IL LAVORO AL TEMPO DEI FARAONI

,
di Valeria Primo*

In occasione del convegno del Gruppo ODCEC Area lavoro a Torino, al termine delle giornate di lavoro, la parte ludica ha riguardato due visite guidate ai capisaldi dell’arte sabauda, il Museo Egizio e Palazzo Reale.

Durante la prima visita guidata, i visitatori, per le ragioni che tra poco capirete, sono stati colpiti dalla narrazione inerente al villaggio di Deir el -Medina.

Il sito, che si trova nei pressi dell’odierna Luxor, costituisce un esempio di “villaggio operaio”  che ospitava gli artigiani e, in genere, le maestranze preposte alla realizzazione e manutenzione delle tombe degli antichi Re: in questo caso, delle tombe della Valle dei Re.  Questa precisazione va a demolire definitivamente l’idea che le tombe fossero costruite dagli schiavi.

Tra il 1525 e il 1504 a.C. il re Amenhotep I istituì un gruppo di artigiani specializzati che il successore, Thutmosi I, decise di concentrare in un villaggio creato alla bisogna,  in un’area desertica sita nei pressi della zona destinata ad accogliere le tombe reali, a metà strada tra quelle che sarebbero poi divenute la Valle dei Re e la Valle delle Regine.

La scoperta del villaggio di Deir el-Medina, ed i primi scavi, dal 1905 al 1909, si devono all’italiano Ernesto Schiaparelli, direttore stesso del Museo Egizio dal 1894 al 1928, anno della sua morte.

Originariamente il villaggio presentava 60 complessi abitativi successivamente incrementati sino ad ospitare circa 120 nuclei familiari per un complesso, stimato, di 500 abitanti; presenta, in pianta, forma allungata che ricorda quella di una nave e una strada principale l’attraversa tutta separando le abitazioni in due grossi quartieri che, proprio per il richiamo alla forma di nave cui si è sopra detto, erano denominati “quartiere di dritta”, ad est, e “di sinistra”, ad ovest. Ed ancora, proprio come su una nave, le maestranze erano suddivise in “squadre di tribordo” e “di babordo”, composte da circa 60 unità ognuna capeggiate da un “architetto” caposquadra.

Le maestranze, suddivise in squadre da 60 unità ciascuna, raggiungevano il luogo di lavoro percorrendo un sentiero e prestavano servizio per una “settimana” di dieci giorni cui, ritornati a Deir el-Medina, seguiva un “week-end” di due giorni.

Questo perché gli antichi egizi avevano un anno solare diviso in tre stagioni di quattro mesi ciascuno, ogni mese durava 30 giorni per un totale di 360 giorni, più cinque detti “epagomeni”: l’altra coincidenza con la nostra realtà è data dal fatto che venissero retribuiti, in natura, la moneta non esisteva ancora, il 27 di ogni mese, esattamente come è consuetudine anche ora per molte aziende.

È interessante notare che doveva trattarsi di una comunità abbastanza cosmopolita in quanto sono stati riscontrati 30 nomi palesemente stranieri.

Considerato che gli uomini erano costantemente lontani dal villaggio per gran parte dell’anno, Deir el-Medina doveva essere una comunità principalmente femminile.

Sono note, infatti, le professioni di alcune donne che spaziano dalle “cantatrici” alle “sacerdotesse” dedicate a vari culti, e doveva essere alta anche l’alfabetizzazione riscontrabile dai molteplici “ostraka” rinvenuti ed identificabili come messaggi inviati ai mariti lavoratori alla Valle dei re.

Tutte queste informazioni sono giunte fino a noi grazie al ritrovamento di diversi papiri, che riportano anche alcuni episodi singolari che, per ovvi motivi, hanno colpito l’immaginario dei visitatori.

Il primo riguarda un operaio che dovette chiedere di assentarsi due giorni dal lavoro a causa di una “accesa” discussione con la moglie; questo dimostra il fatto che gli operai avessero una forma di “mutua” che gli permettesse di stare a casa se malati.

