IL PERIODO DI PROVA

di Luisella Fontanella*

Nella redazione del contratto individuale di lavoro spesso si dimentica l’importanza del patto di prova
relegandolo a semplice parametro numerico: giorni.
Anche la recente Legge 13 dicembre 2024 n. 203 “Collegato Lavoro” entrata in vigore il 12 gennaio 2025,
cercando di risolvere la casistica nel rapporto di lavoro a termine, si è limitato ad indicare un’asettica modalità di calcolo aritmetico in relazione alla durata della prestazione appiattendo livelli, qualifiche e mansioni.
La durata è certamente un aspetto importante in quanto posticipa nel tempo il momento in cui il rapporto di lavoro esce dall’area “non protetta” del recesso libero, sia per il datore di lavoro che per il lavoratore, ed entra nell’area “protetta” del recesso giustificato, passaggio che implica la difficoltà di licenziare un dipendente che non abbia violato alcun obbligo, nemmeno di diligenza, nel caso in cui l’azienda voglia avvalersi del diritto di risolvere il rapporto di lavoro senza fornire alcuna motivazione e senza obbligo di dare un preavviso.
Non si deve, però, dimenticare che si tratta di un istituto, opzionale e non obbligatorio, che assolve
a una funzione molto importante: consentire all‘imprenditore e al prestatore di fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova.

Recesso durante il periodo di prova
Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o
d’indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può
esercitarsi prima della scadenza del termine salvo dimissioni per giusta causa.
Il recesso avviene senza obbligo di preavviso e motivazione.
Se il lavoratore si dimette, non è obbligato a seguire la procedura telematica è consigliata la forma scritta (sebbene siano ammesse anche le dimissioni in forma orale), ma in nessun caso vi è l’obbligo di
comunicazione telematica.
Il datore di lavoro dovrà firmare la lettera, consegnarla al lavoratore per poi comunicare entro cinque giorni la cessazione del rapporto al Centro per l’impiego, attraverso il Modello Unificato UniLav.
Per quanto riguarda la tempestività del recesso da parte del datore di lavoro, rileva la data di spedizione
della lettera raccomandata e non la data in cui viene ricevuta.
La comunicazione del licenziamento si ritiene assolta, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua
materialità (Cassazione 23061/2007 – 29753/2017) anche a mezzo email (es. comunicato dal lavoratore
all’atto dell’assunzione).
I diritti come ferie, TFR e mensilità aggiuntive vengono regolarmente maturati.
Per garantire che il periodo di prova sia valido, è essenziale che:
• Sia formalizzato in epoca precedente o contestualmente all’assunzione per iscritto nel
contratto di lavoro,
• Sia chiaramente definita l’indicazione della durata della prova, che non potrà eccedere la misura        indicata dalla contrattazione collettiva e comunque quella prevista per legge,
Le mansioni siano dettagliatamente specificate nel contratto.
• L’oggetto deve essere possibile, lecito e determinato o determinabile
In assenza di queste formalità, il periodo di prova potrebbe essere considerato nullo o inefficace, con
possibili ripercussioni sul rapporto di lavoro.

Il divieto del periodo di prova
Il rinnovo di un contratto di lavoro, per lo svolgimento delle stesse mansioni, non può essere soggetto ad un nuovo periodo di prova.
Non può essere reiterato il periodo di prova qualora vi sia stato:
• un precedente rapporto a termine con le stesse mansioni
• un precedente rapporto in somministrazione con le stesse mansioni
• un precedente rapporto di collaborazione che abbia previsto attività analoghe
La reiterazione è ammessa:
• per mansioni diverse
• qualora sia decorso un apprezzabile lasso di tempo rispetto al contratto precedente (Cassazione – sentenza n. 8237/ 2015)
• qualora tra un rapporto e l’altro siano mutati, nel frattempo, taluni fattori (Cassazione – sentenza
8237/2015 e ordinanza 28252/2018) esempio: il contesto sociale e lavorativo, le capacità professionali, le abitudini di vita, le condizioni di salute del lavoratore, ovvero l’organizzazione aziendale
La ripetizione del patto di prova in successivi contratti di lavoro col medesimo datore e per le stesse mansioni è legittima ove sia dimostrata l’esigenza datoriale di verifica ulteriore del comportamento del lavoratore rilevante ai fini dell’adempimento della prestazione, in relazione a mutamenti che possano essere intervenuti per molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute (Cassazione n. 22809/2019)

