iscritta all’albo degli autotrasportatori solo dopo aver aderito al contratto di rete e dopo aver già inviato i lavoratori in distacco.

Questi elementi portavano gli Ispettori a ritenere che la distaccante fosse una mera somministratrice di lavoratori che venivano, appunto, assunti e immediatamente distaccati presso altre imprese (tanto che su 265 dipendenti, ben 250 erano distaccati presso altre imprese della rete).

Investito della questione, il Tribunale di Perugia ha ritenuto immuni da censure le conclusioni a cui erano giunte le autorità ispettive.

In particolare, con la sentenza qui in commento, il Tribunale ha rilevato che ai fini della validità di un contratto di rete – nell’ambito del quale può ritenersi valida e operativa la presunzione circa l’interesse al distacco – non è sufficiente il rispetto dei meri requisiti formali dello stesso (forma scritta, comunicazione al registro delle imprese etc);  è necessario, in particolare, che le imprese che costituiscono la rete svolgano una effettiva attività economica e abbiano un’organizzazione coerente con essa.

Nel caso di specie, mancando tale requisito, il Tribunale ha ritenuto invalido il contratto di rete, confermando la conseguente riqualificazione del distacco come somministrazione illecita di manodopera ad opera degli Organi Ispettivi.

La pronuncia qui in commento, pur trattando un caso “limite”, è certamente rilevante perché conferma, anche in relazione alla fattispecie del contratto di rete, l’importanza della scelta dei partner commerciali.

D’altra parte, a tale proposito, il Tribunale di Perugia ha altresì affermato che:

«…l’imprenditore che si avvalga, anche nell’ambito di un contratto di rete, di lavoratori distaccati da altro imprenditore non può, secondo diligenza, disinteressarsi completamente di quale sia la natura del soggetto distaccante dovendo, in mancanza di una previa verifica, rispondere delle conseguenze della sua condotta omissiva laddove, come nel caso di specie, il soggetto distaccante risulti, ex post, un mero simulacro di impresa funzionale ad un congegno interpositorio vietato».

Nella specie, come visto, le conseguenze sono importanti; infatti, proprio perché mancava un valido contratto di rete (in forza del quale erano stati distaccati i lavoratori), è stato ritenuto che la fattispecie complessivamente integrasse una somministrazione illecita di manodopera.

*Avvocati Studio Legale Daverio & Florio

(studiolegale@daverioflorio.com)

image_pdfimage_print

di Bernardina Calafiori e Alessandro Montagna*

Con la pronunzia in commento (Cass., sez. lav., n. 2066 del 24.10.2024, depositata il 29.01.2025), la Suprema Corte di Cassazione ha affrontato una fondamentale questione di diritto in tema di regolarità del procedimento disciplinare, sia pure con riferimento ad una specifica fattispecie disciplinata dal CCNL Metalmeccanica e aziende industriali.

Al fine di comprendere la ratio decidendi della pronunzia in esame, appare utile rammentare, in via preliminare, che ai sensi dell’art. 7, comma V°, della Legge n. 300 del 20.05.1970 (c.d. Statuto dei Lavoratori) “i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa”.

Il termine di cinque giorni è – come noto – fondamentalmente diretto ad assicurare al dipendente, che sia destinatario di una lettera di contestazione disciplinare, un congruo “spatium deliberandi” per rendere le sue giustificazioni scritte. Quid iuris, tuttavia, nel caso in cui il dipendente invii al suo datore di lavoro le sue giustificazioni entro il citato termine, ma le stesse pervengano al destinatario dopo lo spirare del limite di cinque giorni?

A tale quesito risponde la decisione in commento, resa in un caso assoggettato alla disciplina del CCNL Metalmeccanica aziende industriali, il cui art. 8 recita, per quanto qui rileva, che “… il datore di lavoro non potrà adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa. Salvo che per il richiamo verbale, la contestazione dovrà essere effettuata per iscritto ed i provvedimenti disciplinari non potranno essere comminati prima che siano trascorsi 5 giorni, nel corso dei quali il lavoratore potrà presentare le sue giustificazioni.”.

Orbene, la Suprema Corte dà anzitutto atto di una precedente decisione (Cass., Sez. Lav., 9.5.2012, n. 7096) secondo cui l’art. 7, comma 5, L. n. 300/1970 disporrebbe che le eventuali difese del lavoratore devono pervenire al datore di lavoro entro il termine di cinque giorni, con la conseguenza che – secondo detto arresto giurisprudenziale – tale limite temporale non potrebbe dirsi rispettato, quando, pur avendo il lavoratore inviato le proprie difese prima del suo decorso, la ricezione di esse avvenga in data successiva.

Rispetto a tale precedente giudiziale, la Corte di Cassazione, con la pronunzia in commento, prende le distanze, sia pure con specifico riferimento alla previsione collettiva che viene nella specie presa in considerazione.

A supporto di tale sua decisione, la Suprema Corte ha osservato che il tenore letterale dell’art. 8, sopra riportato, non contiene nessuno specifico riferimento alla ricezione da parte del datore del lavoro delle giustificazioni del lavoratore e/o della sua richiesta di essere sentito a propria difesa, né al momento in cui le stesse debbano pervenire al datore di lavoro.

Pertanto, a dire della Suprema Corte, la necessità di fare riferimento alla documentata data di invio di giustificazioni o richieste, da parte del lavoratore, piuttosto che alla data di ricezione delle stesse, deve ritenersi preferibile sulla base di una interpretazione teleologica di tale disposizione collettiva, atteso che la relativa ratio ispiratrice consiste in ciò: nella tutela del diritto di difesa del lavoratore incolpato e che, in quanto tale, appare poco conciliabile con interpretazioni tese a rendere più gravoso l’esercizio.

image_pdfimage_print

di Graziano Vezzoni*

A Venezia è il 12.06.2030 un venerdì, come tanti altri; mi appresto a partecipare al convegno, che già dal titolo si annuncia intrigante, in perfetto stile veneziano, “Concordato Preventivo Biennale sul Lavoro”.

Questo tipo di contratto era stato istituito nel lontano 2028, ispirandosi vagamente al famoso Concordato Preventivo Biennale di natura fiscale del 2024.

Ricordiamo tutti che tale concordato, nonostante le sue nobili intenzioni, non aveva riscosso un grande seguito né successo. Ma, ahimè, nella burocrazia come nella moda, tutto torna! Con alcuni colleghi e redattori della rivista “Noi e il Lavoro”, stiamo solcando le acque del Canal Grande a bordo di un vaporetto, diretti al convegno.

Marco Sambo, come sempre, fa da cerimoniere e accompagnatore. Con un tono tra il serio e il faceto, sussurra: “Colleghi, non è che possiamo arrivare al convegno sudati come dei commercialisti che sono alle prese con una visita ispettiva!”.

I colleghi annuiscono compiaciuti, ribadendo quanto sia essenziale apparire impeccabili, quasi debbano essere pronti per una sfilata piuttosto che per un convegno. Le star dell’evento sono i relatori: Maurizio Centra, Stefano Lapponi e Marco D’Orsogna Bucci. E poi c’è Martina Riccardi, la moderatrice, soprannominata ironicamente la “domatrice”, pronta più che mai a dirigere il traffico di idee come un abile controllore di volo in una torre di comando.

Sul vaporetto, mi perdo nei ricordi e penso a quanto tempo è trascorso dal primo incontro organizzato dal Gruppo ODCEC Area Lavoro. Anni, decisamente troppi. Mi guardo intorno e vedo colleghi invecchiati nell’aspetto, ma giovani nello spirito, come rockstar che non hanno mai smesso di andare in tour.

