LICENZIAMENTI PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO E CONDANNA ALLA REINTEGRA: LA POSIZIONE DELLA GIURISPRUDENZA DOPO LA SENTENZA N. 125/2022 DELLA CORTE COSTITUZIONALE

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di Paolo Galbusera* e Andrea Ottolina*

Tra i vari e importanti interventi posti in essere dalla Corte Costituzionale negli ultimi tempi e aventi ad oggetto le tutele riconosciute dalla legge in caso di licenziamenti illegittimi, la sentenza n. 125 del 22 maggio 2022 ha avuto ampia rilevanza in quanto, con essa, la Corte è intervenuta su uno dei passaggi chiave del “nuovo” art. 18 dello Statuto dei Lavoratori così come riformulato dalla legge 92 del 2012, meglio conosciuta come Legge Fornero.

Nello specifico, la sentenza citata ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della distinzione tra insussistenza e manifesta insussistenza del fatto posto alla base dei licenziamenti c.d. economici, contenuta nel co. 7 dell’art. 18 Statuto dei Lavoratori, norma che appunto riconosceva la tutela reintegratoria solo ai casi di manifesta infondatezza del fatto posto alla base del recesso.

Come noto, la ratio della Legge Fornero e in particolare della riforma dell’art. 18 era quella di ridimensionare la tutela reintegratoria, senza però eliminarla, destinandola ai casi di illegittimità considerati più gravi, tra i quali, appunto

la manifesta infondatezza del giustificato motivo oggettivo posto alla base del licenziamento. 

All’interno della nuova formulazione della norma, tuttavia, non vi era una definizione del concetto di manifesta infondatezza e di conseguenza la giurisprudenza successiva alla riforma si è sin da subito prodigata per sopperire a tale lacuna, arrivando ad applicare

la tutela reintegratoria ai casi in cui risultavano effettivamente insussistenti i presupposti di legittimità dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo,

cioè le ragioni riorganizzative comportanti la soppressione della posizione lavorativa e l’impossibilità diricollocareillavoratoreall’internodell’organizzazione aziendale (c.d. obbligo di repechage), tanto da far ritenere la motivazione del recesso chiaramente pretestuosa.

Sin dal momento della sua pubblicazione è apparso evidente che la sentenza 152/2022 della Corte Costituzionale, dichiarando incostituzionale il requisito della manifesta infondatezza di cui all’art. 18 co. 7, avrebbe avuto come effetto quello di innalzare il rischio di condanna alla reintegra per i datori di lavoro nelle cause di impugnazione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo soggetti appunto all’art. 18 Stat. Lavoratori. D’altra parte la stessa Corte Costituzionale, sempre nella sentenza in commento, ha dato indicazioni in merito all’ambito di applicazione della mera tutela indennitaria, precisando che rientrano in tale area di tutela le ipotesi in cui il licenziamento è illegittimo per aspetti che, pur condizionando la legittimità del licenziamento, esulano dal fatto posto alla base della motivazione, come ad esempio in caso di mancato rispetto della buona fede e della correttezza nella scelta del lavoratore da licenziare, quando egli appartenga a personale omogeneo e fungibile. Insomma, ipotesi meramente residuali.

Le decisioni dei Tribunali di merito e della Corte di Cassazione successive all’intervento della Corte Costituzionale hanno effettivamente confermato il sostanziale consolidamento della tutela reintegratoria, arrivando a riconoscerla in tutti i casi di semplice insussistenza, risultante ad esempio da lacune in termini probatori, dei motivi posti a fondamento del licenziamento, compresi i casi di violazione dell’obbligo di repechage.

Si prenda ad esempio l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 33341 dell’11 novembre 2022. Nel caso specifico, il lavoratore aveva impugnato in Cassazione la sentenza con cui la Corte d’Appello, pur accogliendo la domanda di illegittimità del licenziamento per violazione dell’obbligo di repechage, aveva condannato il datore di lavoro al pagamento della sola indennità economica di cui al co. 5 dell’art. 18 e non, come richiesto, alla reintegra ai sensi del co. 7, non ritenendo appunto che alla violazione di tale obbligo conseguisse la manifesta infondatezza del recesso.

Ebbene, con l’ordinanza n. 33341 citata la Corte di Cassazione, dando atto dell’intervento della Corte Costituzionale nelle more del giudizio, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, avendo la stessa negato la tutela reintegratoria al lavoratore sulla base di un parametro normativo, cioè la differenza tra insussistenza e manifesta insussistenza, ormai espunto dall’ordinamento.

La Corte di Cassazione è arrivata alla medesima conclusione con la sentenza n. 35496 del 2 dicembre 2022, ribadendo che, in caso di rapporti di lavoro in cui trova applicazione l’articolo 18 dello Statuto, ove il Giudice accerti la semplice insussistenza anche di uno solo dei motivi posti a fondamento del licenziamento,

il Giudice dovrà sempre disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro,

oltre al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione.

Nell’ambito delle decisioni di merito, ha fatto discutere la sentenza del Tribunale del Lavoro di Lecco n. 159 del 31 ottobre 2022, con la quale è stata riconosciuta la tutela reintegratoria non sulla base della mancata prova dell’impossibilità di ricollocare il lavoratore licenziato all’interno dell’organizzazione aziendale, ma addirittura come conseguenza del mancato tentativo da parte del datore di lavoro di riqualificare il dipendente al fine di evitare la soppressione del posto di lavoro.

Insomma, quello che emerge dall’esame degli ultimi orientamenti giurisprudenziali in ambito di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo è un ampliamento dei margini di discrezionalità da parte dei Giudici nella valutazione della legittimità delle operazioni di riorganizzazione poste in essere dalle aziende, fino ad arrivare, in alcuni casi, a porre in discussione quei principi di libertà imprenditoriale che dovrebbero essere tutelati dall’art. 41 della Costituzione.

*Avvocato in Milano – Galbusera & Partners

 

 

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