Recesso durante il periodo di prova – Nullità
La nullità del patto di prova può essere richiesta in presenza di difformità rispetto agli elementi previsti
dalla legge e dalla giurisprudenza, come la corretta specifica delle mansioni e la congruità della valutazione delle capacità professionali del lavoratore.
• Motivi estranei alla valutazione professionale del lavoratore:
• Durata inadeguata del periodo di prova
• Mansioni diverse da quelle concordate
• Mansioni non specificate nel contratto

In caso di licenziamento avvenuto durante il periodo di prova, incombe sul lavoratore, ai sensi dell’articolo 2697 c.c., di dimostrare il positivo superamento del periodo di prova o che il recesso sia stato determinato da altra reale motivazione.
Il patto di prova ha infatti natura discrezionale e dispensa il datore di lavoro dall’onere di provarne la giustificazione, quindi l’onere della prova rimane in capo al lavoratore. (Cassazione – ordinanza
n. 23927/2020)
Nel caso in cui il recesso dal contratto di lavoro avvenga senza un valido patto di prova, la sanzione prevista è quella della tutela indennitaria.
Il lavoratore ha diritto a un’indennità, ma non può essere reintegrato nel posto di lavoro, in quanto il recesso non rientra nelle fattispecie previste dall’articolo 3, comma 2, del D. Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti (Cassazione, sentenza 20239/2023).

Tassazione dell’indennità
Si tratta di licenziamento illegittimo senza la reintegra sul posto di lavoro e pertanto viene risarcito il lucro cessante. In considerazione di ciò gli importi vengono tassati come il Tfr, tramite trattenuta alla fonte operata direttamente dall’azienda, in quanto il rapporto di lavoro è cessato. Trattandosi di indennità risarcitoria collegata alla cessazione del rapporto di lavoro si esclude la contribuzione previdenziale ed assistenziale

La durata
Viene fissata dai Ccnl in relazione all’inquadramento contrattuale
• La legge prevede una durata massima: non superiore a 6 mesi (art. 7, D. Lgs. 27 giugno 2022, n. 104 Attuazione della direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea – Decreto Trasparenza)
• Può essere prevista una durata minima – in questo caso il diritto di recesso non può esercitarsi prima
della fine del periodo
• Può essere prevista una riduzione del periodo di prova qualora il lavoratore abbia svolto le stesse mansioni presso altri datori di lavoro
• Può essere prevista una proroga, qualora sia giustificata e sempre nel limite dei 6 mesi
Solo nel contratto di prossimità è possibile uno sforamento dei 6 mesi

La durata nel contratto a termine
Il Collegato Lavoro ha modificato quanto previsto all’art.7 del Decreto Trasparenza, andando a precisare
le modalità di calcolo del periodo di prova qualora le parti decidano di inserire tale istituto in un contratto individuale a termine: un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario a
partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso, la durata del periodo di prova nei
rapporti fino a sei mesi può andare da un minimo di due giorni ad un massimo di quindici giorni, mentre
nei rapporti superiori a sei mesi e inferiori a dodici mesi, il periodo di prova non potrà andare oltre i trenta giorni.
Tale conteggio non deve essere fatto qualora la contrattazione collettiva sia intervenuta, prevedendo una condizione di miglior favore.
Il problema che si pone è che il legislatore non dice per chi deve essere di miglior favore.
Potrebbe essere sottinteso che debba esserlo per il lavoratore. Quindi, qualora la contrattazione collettiva, di qualsiasi livello (nazionale, territoriale o aziendale) sia intervenuta sulla materia ed abbia previsto una disposizione più favorevole per il lavoratore, non si applica la formula legale.
Vero è che un minor periodo di prova è favorevole al lavoratore in quanto entra nel periodo protetto in
tempi più rapidi, ma tale modalità potrebbe, invero, causare del contenzioso in quanto, qualora l’azienda
decida di risolvere il rapporto durante o al termine del periodo di prova, il lavoratore potrebbe ricorrere
contro tale decisione evidenziando la scarsa durata del periodo che non gli ha permesso di dimostrare
compiutamente le capacità lavorative in relazione alla complessità delle mansioni svolte.

*ODCEC Torino

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