Il convegno inizia puntuale come un orologio svizzero alle 14:30, e i nostri eroici relatori si lanciano nell’ardua impresa di far capire il Concordato Preventivo Biennale sul Lavoro. Un nome così lungo che se lo scrivi su un assegno, non ti resta spazio per la cifra! Questa chicca burocratica prevede un balletto di accordi tra il datore di lavoro e gli istituti sui versamenti delle ritenute e dei contributi per i due anni stabiliti. Come in ogni favoloso accordo degno di una sceneggiatura hollywoodiana, ci sono tempistiche e modalità di pagamento delineate con precisione chirurgica. Questo tipo di contratto, che sembra uscito da un gioco da tavolo economico, prevede, oltre alla somma base già pattuita, una serie di versamenti bonus, diciamo così, calcolati sulla base dei licenziamenti che avresti pianificato durante il biennio concordato.

Il pagamento del concordato ti blinda meglio di un bunker antiatomico contro ogni possibile ispezione; anzi, con un generoso extra del 10% sul totale, potrai non solo evitare le visite indesiderate, ma anche lanciare, impunemente, qualche affettuosa frecciatina verbale agli ispettori, qualora osassero mettere piede nel tuo regno aziendale. Insomma dovete immaginare un contratto così previdente da indicare tutto in anticipo, persino la durata esatta della pausa caffè, una vera e propria profezia contrattuale! Il convegno termina alle 19:00 e dopo ore di chiacchiere che avrebbero messo alla prova anche l’ascoltatore più stoico, la tradizione ha avuto la meglio e ci siamo ritrovati tutti a fare cerchio intorno ad un aperitivo.

Tra un anacardo e l’altro, abbiamo riso come matti sulle slide sbagliate (che sembravano uscite da un episodio di “Chi l’ha visto”) e sulle domande, rivolte dal pubblico, così bizzarre che nemmeno Google avrebbe saputo cosa rispondere, ma i nostri eroi si.

Gli aperitivi si susseguono a ritmo vertiginoso, finché il saggio Domenico Calvelli, con un tono strascicato (forse dovuto all’eccesso di prosecco), ci riporta alla realtà: è ora di cena.

La serata prosegue in un ristorante tipico della laguna “Il Gondoliere”. E così, tra una risata e l’altra, la vita di gruppo rende ogni convegno un’avventura meravigliosa.

Paride Barani solleva il suo bicchiere di vino (l’ennesimo), “alla nostra amicizia e ai contratti concordati che rendono la vita un po’ meno imprevedibile!” e giù risate e litri di vino.

In questa serata veneziana, con la luna piena che si specchia nelle acque del Canal Grande, i colleghi del Gruppo Odcec Area Lavoro chiudono un altro capitolo della loro saga giuslavorista, certi che il prossimo convegno li troverà ancora più uniti, ancora più esperti… e sicuramente ancora più affamati, di tutto.

Ma adesso eccomi qui, sono le ore 1:30 di notte, nella solitudine della mia stanza d’albergo, la numero 212, a riflettere sulla giornata. La mente mi porta indietro ad analizzare gli eventi del giorno, mentre, fedele alla tradizione, ho distribuito il numero della mia stanza a tutte le colleghe. E come un déjà vu, nessuno ha bussato. Domani sarà un altro giorno pieno di dibattiti sul mondo del lavoro e sulle sue infinite complicazioni.

Ma alla fine, chi se ne importa! Non è forse vero che, indipendentemente dalla serietà dell’argomento, un po’ di umorismo e di leggerezza sono gli ingredienti segreti per rendere qualsiasi argomento indimenticabile? E così, tra un sorriso e un’occhiata all’orologio, mi preparo per un’altra giornata, sperando che questa volta qualcuno bussi alla porta… magari solo per chiedere indicazioni!

*ODCEC Lucca

 

image_pdfimage_print

di Dario Palumberi*

La parità di genere è riconosciuta a livello internazionale come un elemento chiave per lo sviluppo sostenibile. L’uguaglianza tra uomini e donne è infatti il quinto obiettivo dell’Agenda 2030 dell’ONU, un programma globale che mira a promuovere il benessere sociale, economico e ambientale attraverso 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs).

Uno degli obiettivi fondamentali è quello di ridurre le disparità di genere, garantendo opportunità eque per tutte le persone e favorendo la crescita lavorativa, umana e sociale delle donne.

La presenza femminile nei vari ambiti della società non deve essere considerata solo in termini numerici, ma come un presupposto essenziale per il raggiungimento di traguardi chiave, tra cui la tutela dell’ambiente, la lotta alla povertà e la promozione della giustizia sociale.

Diversi studi confermano che l’inclusione delle donne nel mondo del lavoro, in politica e nei ruoli decisionali ha un impatto positivo sulla crescita economica e sul miglioramento delle condizioni di vita. Tuttavia, nonostante i progressi, persistono disparità significative, come il divario retributivo e una minore presenza delle donne nei ruoli di leadership.

Sebbene le donne abbiano quasi raggiunto gli uomini in termini numerici nel mondo del lavoro, nelle professioni e in politica, la qualità della loro partecipazione continua a presentare differenze sostanziali. Questo si manifesta, da un lato, in una marcata disparità retributiva a parità di formazione e ruolo, e dall’altro, in una percezione culturale ancora arretrata, che non riconosce pienamente la presenza femminile nei luoghi decisionali come un elemento essenziale per il bene comune.

La Certificazione per la Parità di Genere: UNI/ PdR 125:2022

Per rispondere a queste sfide, la Prassi di Riferimento UNI/PdR 125:2022, pubblicata dall’Ente Italiano di Normazione (UNI) il 16 marzo 2022, fornisce un quadro di riferimento per le organizzazioni che intendono adottare politiche concrete per la parità di genere.

La certificazione si inserisce nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e mira a misurare e migliorare le prestazioni aziendali in questo ambito.

La norma individua sei aree chiave per valutare il livello di maturità delle organizzazioni rispetto alla parità di genere:

  1. Cultura e strategia: analizza la presenza di un piano strategico e di politiche per la sensibilizzazione interna ed esterna.
  2. Governance: valuta il modello di leadership e la presenza femminile negli organi decisionali.
  3. Processi HR: esamina l’inclusività nelle assunzioni, nelle promozioni e nei percorsi di crescita professionale.
  4. Opportunità di crescita e inclusione: misura la percentuale di donne in ruoli di responsabilità.
  5. Equità remunerativa: monitora il divario salariale tra uomini e donne.
  6. Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro: verifica l’adozione di politiche a supporto della genitorialità e del bilanciamento tra lavoro e vita privata.

Le Sfide e le Opportunità per le Aziende

L’attuazione di queste misure rappresenta una sfida, in particolare per le piccole e medie imprese, dove spesso mancano meccanismi strutturati di monitoraggio e rendicontazione. In particolare, tra le maggiori criticità nell’ambito degli Indicatori di Performance (KPI) proposti dalla Prassi, si annoverano:

Aumento della presenza femminile nei ruoli di leadership: molte organizzazioni presentano ancora una significativa disparità di genere nei livelli dirigenziali. L’indicatore più critico, soprattutto per aziende di piccole dimensioni, è rappresentato proprio dalla percentuale di donne presenti negli organi di controllo. Superare questo squilibrio richiede politiche di promozione trasparenti, programmi di mentorship e sviluppo della leadership femminile.

  • Implementazione di processi per valutare la percezione interna sulle pari opportunità: la cultura aziendale deve evolversi affinché la parità di genere venga percepita come un valore condiviso. Strumenti come sondaggi interni e focus group possono aiutare a identificare le aree di miglioramento e guidare le strategie di inclusione.
  • Garanzia di un accesso equo ai percorsi di carriera e formazione: molte donne incontrano barriere nell’accesso a opportunità di crescita professionale. Per colmare questo divario, le aziende dovrebbero promuovere programmi di formazione e sviluppo professionale accessibili a tutti i dipendenti, senza discriminazioni di genere.
  • Riduzione del divario retributivo, in particolare nelle realtà più piccole: il gender pay gap rimane un problema persistente. Per affrontarlo, è fondamentale adottare sistemi di valutazione trasparenti delle retribuzioni, basati su competenze e responsabilità, e migliorare i sistemi di welfare aziendale.
  • Maggiore condivisione delle responsabilità genitoriali tra uomini e donne: spesso il carico della cura familiare ricade principalmente sulle donne, con impatti negativi sulla loro carriera. Le aziende possono favorire un equilibrio tra vita lavorativa e privata implementando congedi parentali più equi, orari flessibili e supporti per la genitorialità.

