ESPLORANDO IL LINGUAGGIO DI GENERE Promuovere l’inclusione e la diversità attraverso le Parole

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di Ivana De Michele*

Nell’era del progresso sociale e della consapevolezza sull’uguaglianza di genere, il linguaggio che usiamo riveste un’importanza cruciale.

Il modo in cui comunichiamo può influenzare profondamente  le  nostre percezioni,  le  relazioni interpersonali e la cultura nel suo complesso. Il concetto di linguaggio di genere si concentra sulla consapevolezza e sull’adozione di termini e strutture linguistiche che rispettino e riflettano la diversità  di  identità  di  genere e  promuovano l’inclusione di tutte le persone.

Il linguaggio di genere si propone di superare gli stereotipi di genere e di evitare l’uso di espressioni che possano essere discriminatorie o escludenti per qualsiasi genere. Ciò implica l’adozione di un linguaggio che riconosca l’esistenza di identità

di genere al di là della dicotomia uomo – donna e che rispetti le preferenze individuali delle persone riguardo al modo in cui desiderano essere identificate e rappresentate.

L’uso di un linguaggio inclusivo riflette il rispetto per la diversità e contribuisce a creare ambienti

più accoglienti e rispettosi per tutti: quando ci rivolgiamo ad un pubblico variegato utilizzare un

linguaggio che tenga conto delle diverse identità di genere può favorire un senso di appartenenza

e di riconoscimento da parte di tutti i destinatari del messaggio. Inoltre un linguaggio inclusivo

può aiutare a combattere stereotipi dannosi e a promuovere l’uguaglianza di opportunità.

Adottare un linguaggio non rispettoso è una chiara discriminazione che tuttavia passa in secondo ordine nel nome di un’abitudine reiterata che non tiene conto della società che si evolve intorno a noi: in fondo abbiamo sempre detto/scritto così!

Accade così che nella lingua italiana l’utilizzo di un linguaggio declinato al maschile sia prevalente, comprendendo volutamente al suo interno anche l’accezione femminile che così non viene citata o rappresentata direttamente come se non fosse un’entità a sé stante. L’uso del solo genere maschile per i titoli professionali e i ruoli istituzionali così come l’uso dell’articolo indeterminativo maschile o di termini esclusivamente maschili nei documenti, moduli, domande, non rappresenta più la società attuale in cui le donne concorrono quantitativamente e qualitativamente al perseguimento del raggiungimento della parità di genere.

Oltretutto, la lingua italiana ben si presta ad adottare anche nuovi termini. L’anno scorso sono stati ammessi dall’Accademia della Crusca boomer, ghostare, mangificio, maranza (!), pigiamare ecc. ecc, solo per citarne alcuni.

Non penso quindi che introdurre dei sostantivi al femminile dovrebbe essere un problema.

Vi segnalo alcuni suggerimenti pratici: utilizzare il femminile di sostantivi che indicano professioni o cariche istituzionali ad esempio ambasciatore/ ambasciatrice, architetto/architetta, notaio/notaia, perito/perita, sindaco/sindaca.

Altra indicazione presente in tutte le linee guida sul linguaggio, così come nelle indicazioni dell’Accademia della Crusca, è quella di accordare articoli e aggettivi con i sostantivi epicentri ovvero i sostantivi che indicano individui di entrambi i sessi: il capufficio/la capufficio, il parlamentare/la parlamentare, il preside/la preside, il responsabile/ la responsabile.

Invece in relazione a sostantivi ambigenere si dovrebbe evitarne l’uso accostato alla parola “donna” per formare il femminile, ed usare invece il termine semplice con l’articolo femminile, ad esempio una preside /la preside, una pilota, una manager, la direttrice.

Sinteticamente le regole principali per la formazione del femminile in base alle diverse classi di nomi possono essere le seguenti:

  • i nomi che al maschile terminano in -o hanno il femminile in -a;
  • i nomi che terminano in -e sono ambigenere e affidano l’indicazione del genere all’articolo. Fanno eccezione forme ormai entrate nello standard della lingua parlata e scritta come studente e studentessa, professore e professoressa;
  • i nomi che terminano in -iere al maschile diventano al femminile-iera:

ad esempio cavaliere/cavaliera, cancelliere/ cancelliera;

  • i nomi o aggettivi terminanti in -a e in -ista al singolare sono ambigenere, mentre al plurale terminano al maschile in -i e -isti, e al femminile in -e e -iste.

Fa eccezione poeta/poetessa;

  • per i nomi terminanti in -tore al maschile, al femminile si usa -trice; fanno eccezione con il femminile in -tora termini quale questore/ questora e il femminile in essa dottore/ dottoressa;
  • nomi e aggettivi terminanti in -sore al maschile sono al femminile -sora;
  • nomi e aggettivi terminanti in -one hanno normalmente il femminile in -ona. Fa eccezione campione/campionessa.

Soprattutto è utile per utilizzare un linguaggio di genere evitare l’utilizzo del maschile inclusivo, sdoppiare i termini, prediligere sostantivi neutri (persona/persone, individuo/individui, soggetto/ soggetti), utilizzare pronomi relativi e indefiniti e utilizzare termini collettivi che possono quindi andare bene per tutti i generi.

In conclusione il linguaggio di genere rappresenta un passo importante verso la costruzione di una società più inclusiva e rispettosa delle differenze di genere.

Adottare un linguaggio che rifletta l’uguaglianza e la diversità di genere non è solo una questione di correttezza ottica ma anche di promozione di relazioni più empatiche, di una cultura più tollerante e di un mondo in cui ogni individuo si senta accettato e valorizzato per quello che è.

*Odcec Milano

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