di Ivana De Michele*

 

Nel contesto delle libere professioni, il gender pay gap rimane una ferita aperta. Malgrado i progressi nelle pari opportunità educative e l’aumento della partecipazione femminile nel mondo del lavoro, il divario nei compensi e nella rappresentanza persiste in maniera preoccupante, in particolare per le professioni liberali. Secondo il Global Gender Gap Report 2023, l’Italia si trova in una posizione di svantaggio, all’87º posto su 146 paesi e, considerando l’Unione Europea, dopo di noi ci sono solo Ungheria, Repubblica Ceca e Turchia, a testimonianza del fatto che la parità di genere, soprattutto nel mondo professionale, in Italia è ancora lontana dall’essere raggiunta.

Le donne rappresentano circa il 44% degli iscritti agli ordini professionali, un dato che segna una crescita rispetto al 40% di pochi anni fa. Tuttavia, la presenza femminile non si riflette in un’uguaglianza nei compensi. In media, le donne nelle professioni liberali guadagnano il 45% in meno rispetto agli uomini, con un divario che si accentua tra i 40 e i 50 anni, quando il carico familiare e lavorativo raggiunge il suo picco.

Questo fenomeno è evidente soprattutto tra commercialisti, avvocati e notai, dove le donne continuano a essere sottorappresentate nei ruoli di leadership e, di conseguenza, guadagnano meno rispetto ai loro colleghi uomini. Ma la questione non si ferma qui: il gender pay gap colpisce anche altri ordini professionali, ad esempio psicologhe e giornaliste, soprattutto quando operano come freelance, una condizione che le espone a una maggiore precarietà economica e a compensi inferiori rispetto ai colleghi uomini.

Nel settore della psicologia le donne costituiscono la maggioranza, rappresentando circa l’85% degli iscritti all’albo degli psicologi. Tuttavia, il fatto che siano più numerose non si traduce in parità retributiva. Secondo i dati del CNOP (Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi), le psicologhe guadagnano tra il 30% e il 40% in meno rispetto ai colleghi uomini. Questa disparità si riflette non solo nei guadagni, ma anche nelle opportunità di carriera, con una minore presenza femminile nei ruoli dirigenziali e decisionali.

Anche il settore del giornalismo presenta un divario di genere significativo, soprattutto per quanto riguarda le giornaliste freelance. Secondo i dati dell’INPGI (Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani), le giornaliste freelance guadagnano mediamente il 28% in meno rispetto ai colleghi uomini, un dato che peggiora ulteriormente per chi lavora in settori editoriali dove la leadership maschile è dominante.

Molte giornaliste si trovano in condizioni di precarietà contrattuale, con la mancanza di un salario fisso che le espone a compensi irregolari e meno competitivi rispetto agli uomini, soprattutto nelle trattative di compensi per articoli e collaborazioni. Le donne giornaliste, in particolare, si scontrano con barriere legate al soffitto di cristallo che limita il loro accesso a ruoli apicali, come redattrici capo o direttrici di testata, ruoli tradizionalmente dominati da uomini.

In conclusione le libere professioniste sono particolarmente esposte al rischio di part-time involontario, perché molte di loro si vedono costrette a ridurre l’orario lavorativo per conciliare lavoro e famiglia. Questo fenomeno è particolarmente comune tra i 40 e i 50 anni, quando la gestione familiare raggiunge il suo massimo impatto sulle scelte professionali.

Le radici del gender pay gap nelle libre professioni sono alimentate da diversi fattori:

Ruoli familiari e sociali: Le donne continuano a sobbarcarsi la maggior parte del lavoro domestico e familiare, il che limita il loro tempo e la disponibilità per opportunità di carriera più remunerative o di leadership.

Mancanza di trasparenza salariale: Molte professioni non richiedono trasparenza sulle retribuzioni, lasciando spazio a negoziazioni individuali che spesso penalizzano le donne, meno inclini o meno abituate a negoziare al rialzo.

Stereotipi di genere: Le aspettative sociali sul ruolo delle donne come madri e caregiver creano un contesto in cui si dà per scontato che esse siano meno interessate o capaci di dedicarsi alla carriera.

Mancanza di politiche di conciliazione: Gli studi professionali e le aziende offrono spesso scarse soluzioni per la conciliazione tra lavoro e vita familiare, rendendo difficile per le donne mantenere lo stesso ritmo di carriera dei loro colleghi uomini.

Per affrontare seriamente il gender pay gap nelle professioni liberali, è necessario un approccio integrato che includa misure normative e pratiche professionali. Ecco alcune soluzioni concrete:

Trasparenza retributiva obbligatoria: Introdurre obblighi di trasparenza sui compensi all’interno degli ordini professionali, pubblicando i dati salariali divisi per genere. Questa misura potrebbe portare a una maggiore equità retributiva e responsabilizzazione da parte delle aziende e degli studi professionali.

Politiche di conciliazione lavoro-famiglia: Promuovere forme di congedo parentale più flessibili e incentivare la condivisione del carico familiare tra uomini e donne. È cruciale che queste politiche siano accessibili e non penalizzino chi le utilizza.

Programmi di mentoring e leadership femminile: Creare reti di mentoring e programmi di leadership per le donne nei settori in cui sono sottorappresentate, come la psicologia e il giornalismo, per aiutarle a superare le barriere all’avanzamento professionale.

Quota di genere nei ruoli dirigenziali: Implementare quote di genere nei ruoli decisionali all’interno degli ordini professionali e delle redazioni giornalistiche. Questo potrebbe aumentare la presenza femminile in posizioni di leadership e contribuire a una maggiore equità salariale.

Sostegno alle freelance: Le professioniste freelance, come le giornaliste e le psicologhe, necessitano di misure specifiche di protezione sociale e incentivi fiscali per compensare la mancanza di stabilità contrattuale. Questo potrebbe includere fondi di sostegno per i periodi di inattività o agevolazioni fiscali per le lavoratrici autonome.

Il gender pay gap nelle libere professioni non è solo una questione di equità, ma un problema strutturale che impedisce all’economia di sfruttare pienamente il potenziale delle donne. È essenziale che le politiche pubbliche, gli ordini professionali e le aziende collaborino per creare un sistema più equo, in cui il merito venga riconosciuto e valorizzato, indipendentemente dal genere. Ridurre questo divario significa non solo migliorare la vita delle professioniste, ma anche promuovere un sistema economico più inclusivo e produttivo.

*ODCEC Milano

di Ivana De Michele*

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