Affrontare queste sfide non solo favorisce la parità di genere, ma porta anche benefici concreti alle aziende, migliorando il clima organizzativo, la produttività e la capacità di attrarre e trattenere talenti qualificati.

Verso un Futuro di Maggiore Equità

Per accelerare il progresso verso la parità di genere, è fondamentale che le aziende implementino politiche strutturali concrete e investano in misure che favoriscano un ambiente di lavoro equo e inclusivo. Tra le pratiche più efficaci rientrano:

  • Modelli di lavoro flessibili: L’introduzione di modalità di lavoro agile, come il telelavoro e gli orari flessibili, aiuta sia uomini che donne a gestire al meglio le responsabilità familiari senza compromettere la crescita professionale.
  • Congedi parentali equamente distribuiti: Incentivare la fruizione del congedo parentale da parte di entrambi i genitori contribuisce a riequilibrare il carico di cura familiare, riducendo l’impatto negativo sulla carriera delle donne.
  • Sostegno alla genitorialità: Le aziende possono offrire benefit come asili nido aziendali, contributi per l’assistenza all’infanzia o convenzioni con strutture per l’educazione prescolare, facilitando la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
  • Trasparenza salariale: Implementare audit retributivi regolari per eliminare il divario di genere nei salari, garantendo equità nelle retribuzioni a parità di competenze e responsabilità.
  • Formazione su diversità e inclusione: Sensibilizzare i dipendenti e i dirigenti attraverso programmi di formazione dedicati ai temi della parità di genere, del rispetto delle diversità e della prevenzione delle discriminazioni.

La parità di genere non è solo un obiettivo etico e sociale, ma una leva strategica per lo sviluppo sostenibile e la competitività aziendale. Investire in politiche di inclusione e pari opportunità non solo migliora il benessere dei lavoratori, ma favorisce anche un ambiente di lavoro più produttivo e innovativo.

L’adozione di misure strutturate, come la promozione della leadership femminile, la riduzione del divario salariale e l’implementazione di modelli di lavoro flessibili, è essenziale per abbattere le barriere che ancora limitano la piena partecipazione delle donne al mondo del lavoro.

Solo attraverso un’azione concreta e continuativa sarà possibile costruire un futuro in cui la parità di genere sia realmente raggiunta e valorizzata e costruire un mondo del lavoro più equo e sostenibile per tutti.

*Ingegnere in Bologna

image_pdfimage_print

di Giovanni Dall’Aglio*

Nell’era dell’intelligenza artificiale, il lavoro sembra diventato un’operazione senza attrito: tutto è più veloce, più efficiente, più immediato. Ma cosa accade quando l’immediatezza sostituisce la profondità? Diceva Jean-Paul Sartre: “L’uomo è condannato a essere libero, perché una volta gettato nel mondo è responsabile di tutto ciò che fa”. La libertà in cui siamo proiettati oggi è tuttavia illusoria: crediamo di scegliere quando in realtà stiamo delegando ad una macchina l’esercizio di pensare al posto nostro. In questa rincorsa verso l’automazione e la flessibilità, che ruolo gioca la percezione che abbiamo di noi stessi nel contesto professionale?

L’effetto Dunning-Kruger e la sindrome dell’impostore sono due facce della stessa medaglia che, seppur antitetiche, contribuiscono a dare un quadro della distorsione dell’identità lavorativa in un mondo che ha smesso di riconoscere il vero significato del lavoro. Da una parte abbiamo l’esperto apparente: la figura con scarse competenze ma che si sopravvaluta, considerandosi “esperto”. Anni di (vuote) esperienze lavorative accompagnati da scatti di carriera lo autoconvincono di essere “senior”, e dunque esperto. Spesso utilizza strumenti o software che generano output molto complessi di cui ignora totalmente la profondità sottostante. È vittima della sindrome di Dunning-Kruger, convinto di sapere solo perché uno strumento gli fornisce risposte. Ma è un’illusione di competenza: senza la macchina, rimane vuoto, incapace di pensare autonomamente.

Se l’effetto Dunning-Kruger è l’autocompiacimento del saputo, la sindrome dell’impostore è il rovescio della medaglia, e cioè la costante paura di non essere mai abbastanza, anche quando lo siamo. È spesso il lavoratore che, pur avendo le competenze giuste, non riesce a riconoscere il proprio valore. Una sorta di riflessivo in crisi. Vive un disagio derivante dal fatto che non vuole rinunciare a pensare, anche se il mondo circostante tende a premiarlo quando smette di farlo. In un contesto in cui l’autocelebrazione è il principale motore di riconoscimento, l’individuo è sospeso tra il timore di non essere mai abbastanza e la sicurezza di essere un “esperto” senza aver acquisito una comprensione profonda di sé e del proprio ruolo. E’ un fenomeno che possiamo osservare (e non) sui portali web relativi al mercato del lavoro. Quante volte vediamo profili con titoli ed esperienze altisonanti, che postano quotidianamente articoli caccia like per guadagnare condivisioni, ma dei quali non si capisce concretamente quale sia davvero la profondità del loro sapere? Viceversa, quanti profili di talento decidono di non iscriversi a questi portali per non sentirsi obbligati a condividere riflessioni con persone mediocri che tuttavia sono riconosciute come “esperte”?

Oggi l’AI ci offre risposte, ma non ci spinge a pensare, e quindi ad evolverci. Il nostro pensiero rimane immobile, congelato in un mondo dove ogni domanda ha una risposta facile. Se da un lato l’AI promette di liberarci dalle operazioni ripetitive, dall’altro rischia di distoglierci dal reale fondamento della libertà umana: l’esercizio dello spirito critico e creativo.In un mondo in cui una macchina ci fornisce la risposta giusta, è il dubbio umano a fare la differenza. Essere esperti non è una questione di conoscere le risposte, ma di saper porre le domande. Il lavoratore del futuro non dovrà scegliere tra essere un “esperto superficiale” che sfrutta ciecamente l’AI o un “impostore” che si sente alienato dal mondo che lo circonda. La vera sfida sarà quella di trovare un equilibrio tra l’uso efficace degli strumenti tecnologici e la preservazione delle qualità che fanno di un essere umano un lavoratore autentico: la riflessione critica e l’esercizio della propria natura creativa.

Se l’AI ci offre risposte senza fatica, forse è il momento di chiedersi se stiamo ancora cercando le domande giuste. L’automazione può liberarci dai compiti ripetitivi, ma chi ci libererà dal pericolo di non pensare?

Diceva Kierkegaard:

“La vita può essere compresa solo all’indietro, ma deve essere vissuta in avanti”

Eppure, oggi sembriamo più ossessionati dalle risposte che dal viaggio stesso. È la ricerca, non la risposta, a dare valore al nostro cammino. Se ci dimentichiamo di questo, forse non stiamo più vivendo, ma solo consumando.

*Ingegnere e Phd in Trieste

image_pdfimage_print

di Marino Gabellini*

In sede di conversione del Dl 16 settembre 2024, n. 131, la Legge 14 novembre 2024, n. 166, con l’introduzione dell’articolo 16-ter, è stato modificato, con effetto dal 1° gennaio 2025, il trattamento del prestito o distacco di personale ai fini IVA. La norma ha abrogato il comma 35, dell’articolo 8, della Legge n. 67 del 1988, che così disponeva: “35. Non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo.”

Di fatto, il Legislatore è intervenuto per adeguare la normativa italiana alla Direttiva IVA europea, tenendo conto di quanto stabilito con sentenza dell’11 marzo 2020, dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la quale, intervenendo in una specifica causa, ha sancito che il distacco di personale costituisce una operazione rilevante ai fini Iva quando sussiste un “nesso diretto tra le due prestazioni”, ovvero tra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto, e ricorre “l’onerosità della prestazione” essendo “irrilevante, a tale riguardo, l’importo del corrispettivo, in particolare la circostanza che esso sia pari, superiore o inferiore ai costi che il soggetto passivo ha sostenuto a suo carico nell’ambito della fornitura della sua prestazione”. Per espressa previsione normativa, l’assoggettamento ad IVA, riguarda esclusivamente i distacchi di personale stipulati per la prima volta a decorrere dal 2025 o rinnovati sempre a decorrere dal 1° gennaio del corrente anno.