Il secondo episodio che si trova su un altro papiro parla addirittura di un qualcosa che mai ci aspetteremmo, viene infatti denominato “papiro dello sciopero” (Cat. 1880) ed è un documento amministrativo scritto in ieratico (grafia corsiva dell’egiziano antico) che riporta la notizia di uno sciopero durante il regno di Ramesse III. Il testo è stato scritto dallo scriba Amunnakht, autore anche del “papiro delle miniere” e del “progetto della tomba di Ramesse IV”.

Le difficoltà politiche ed economiche che caratterizzano questo periodo storico portano ad una sospensione delle razioni dei lavoratori. A causa di questo si avvia un lungo conflitto tra i lavoratori che vivono a Deir el-Medina e le autorità governative. Il primo sciopero è intrapreso nel mese di novembre. I lavoratori prima si rifugiano nella necropoli di Tebe e in seguito nei templi di Tutmosi III e Ramses II. Le autorità decidono di accordare agli scioperanti il pagamento delle razioni di grano mensili da loro richieste. Ma alcuni giorni dopo i lavoratori, rifugiatisi nel tempio di Seti I, sono nuovamente in sciopero. Inutile è l’ordine delle autorità di rientrare al villaggio, la protesta continua. I lavoratori chiedono di poter esporre le proprie lamentele, circa le loro povere condizioni di lavoro, direttamente di fronte al faraone.

Avranno quindi avuto una sorta di sindacato?

Il resto del papiro riporta differenti testi. Una testimonianza di un operaio riguardante i crimini di altri tre compagni, (la violenza nei luoghi di lavoro?) un piccolo memorandum sulla morte dello scriba del villaggio, un foglio di presenze (immancabile per redigere la busta paga), una lista di oggetti dati da Userhat alla sua ex-moglie (sarà stata una sorta di cessione del quinto dello stipendio?)  diversi giuramenti e testi relativi alla distribuzione delle razioni di grano.

Sono stati ritrovati anche esempi di busta paga degli operai, che non era ovviamente costituita in denaro.

È importante evidenziare che nell’Antico Egitto non si aveva una vera e propria moneta ma il commercio prevedeva il baratto: la moneta inizia ad essere presente dal 400 a. C. e l’unità di base per valutare le merci era il Deben, un peso di rame pari a 91 grammi.

Nel papiro (Cat. 1881+2080+2092/229) sono riportati diversi resoconti di razioni consegnate agli operai di Deir el-Medina tra l’anno 6 e l’anno 8 del faraone Ramesse IX. A controllare e registrare la distribuzione sono diversi individui, tra i quali uno “scriba del tappetino”, uno scriba del vizier, un maggiordomo reale, uno scriba del tempio e dei deputati. I rifornimenti, prelevati dal magazzino reale e da vari templi, includono differenti tipi di cibo, tessuti, metalli preziosi come rame, argento e oro, olio e papiro. Inoltre, il recto conserva un “protocollo”. Il testo racconta come l’artigiano Pentaweret abbia ricevuto dal deputato del tempio di Ramesse III un’asina con la sua puledra, per estinguere un debito contratto due anni prima, in seguito alla presa in prestito di una somma di grano. In seguito, questi animali sono reclamati dagli attendenti del tempio come proprietà del sacerdote: Pentaweret allora acquista due asini da consegnare agli attendenti del tempio.

Il verso riporta alcuni testi letterari cancellati per far spazio a dei testi amministrativi, il primo dei quali è un resoconto delle consegne di vestiti, olio, cera, piombo e rame. Seguono altri resoconti riguardanti le consegne di pollame, legname, ceramica, frutti, piante, legna da ardere, pesci, verdure e fiori.

Questi documenti ci aiutano a capire quanto in realtà la civiltà egizia fosse moderna e più simile di quanto si possa pensare, coi nostri tempi.

Vi aspetto nuovamente al Museo ed in Piemonte per altre scoperte!

*Guida Turistica in Piemonte

image_pdfimage_print