In tal modo, sono state fatte salve tutte le fattispecie pregresse (fino al 31/12/2024).

È bene  sottolineare  che la  norma riguarda esclusivamente i prestiti o i distacchi del personale regolati dall’articolo 30 del D. Lgs. n. 276 del 2003, così identificati: “L’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.”

Il distacco deve quindi essere giustificato da un interesse proprio del distaccante, anche di carattere non economico, consistente in una motivazione imprenditoriale di ordine tecnico, produttivo, organizzativo, commerciale oppure, secondo alcuni orientamenti, anche di ordine morale o solidale.  Lo stesso, deve inoltre rispondere al requisito della temporalità del rapporto, facendo venir meno la sua liceità in presenza di condizioni che fanno presumere ad una condizione di permanenza nel tempo del rapporto stesso.

Fatta tale precisazione, ne consegue che la nuova norma IVA non interessa altri istituti giuridici quali il comando del personale nei Patronati, ovvero i distacchi sindacali previsti dallo Statuto dei lavoratori, ovvero ancora le indennità e i compensi percepiti dai prestatori di lavoro dipendente che, per clausola contrattuale, devono essere riversati al datore di lavoro.

Anche se può rappresentare una precisazione superflua, la nuova norma non interessa neppure l’istituto della somministrazione del lavoro (eseguita in conformità alla legge) che, rappresentando una attività d’impresa, era già (e resta) assoggettata ad IVA per l’intero importo dovuto (e non solo la differenza tra il puro costo ed il margine di intermediazione).

Laddove il distacco sia operato da una impresa o società, a favore di altra impresa o società, non vi è dubbio sul fatto che l’operazione rientri tra le prestazioni effettuate in esercizio d’impresa e, pertanto, sia necessario l’assoggettamento ad IVA (nella misura ordinaria del 22%). Normalmente, nel rapporto fra soggetti in esercizio di impresa arti o professioni, la corresponsione dell’IVA non rappresenta un costo (ma solo un onere finanziario), data l’ordinaria possibilità di detrazione dell’IVA addebitata dal prestatore: ciò non vale, ovviamente, laddove il soggetto avente causa (ossia, colui che deve procedere a corrispondere il rimborso del costo del personale distaccato) non abbia possibilità, esercitando operazioni esenti o non rilevanti ai fini IVA (come, ad es: istituti di credito, intermediari finanziari, assicurazioni, intermediari

finanziari, assicurazioni, intermediari assicurativi, medici, ecc.), di detrarre parzialmente o totalmente l’IVA pagata ai propri fornitori.

Nel caso in cui il distacco sia operato da un Ente Non Commerciale (ENC), quale ad. es. una associazione, fondazione, o altra struttura non societaria, non esercitante in modo prevalente una attività commerciale, il rimborso del puro costo (del personale distaccato) a favore dell’ente, anche se effettuato da società o altro soggetto esercente attività d’impresa, potrebbe non essere assoggettato ad IVA e non ricadere, quindi, nella nuova normativa.

Per principio generale, infatti, affinché una data operazione sia rilevante alla normativa IVA, devono sussistere, contemporaneamente (oltre al requisito della territorialità che, in questo contesto, non viene preso in considerazione) il requisito oggettivo ed il requisito soggettivo. Sul primo, requisito oggettivo, occorre considerare se l’operazione di prestito o distacco di personale riguarda dipendenti addetti all’esercizio delle attività istituzionali dell’ente, ovvero se l’operazione riguarda dipendenti addetti all’esercizio delle eventuali attività commerciali esercitate, in modo non prevalente, dall’ente: nel primo caso, l’operazione manca del nesso diretto fra le due prestazioni (prestazione consistente nel servizio reso e controprestazione consistente nel pagamento dell’importo dovuto), vale a dire che manca del c.d. “rapporto sinallagmatico”; viceversa, nel secondo caso, ossia quando l’operazione riguarda dipendenti addetti all’esercizio di attività commerciali, si ritiene esistente il rapporto sinallagmatico e, pertanto, l’operazione, indipendentemente dal fatto che sia corrisposto il solo rimborso del costo effettivo del personale prestato o distaccato, con la nuova normativa, assume rilevanza IVA.

Quanto al requisito soggettivo, occorre ricordare che l’apertura della partita IVA da parte dell’ENC che dovesse svolgere, in via non prevalente rispetto a quella istituzionale, anche un’attività commerciale, sorge solo nel momento in cui l’operazione (cessione di beni o prestazione di servizi) ha natura commerciale ai sensi dell’art. 2195, C.C., o lo sia in forza di altre disposizioni di legge (ad es. le attività svolte dai Centri di Assistenza Fiscale) ed è svolta in modo “abituale”, ossia in modo ripetitivo nel tempo e/o con una specifica organizzazione a ciò dedicata. Ne consegue che, qualora l’operazione di prestito o distacco dovesse essere svolta solo in modo sporadico e senza alcuna specifica organizzazione in tal senso, il solo esercizio di tale attività non farebbe scattare, in capo all’ENC l’obbligo di apertura della partita IVA.

*ODCEC Rimini 

image_pdfimage_print

di Paolo Soro*

Di seguito, le risposte ai quesiti su fattispecie “dubbie” afferenti sia al vecchio che al nuovo regime impatriati.
1) Ulteriore quinquennio agevolabile: chi esercita l’opzione a pagamento e chi accede gratuitamente?
L’Agenzia ha precisato che risultano esclusi dalla possibilità di esercitare l’eventuale opzione:
– Gli sportivi professionisti
– Coloro che si sono trasferiti in Italia a partire dal 30 aprile 2019
– I cittadini italiani, rientrati entro il 29 aprile 2019, non iscritti all’AIRE
– I cittadini extra-comunitari
Preliminarmente, con riferimento ai cittadini extra-UE, si ritiene che il parere espresso dall’Agenzia non sia condivisibile e possa essere legittimamente contestato, poiché, laddove è presente una convenzione bilaterale valida che prevede il diritto di non discriminazione, essendo tale fonte normativa prevalente su quella domestica, si deve necessariamente applicare la prima e non la seconda.
Invero, come noto, in base alla gerarchia delle leggi, la norma internazionale convenzionale prevale sempre sulle leggi dello Stato (Costituzione, art. 117; DPR 600/1973, art. 75). Orbene, il modello
convenzionale OCSE per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e prevenire le evasioni fiscali, stabilisce:
– Art. 1: Il presente Accordo si applica alle persone che sono residenti di uno o di entrambi gli Stati
contraenti.
– Art. 2: Il presente Accordo si applica alle imposte sul reddito prelevate per conto di ciascuno degli Stati contraenti, o delle sue suddivisioni politiche o amministrative o dei suoi enti locali, qualunque sia il sistema di prelevamento.
Sono considerate imposte sul reddito tutte le imposte prelevate sul reddito complessivo o su elementi del reddito, comprese le imposte sull’ammontare complessivo degli stipendi o dei salari corrisposti dalle imprese. Le imposte attuali cui si applica l’Accordo sono in particolare, per quanto concerne l’Italia: l’imposta sul reddito delle persone fisiche…
Il presente Accordo si applicherà anche alle imposte di natura identica o sostanzialmente analoga che verranno istituite dopo la data della firma dell’Accordo, in aggiunta o in sostituzione delle imposte attuali.

– ART. 24 (NON DISCRIMINAZIONE): I nazionali di uno Stato contraente, non sono assoggettati nell’altro Stato contraente ad alcuna imposizione e obbligo a essa relativo, diversi o più onerosi di quelli cui sono o potranno essere assoggettati i nazionali di detto altro Stato che si trovino nella stessa situazione. Le disposizioni del presente articolo si applicano alle imposte previste dall’articolo 2 del
presente Accordo.

In definitiva, l’art. 24 della Convenzione vieta che siano negati ai lavoratori di cittadinanza
– nella specie – extra-UE, gli stessi vantaggi fiscali concessi agli altri lavoratori italiani. Il citato divieto di non discriminazione è inoltre coerente con quanto previsto, sul piano fiscale e costituzionale dall’Ordinamento dello Stato italiano. Alla luce di quanto precede, dunque, si ritiene non condivisibile e privo di valenza normativa il parere espresso in proposito dall’Agenzia delle entrate.
Con riferimento, poi, ai periodi d’imposta interessati, si rammenta quanto segue:
Fino al 29 aprile 2019 = Opzione: 10% (con un figlio minorenne / immobile) 5% (con 3 figli minorenni)
– Dal 30 aprile 2019 = Richiesta ordinaria gratuita
Prospetto esemplificativo:

Giova ricordare che, se la residenza fiscale è stata acquisita tra il 30/04/2019 e il 02/07/2019, il primo
periodo d’imposta italiano è comunque il 2019 e il quinquennio iniziale scade il 31/12/2023.
Si ricorda altresì che l’opzione a pagamento va esercitata tassativamente a partire dal 1° gennaio ed entro il 30 giugno del primo periodo d’imposta relativo all’ulteriore quinquennio, a condizione che sussistano i requisiti; e che, a detto ultimo proposito, l’acquisto dell’immobile deve essere completamente definito entro diciotto mesi dalla data di effettuazione del versamento (opzione).

2) Su quale reddito occorre calcolare la percentuale 5%/10% da versare?
La norma parla:
“…Dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia OGGETTO DELL’AGEVOLAZIONE”; non fa riferimento ai “redditi agevolati”.
Pertanto, l’imposta sostitutiva (10% / 5%) va calcolata sul reddito prodotto al lordo della quota di esenzione stabilita dal regime; non al netto.

3) Immobile: è possibile entrarne in possesso a seguito di donazione?
No, la norma dice che l’unità immobiliare può essere acquistata direttamente dal lavoratore oppure dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà. L’uso del termine “acquistare”, a parere dell’Agenzia delle entrate, porta a escludere che l’immobile possa essere ricevuto in donazione o sia stato ereditato.
Ovviamente, nulla vieta di vendere tale immobile e acquistarne un altro, ovvero, mantenere quello ricevuto a titolo gratuito e acquistarne un altro a titolo oneroso.
Analogamente, l’impatriato potrebbe essere già proprietario di altro immobile nel territorio dello Stato, ma, per avere le agevolazioni concernenti l’ulteriore quinquennio dovrà acquistare a titolo oneroso un’altra unità immobiliare di tipo residenziale nel periodo richiesto, eventualmente anche previa cessione dell’immobile precedentemente acquistato e non valido agli effetti del soddisfacimento dei requisiti richiesti dalla legge. A tal proposito, limitarsi solo a procedere a una ristrutturazione straordinaria (anche particolarmente radicale, con variazione catastale) dell’immobile precedentemente acquisito, non appare sufficiente.

4) Immobile: si può venderlo prima della scadenza dell’ulteriore quinquennio?
Sì, ma si perdono le agevolazioni a partire dal periodo d’imposta in cui è stato venduto, salvo che l’immobile non sia stato venduto per acquistarne un altro in sostituzione che presenti gli stessi requisiti. Restano salve le agevolazioni precedentemente applicate nei periodi d’imposta nei quali l’immobile esisteva.
5) Immobile: co-intestazione al 50% a due diversi impatriati; si rispettano i requisiti per chiedere l’agevolazione legata all’ulteriore quinquennio da parte di entrambi?
Sì, l’unità immobiliare può essere acquistata direttamente dal lavoratore oppure dal coniuge, dal
convivente o dai figli, anche in comproprietà. Risulta, pertanto, irrilevante che il comproprietario sia
anch’esso un impatriato, tenuto conto che nessuna preclusione è indicata dalla norma, né, tanto meno, può essere da questa dedotta. Ovviamente, entrambi i coniugi dovranno risultare residenti all’anagrafe del Comune in cui è situato l’immobile (e, dunque, anche nel medesimo stato di famiglia), nonché entrambi pieni proprietari dell’immobile (ossia, il rispettivo 50% deve essere detenuto a titolo di proprietà – non usufrutto o altro).

6) Immobile: il requisito della “comproprietà” vale anche per conviventi dello stesso sesso? Quali documenti occorrono nel caso?
Sì, la norma parla di “convivente” senza escludere le persone dello stesso sesso. Quanto ai documenti,
occorrono quei certificati di regola rilasciati dal Comune che attestano appunto la convivenza di fatto nell’immobile acquistato in comproprietà (purché piena proprietà) da parte di entrambi i soggetti.
In genere, si tratta della dichiarazione per la costituzione di una convivenza di fatto, che può essere effettuata da due persone maggiorenni, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, coabitanti e iscritte sul medesimo stato di famiglia, nonché ovviamente entrambe residenti presso il Comune al quale viene presentata la dichiarazione.

7) Immobile: posso tenere la nuda proprietà e dare l’usufrutto a mia moglie?
No. L’immobile può essere acquistato in comproprietà col coniuge, ma il diritto acquisito deve comunque essere quello della piena proprietà (è irrilevante che i diritti siano stati “spartiti” con il coniuge convivente). Il requisito relativo alla proprietà dell’unità immobiliare non risulta soddisfatto se l’acquisto riguarda la sola nuda proprietà o il solo diritto di usufrutto; anche la mera sottoscrizione di un preliminare di compravendita non è sufficiente.

8) È possibile accedere al regime impatriati per lavoratori in smart working di società estera?
Sì! Rileva il luogo materiale dove viene fisicamente svolta l’attività lavorativa e non la cittadinanza
di datore e/o lavoratore. Piuttosto, attenzione ai lavoratori (cittadini stranieri) che prestano attività in Italia per oltre 183 giorni, tenuto conto della nuova normativa relativa alla residenza fiscale, che prevede anche il requisito della sola presenza fisica, al fine di accertare la residenza fiscale in Italia.

9) In caso di seconda o ulteriore assunzione, a quali datori di lavoro va presentata la domanda di agevolazione prevista dal regime impatriati?
La richiesta è presentata sempre e solo all’attuale datore di lavoro, anche in caso di seconda o ulteriore assunzione, rispetto a quella per cui il lavoratore è rientrato.

10) Nel caso in cui il dipendente presenti la domanda in corso d’anno, ma le agevolazioni spettino per tutto il periodo d’imposta a partire dal 1° gennaio, cosa succede?
Il datore di lavoro deve applicare il beneficio dal periodo di paga successivo alla richiesta e, in sede di conguaglio, dalla data dell’assunzione. Se il programma non consente di conguagliare a fine anno il differente imponibile sul quale sono state inizialmente applicate le ritenute, il lavoratore impatriato può comunque auto-calcolare le ritenute nella misura corretta, indicando nella propria dichiarazione annuale, per la parte non calcolata correttamente, i redditi percepiti già nella misura ridotta (ossia, al netto dell’esenzione prevista dalla legge). A tal fine, le istruzioni di accompagnamento al modello redditi persone fisiche prevedono dei codici specifici da indicare nell’apposita casella “Casi particolari”.
Lo stesso comportamento può essere adottato pure nel caso in cui il datore di lavoro non abbia
dato positivo riscontro alla domanda presentata dal dipendente e abbia deciso di calcolare le ritenute anche sulla parte esente del reddito.
Da notare che la norma in realtà non prevede specifiche sanzioni in capo a tale datore di lavoro.

11) Come cambia la percentuale di esenzione prevista per l’ulteriore quinquennio, nel caso in cui venga richiesta dai lavoratori del Mezzogiorno?
Non cambia. Con la vecchia normativa, l’esenzione relativa al quinquennio iniziale è pari al 90% per i
lavoratori del Mezzogiorno e al 70% per gli altri.
Nel caso in cui spetti l’agevolazione per l’ulteriore quinquennio a seguito di immobile acquistato o figlio minorenne a carico, la quota di esenzione è comunque pari al 50% per tutti. Nel caso in cui spetti l’agevolazione per l’ulteriore quinquennio a seguito di tre figli minorenni a carico, la quota di esenzione è pari al 90% per tutti.
Si ricorda che:
– Con riguardo all’immobile, i lavoratori devono diventare proprietari di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti al
trasferimento
– Con riguardo al/ai figlio/i, il requisito deve essere verificato alla data in cui si esercita l’opzione/richiesta
Viceversa, con la nuova normativa, il reddito esente è pari (per tutti) al 50% e diventa pari (per tutti) al 60% se si ha almeno un figlio minorenne a carico residente (o comunque a partire dal momento in cui si presenta tale requisito nel corso del quinquennio). L’ulteriore periodo eventuale di esenzione è di tre anni ed è pari (per tutti) al 50%, ma solo, limitatamente ai soggetti che trasferiscono la propria residenza
anagrafica nell’anno 2024, nel caso in cui siano divenuti proprietari (da intendersi come piena
proprietà del 100%), entro la data del 31 dicembre 2023 e, comunque, nei dodici mesi precedenti
al trasferimento, di un’unità immobiliare di tipo residenziale adibita ad abitazione principale in Italia.

12) Qual è il reddito imponibile agli effetti Inps?
Al momento, resta ancora un problema costituzionale di ingiustificata disparità: nessun valido documento di prassi è stato emanato al riguardo.
In particolare, per quel che concerne il reddito d’impresa del vecchio regime (pacificamente applicabile anche al lavoro autonomo sia del vecchio che del nuovo regime), la circolare INPS numero 102 del 12/06/2003 (successivamente sempre richiamata e confermata), precisa che:
I contributi previdenziali sono calcolati sulla totalità dei redditi di impresa dichiarati ai fini IRPEF, prodotti nello stesso anno al quale il contributo si riferisce. In ordine alla concreta individuazione dell’ammontare del reddito di impresa da assoggettare all’imposizione dei contributi previdenziali si fa
presente che deve essere preso in considerazione il totale dei redditi di impresa, così come dichiarato ai
fini delle imposte sui redditi.

Da quanto qui evidenziato, ne consegue dunque che gli impatriati, i quali producono redditi di lavoro autonomo e di impresa, beneficiano altresì di un obbligo contributivo in misura (ridotta) direttamente proporzionale al reddito effettivamente dichiarato, oltre ovviamente alle minori imposte da pagare.
Tale situazione, peraltro, non si verifica in maniera analoga nelle fattispecie concernenti gli impatriati che percepiscono redditi di lavoro dipendente e assimilato. Tenuto infatti conto di come è strutturata la busta paga, in assenza di specifiche diverse indicazioni diramate dall’INPS, le conseguenze pratiche sono che:
• Il reddito imponibile ai fini tributari (ritenute) è pari alla sola quota parte stabilita dal Regime
• L’imponibile ai fini previdenziali (contributi) è il reddito complessivo “al lordo” dall’esenzione
reddituale prevista dal Regime

Ma, attenzione, quanto visto sopra per l’INPS non si applica necessariamente ai professionisti che hanno una specifica cassa di previdenza come Avvocati, Commercialisti, Notai, Medici, etc. Per ogni cassa esiste un regolamento specifico e le regole possono cambiare dall’una all’altra. Si consiglia pertanto di consultare il regolamento della propria cassa di appartenenza.
Esempio, le istruzioni di compilazione diramate dalla CNPADC, riportano:
Per “Reddito netto professionale” si intende quello definito dal vigente art. 53, comma 1, del D.P.R.
917/86, relativo all’esercizio dell’attività di Dottore.

Ciò significa che noi iscritti alla CNPADC, se interessati dall’applicazione del regime, dovremo indicare il reddito prodotto al lordo dell’eventuale esenzione stabilita per gli impatriati.

13) Quale regime speciale di favore si può/deve applicare nel caso si svolga contemporaneamente attività di ricerca come dipendente e attività di lavoro autonomo?
L’Agenzia delle entrate risponde che i diversi regimi agevolativi previsti per i contribuenti che rientrano
in Italia sono fruibili contemporaneamente dallo stesso soggetto, relativamente al medesimo periodo d’imposta, nel rispetto di tutti i requisiti previsti dalle relative disposizioni. Pertanto, ad esempio, un contribuente che al rientro in Italia svolge un’attività di ricerca ed esercita anche un’attività di lavoro autonomo potrà, nel rispetto di ogni altra condizione prevista dalla normativa, applicare l’articolo 44 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 (rientro dei cervelli), ai redditi prodotti in Italia per l’attività di ricerca; e l’articolo 5 del decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209 (impatriati), al reddito di lavoro autonomo prodotto in Italia.

14) La nuova normativa richiede il possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione. Quali sono e cosa s’intende in pratica?
Secondo l’Agenzia delle entrate, sono «altamente qualificati/specializzati» i lavoratori alternativamente in possesso:
– Del titolo di istruzione superiore di livello terziario rilasciato dall’autorità competente nel Paese dove è stato conseguito che attesti il completamento di un percorso di istruzione superiore di durata almeno triennale o di una qualificazione professionale di livello post secondario di durata almeno triennale o corrispondente almeno al livello 6 del Quadro nazionale delle qualificazioni;
– Dei requisiti previsti dal decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 206, limitatamente all’esercizio di professioni regolamentate;
– Di una qualifica professionale superiore attestata da almeno cinque anni di esperienza professionale di livello paragonabile ai titoli d’istruzione superiori di livello terziario, pertinenti alla professione o al settore specificato nel contratto di lavoro o nell’offerta vincolante;
– Di una qualifica professionale superiore attestata da almeno tre anni di esperienza professionale pertinente acquisita nei sette anni precedenti la presentazione della domanda di Carta blu UE, per quanto riguarda dirigenti e specialisti nel settore delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione.

15) È vero che è cambiata la norma relativamente all’obbligo del “collegamento funzionale” tra la data dell’impatrio e quella dell’inizio del lavoro?
In realtà, la norma non è cambiata (nulla di specifico era previsto prima e nulla è previsto ora), ma è – abbastanza inspiegabilmente, ma piacevolmente – cambiata l’interpretazione diramata negli ultimi documenti di prassi dall’Agenzia delle entrate, seppure con riferimento solo ai nuovi impatriati (altra cosa bizzarra). Nello specifico, con l’interpello 66/2025, l’Agenzia delle entrate ha precisato che:
Ai fini dell’applicazione del nuovo regime, non è più necessario verificare la sussistenza di un collegamento ‘’funzionale’’ tra il trasferimento della residenza fiscale in Italia e l’inizio di un’attività
lavorativa dalla quale derivi un reddito agevolabile, prodotto in Italia, diversamente da quanto chiarito con riferimento al previgente ‘’regime speciale per lavoratori impatriati’’.

Non è necessario, dunque, che al rientro in Italia sussistano i requisiti previsti dalla norma, potendo
gli stessi maturare anche successivamente.

In tal caso, il contribuente potrà applicare il nuovo regime al ricorrere dei predetti requisiti per i residui periodi d’imposta di fruizione dell’agevolazione, che si applica per ciascun periodo d’imposta in cui i requisiti sussistono.

Non capiamo in base a quale norma di legge sia giustificato questo cambio di rotta, ma ne prendiamo atto tutti, molto favorevolmente.

16) È possibile cambiare regime di favore all’interno del quinquennio, esempio: da forfettario a impatriato?

Secondo quanto indicato in precedenza dall’Agenzia delle entrate, perlomeno, con riferimento alla vecchia normativa, il contribuente che rientra in Italia e sceglie un regime, non potrà più cambiare tale scelta.

Tale interpretazione, francamente, lascia basiti, sia perché è assolutamente consentito dalla normativa (e ci mancherebbe pure altro) variare, salvo eventuale periodo di opzione bloccato (si ricorda che il regime forfettario è tale per natura), la scelta del regime contabile/ fiscale; sia perché ciò appare nettamente in contrasto con quanto inizialmente affermato dalla stessa Agenzia delle entrate la quale aveva ampiamente chiarito che:

Un lavoratore autonomo che ha trasferito la residenza fiscale in Italia nel periodo d’imposta 2017, se non ha dato evidenza dell’agevolazione nella relativa dichiarazione dei redditi e in quella concernente il periodo di imposta successivo (2018), i cui termini sono scaduti, non può fruire dell’agevolazione per dette annualità.

Diversamente, con riferimento ai periodi d’imposta dal 2019 al 2021, può fruire dell’agevolazione dandone evidenza nelle relative dichiarazioni dei redditi.

In sostanza, perderà quella/e annualità specifiche che sono carenti degli adempimenti richiesti, ma non gli è vietato di sfruttare quelle eventuali annualità restanti all’interno del quinquennio.

Detto ciò, magari così come è inspiegabilmente cambiata l’interpretazione relativa al c.d. “collegamento funzionale”, per analogia, con la nuova normativa cambierà pure l’interpretazione dell’Agenzia delle entrate collegata alla specifica fattispecie in esame. Invero, se teniamo conto di quanto affermato prima, sembrerebbe parimenti da rivedere anche il divieto prima espresso dall’Agenzia delle entrate sul cambio regime nel quinquennio:

Il contribuente potrà applicare il nuovo regime al ricorrere dei predetti requisiti per i residui periodi d’imposta di fruizione dell’agevolazione, che si applica per ciascun periodo d’imposta in cui i requisiti sussistono.

Però, al momento, non si hanno elementi tali da poterlo affermare con certezza.

17) Sono mutate le regole per i contribuenti che impatriano al termine di distacco all’estero?

 Sì! Con il vecchio regime, non spetta il beneficio fiscale nell’ipotesi di distacco all’estero con successivo rientro, in presenza del medesimo contratto e presso il medesimo datore di lavoro (vincolo del c.d. “rientro in continuità di contratto”).

Viceversa, la novella normativa stabilisce delle regole completamente diverse in proposito, limitandosi solo a vietare le fattispecie che non rientrano nei nuovi parametri minimi di permanenza all’estero; che non sono più gli ordinari tre periodi d’imposta, ma che diventano:

  • Sei periodi d’imposta, se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo

Sette periodi d’imposta, se il lavoratore, prima del suo trasferimento all’estero, è stato impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo.

18) Usufruendo del regime speciale per docenti e ricercatori, qual è la porzione di reddito da tenere conto al fine di poter essere considerati fiscalmente a carico del proprio coniuge?

Anche in questo caso, stranamente ma piacevolmente, l’Agenzia delle entrate risponde che:

La norma non prevede che la quota esclusa dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo vada aggiunta, ai fini della verifica del limite reddituale indicato dall’art. 12 del TUIR, al reddito complessivo.

Pertanto, in assenza di una specifica disposizione, la quota di reddito esente da imposizione, non concorrendo alla formazione della base imponibile, non rileva ai fini della determinazione del reddito complessivo del familiare.

Ciò premesso, qualora il reddito complessivo determinato come sopra indicato e assunto al netto della quota esente da imposizione, sia non superiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili, si potrà essere considerati fiscalmente a carico del proprio coniuge, con conseguente riconoscimento in capo a quest’ultimo delle detrazioni di cui all’articolo 12, del TUIR, anche se il reddito complessivo totale senza esenzione è maggiore.

19) Vi sono limitazioni nel nuovo regime impatriati relativamente ai cittadini stranieri che impatriano in Italia o a quelli italiani che non hanno mai avuto residenza fiscale italiana?

No, in linea di massima, possono accedere al regime (previa verifica degli altri ordinari requisiti) sia i cittadini italiani che quelli stranieri; nonché, più in generale, anche coloro che non hanno mai avuto in precedenza la residenza fiscale in Italia.

20) L’art. 16, co. 3-bis, d.lgs. 147/2015, aggiunto dal Decreto Legge del 30/04/2019 n. 34, conv. Legge 28 giugno 2019 n. 58, prevedeva che: Le disposizioni del presente articolo si applicano per ulteriori cinque periodi di imposta anche nel caso in cui i lavoratori diventino proprietari di almeno un unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti al trasferimento. Successivamente, con le modifiche apportate dalla Finanziaria, il decreto crescita ha previsto l’aggiunta: “…Ovvero ne diviene proprietario entro diciotto mesi dalla data di esercizio dell’opzione.” Qual è esattamente il termine ultimo da prendere in considerazione per l’eventuale acquisizione dell’immobile, onde poter usufruire dell’ulteriore quinquennio di agevolazioni?

Attenzione a non fare confusione; in realtà si tratta di due disposizioni completamente differenti: una relativa al termine – per così dire – “iniziale”, e una attinente a quello “finale”.

Nello specifico, il Decreto Crescita è stato oggetto di modifiche in sede di approvazione della Legge Finanziaria (Legge 30 dicembre 2020 n. 178, art. 50, co. 1). Detta normativa, senza apportare alcuna variazione al comma 3-bis, art. 16 (così come aggiunto in precedenza), ha previsto, tra gli altri, il comma 2-bis che ha stabilito le disposizioni da seguire in caso di opzione per l’ulteriore quinquennio da parte dei soggetti meglio individuati nel precedente QUESITO 1.

Orbene, i “diciotto mesi” concernono il caso relativo all’eventuale esercizio dell’opzione per l’ulteriore quinquennio e sono stabiliti dalla Finanziaria con riferimento ai soggetti che intendano versare l’imposta sostitutiva (10% / 5%), entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di conclusione del primo periodo di fruizione dell’agevolazione. Pertanto, in tali fattispecie, il termine ultimo possibile entro cui i contribuenti in questione devono essere diventati proprietari dell’immobile diviene il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di conclusione del primo periodo di fruizione dell’agevolazione.

In definitiva, abbiamo:

Comma 2-bis aggiunto dalla Finanziaria:

“I soggetti, diversi da quelli indicati nel comma 2, che siano stati iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero o che siano cittadini di Stati membri dell’Unione europea, che hanno già trasferito la residenza prima dell’anno 2020 e che alla data del 31 dicembre 2019 risultano beneficiari del regime previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, possono optare per l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1, lettera c), del presente articolo, previo versamento di:

a) un importo pari al 10% dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia oggetto dell’agevolazione di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, relativi al periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione, se il soggetto al momento dell’esercizio dell’opzione ha almeno un figlio minorenne, anche in affido preadottivo, o è diventato proprietario di almeno un unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti al trasferimento, OVVERO NE DIVIENE PROPRIETARIO ENTRO DICIOTTO MESI DALLA DATA DI ESERCIZIO DELL’OPZIONE DI CUI AL PRESENTE COMMA, pena la restituzione del beneficio addizionale fruito senza l’applicazione di sanzioni…” .

Comma 3-bis introdotto col Decreto Crescita:

“Le disposizioni del presente articolo si applicano per ulteriori cinque periodi di imposta nel caso in cui i lavoratori diventino proprietari di almeno un unità immobiliare di tipo residenziale in Italia,
successivamente al trasferimento in Italia O NEI DODICI MESI PRECEDENTI AL TRASFERIMENTO”.

*ODCEC Roma

image_pdfimage_print

di Luisella Fontanella*

Nella redazione del contratto individuale di lavoro spesso si dimentica l’importanza del patto di prova
relegandolo a semplice parametro numerico: giorni.
Anche la recente Legge 13 dicembre 2024 n. 203 “Collegato Lavoro” entrata in vigore il 12 gennaio 2025,
cercando di risolvere la casistica nel rapporto di lavoro a termine, si è limitato ad indicare un’asettica modalità di calcolo aritmetico in relazione alla durata della prestazione appiattendo livelli, qualifiche e mansioni.
La durata è certamente un aspetto importante in quanto posticipa nel tempo il momento in cui il rapporto di lavoro esce dall’area “non protetta” del recesso libero, sia per il datore di lavoro che per il lavoratore, ed entra nell’area “protetta” del recesso giustificato, passaggio che implica la difficoltà di licenziare un dipendente che non abbia violato alcun obbligo, nemmeno di diligenza, nel caso in cui l’azienda voglia avvalersi del diritto di risolvere il rapporto di lavoro senza fornire alcuna motivazione e senza obbligo di dare un preavviso.
Non si deve, però, dimenticare che si tratta di un istituto, opzionale e non obbligatorio, che assolve
a una funzione molto importante: consentire all‘imprenditore e al prestatore di fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova.

Recesso durante il periodo di prova
Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o
d’indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può
esercitarsi prima della scadenza del termine salvo dimissioni per giusta causa.
Il recesso avviene senza obbligo di preavviso e motivazione.
Se il lavoratore si dimette, non è obbligato a seguire la procedura telematica è consigliata la forma scritta (sebbene siano ammesse anche le dimissioni in forma orale), ma in nessun caso vi è l’obbligo di
comunicazione telematica.
Il datore di lavoro dovrà firmare la lettera, consegnarla al lavoratore per poi comunicare entro cinque giorni la cessazione del rapporto al Centro per l’impiego, attraverso il Modello Unificato UniLav.
Per quanto riguarda la tempestività del recesso da parte del datore di lavoro, rileva la data di spedizione
della lettera raccomandata e non la data in cui viene ricevuta.
La comunicazione del licenziamento si ritiene assolta, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua
materialità (Cassazione 23061/2007 – 29753/2017) anche a mezzo email (es. comunicato dal lavoratore
all’atto dell’assunzione).
I diritti come ferie, TFR e mensilità aggiuntive vengono regolarmente maturati.
Per garantire che il periodo di prova sia valido, è essenziale che:
• Sia formalizzato in epoca precedente o contestualmente all’assunzione per iscritto nel
contratto di lavoro,
• Sia chiaramente definita l’indicazione della durata della prova, che non potrà eccedere la misura        indicata dalla contrattazione collettiva e comunque quella prevista per legge,
Le mansioni siano dettagliatamente specificate nel contratto.
• L’oggetto deve essere possibile, lecito e determinato o determinabile
In assenza di queste formalità, il periodo di prova potrebbe essere considerato nullo o inefficace, con
possibili ripercussioni sul rapporto di lavoro.

Il divieto del periodo di prova
Il rinnovo di un contratto di lavoro, per lo svolgimento delle stesse mansioni, non può essere soggetto ad un nuovo periodo di prova.
Non può essere reiterato il periodo di prova qualora vi sia stato:
• un precedente rapporto a termine con le stesse mansioni
• un precedente rapporto in somministrazione con le stesse mansioni
• un precedente rapporto di collaborazione che abbia previsto attività analoghe
La reiterazione è ammessa:
• per mansioni diverse
• qualora sia decorso un apprezzabile lasso di tempo rispetto al contratto precedente (Cassazione – sentenza n. 8237/ 2015)
• qualora tra un rapporto e l’altro siano mutati, nel frattempo, taluni fattori (Cassazione – sentenza
8237/2015 e ordinanza 28252/2018) esempio: il contesto sociale e lavorativo, le capacità professionali, le abitudini di vita, le condizioni di salute del lavoratore, ovvero l’organizzazione aziendale
La ripetizione del patto di prova in successivi contratti di lavoro col medesimo datore e per le stesse mansioni è legittima ove sia dimostrata l’esigenza datoriale di verifica ulteriore del comportamento del lavoratore rilevante ai fini dell’adempimento della prestazione, in relazione a mutamenti che possano essere intervenuti per molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute (Cassazione n. 22809/2019)

Recesso durante il periodo di prova – Nullità
La nullità del patto di prova può essere richiesta in presenza di difformità rispetto agli elementi previsti
dalla legge e dalla giurisprudenza, come la corretta specifica delle mansioni e la congruità della valutazione delle capacità professionali del lavoratore.
• Motivi estranei alla valutazione professionale del lavoratore:
• Durata inadeguata del periodo di prova
• Mansioni diverse da quelle concordate
• Mansioni non specificate nel contratto

In caso di licenziamento avvenuto durante il periodo di prova, incombe sul lavoratore, ai sensi dell’articolo 2697 c.c., di dimostrare il positivo superamento del periodo di prova o che il recesso sia stato determinato da altra reale motivazione.
Il patto di prova ha infatti natura discrezionale e dispensa il datore di lavoro dall’onere di provarne la giustificazione, quindi l’onere della prova rimane in capo al lavoratore. (Cassazione – ordinanza
n. 23927/2020)
Nel caso in cui il recesso dal contratto di lavoro avvenga senza un valido patto di prova, la sanzione prevista è quella della tutela indennitaria.
Il lavoratore ha diritto a un’indennità, ma non può essere reintegrato nel posto di lavoro, in quanto il recesso non rientra nelle fattispecie previste dall’articolo 3, comma 2, del D. Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti (Cassazione, sentenza 20239/2023).

Tassazione dell’indennità
Si tratta di licenziamento illegittimo senza la reintegra sul posto di lavoro e pertanto viene risarcito il lucro cessante. In considerazione di ciò gli importi vengono tassati come il Tfr, tramite trattenuta alla fonte operata direttamente dall’azienda, in quanto il rapporto di lavoro è cessato. Trattandosi di indennità risarcitoria collegata alla cessazione del rapporto di lavoro si esclude la contribuzione previdenziale ed assistenziale

La durata
Viene fissata dai Ccnl in relazione all’inquadramento contrattuale
• La legge prevede una durata massima: non superiore a 6 mesi (art. 7, D. Lgs. 27 giugno 2022, n. 104 Attuazione della direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea – Decreto Trasparenza)
• Può essere prevista una durata minima – in questo caso il diritto di recesso non può esercitarsi prima
della fine del periodo
• Può essere prevista una riduzione del periodo di prova qualora il lavoratore abbia svolto le stesse mansioni presso altri datori di lavoro
• Può essere prevista una proroga, qualora sia giustificata e sempre nel limite dei 6 mesi
Solo nel contratto di prossimità è possibile uno sforamento dei 6 mesi

La durata nel contratto a termine
Il Collegato Lavoro ha modificato quanto previsto all’art.7 del Decreto Trasparenza, andando a precisare
le modalità di calcolo del periodo di prova qualora le parti decidano di inserire tale istituto in un contratto individuale a termine: un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario a
partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso, la durata del periodo di prova nei
rapporti fino a sei mesi può andare da un minimo di due giorni ad un massimo di quindici giorni, mentre
nei rapporti superiori a sei mesi e inferiori a dodici mesi, il periodo di prova non potrà andare oltre i trenta giorni.
Tale conteggio non deve essere fatto qualora la contrattazione collettiva sia intervenuta, prevedendo una condizione di miglior favore.
Il problema che si pone è che il legislatore non dice per chi deve essere di miglior favore.
Potrebbe essere sottinteso che debba esserlo per il lavoratore. Quindi, qualora la contrattazione collettiva, di qualsiasi livello (nazionale, territoriale o aziendale) sia intervenuta sulla materia ed abbia previsto una disposizione più favorevole per il lavoratore, non si applica la formula legale.
Vero è che un minor periodo di prova è favorevole al lavoratore in quanto entra nel periodo protetto in
tempi più rapidi, ma tale modalità potrebbe, invero, causare del contenzioso in quanto, qualora l’azienda
decida di risolvere il rapporto durante o al termine del periodo di prova, il lavoratore potrebbe ricorrere
contro tale decisione evidenziando la scarsa durata del periodo che non gli ha permesso di dimostrare
compiutamente le capacità lavorative in relazione alla complessità delle mansioni svolte.

*ODCEC Torino

image_pdfimage_print