PREVENZIONE E SICUREZZA SUL LAVORO: DEFICIT NORMATIVO O DI CULTURA?

di Alessandro D’Addea*

Le statistiche annuali sugli incidenti in ambito lavorativo forniscono numeri inquietanti con oltre 1000 morti nel solo anno solare 2023.

I recentissimi fatti di cronaca – tra i vari le vicende di Brandizzo, Firenze, Casteldaccia e da ultimo Bolzano – acuiscono la sensazione che lavorare in sicurezza sia un traguardo difficilmente raggiungibile e quasi ci si debba rassegnare alla conta dei decessi.

Alla stessa stregua la prima immediata reazione è quella di invocare norme più severe: si pensi, in tal senso alla introduzione di una autonoma figura di “omicidio sul lavoro” che andrebbe a creare una figura esattamente analoga all’omicidio stradale introdotto nell’anno 2016 senza che i decessi sulle strade siano minimamente calati, anzi nell’anno 2023 vi è stato il dato peggiore dalla introduzione della suddetta legge.

Ed allora sorge spontanea la domanda su come poter agire.

E’ innanzitutto necessario confrontarsi con la realtà quotidiana per capire come in questo ambito vi sia una fortissima tensione – e non coesione e coerenza come dovrebbe essere – fra legge e prassi.

La normativa di settore è assolutamente in linea con quelle più evolute ed anzi, fermo rimanendo che migliorie sono sempre possibili, il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, “Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro” e successive modifiche rappresenta una base legale di assoluto rispetto; di contro è sufficiente camminare per le strade delle nostre città per rendersi conto che in moltissimi cantieri le regole vengano spesso obliterate o, quantomeno, applicate non adeguatamente, senza dover, per forza, arrivare a fenomeni aventi autonoma natura criminale, come caporalato, sfruttamento del lavoro “nero”, ecc.

Di fronte ad una tale situazione, prima ancora di invocare leggi e sanzioni più severe, è d’uopo lavorare su due direttrici congiuntamente: analisi e repressione delle prassi distorte, corretta formazione quale strumento di prevenzione insieme con idonei flussi informativi.

Principiando dalla analisi delle prassi distorte, il settore edile è un ottimo paradigma per comprendere la situazione attuale: si pensi soltanto all’utilizzo non corretto o del tutto assente dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) od altre carenze in materia di sicurezza sul lavoro giudicate non rilevanti e che si rivelano poi esiziali.

Tali comportamenti derivano dalle più svariate ragioni spesso quasi di natura culturale: si possono fare due esempi fra loro diversissimi, ma proprio accomunati da questo paradigma.

Nei nostri cantieri convivono ormai armonicamente anche molti operai extracomunitari i quali possono avere, banalmente, problemi linguistici e di comprensione dei comportamenti da tenere per poter operare in sicurezza sul luogo di lavoro.

In maniera analoga assistiamo a collaboratori esperti e qualificati i quali mostrano notevole ritrosia nel rispettare regole di lavoro diverse dalle loro stratificate “cattive” abitudini.

E’ errato pensare che solo la repressione, pur assolutamente doverosa, di comportamenti siffatti possa impedire la reiterazione di queste condotte: non solo gli strumenti in capo ai controllori sono minimi e non idonei a reprimere tutte le possibili violazioni, ma gli effetti di deterrenza non sarebbero certamente sufficienti a scoraggiare la reiterazione di questi comportamenti.

Diversamente è sul lato della prevenzione che si deve agire: questo significa innanzitutto CORRETTA E COSTANTE FORMAZIONE adeguata alle reali necessità aziendali. Tornando agli esempi precedenti, se l’azienda si serve di vari collaboratori stranieri, sarà opportuno ricorrere all’aiuto di interpreti, mediatori culturali ed altre figure che possano agevolare la comprensione di norme anche tecniche non sempre facilmente comprensibili.

E’ importante soffermarsi sull’aggettivo “costante” legato al tema della formazione poiché solo una continua attenzione alla corretta esecuzione delle regole lavorative può rappresentare lo strumento per addestrare i lavoratori a “buone” prassi ed al rifiuto di quelle “cattive”.

Nella stessa direzione si pone il tema dei flussi informativi da intendersi come continuo aggiornamento delle conoscenze e delle nozioni tecniche relative allo svolgimento della prestazione lavorativa e la loro trasmissione e comunicazione ai lavoratori.

Anche qui possono formularsi due esempi tra loro cumulabili: da un lato l’adozione ed implementazione dei MODELLI DI ORGANIZZAZIONE E GESTIONE (MOG)

ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300” nonché SISTEMI GESTIONE E CONTROLLO SICUREZZA SUL LAVORO (SGSL).

Proprio su questa ultima tematica, una recente ricerca INAIL attesta come il corretto utilizzo dei SGSL possa portare ad un risparmio medio, dovuto alla minore frequenza di incidenti ed a conseguenze meno gravi degli stessi, per un datore di lavoro di circa 55 mila Euro ed una diminuzione di costi per la collettività di circa 2 miliardi di Euro annui.

Da queste considerazioni possiamo trarre alcune conclusioni rilevanti: il vero cambio di paradigma si otterrà allorquando diventerà patrimonio comune l’idea per la quale l’investimento in prevenzione e sicurezza, lungi dall’essere una mera spesa, rappresenti, invece, uno strumento migliorativo per il datore di lavoro.

In questo senso le varie realtà coinvolte debbono operare un vero e proprio salto di qualità: dal lato datoriale e di tutti i soggetti che cooperano con i datori di lavoro nella predisposizione della attività lavorativa, bisogna valorizzate l’idea per la quale un lavoratore che possa operare in ottime condizioni lavorative, sarà maggiormente prestazionale dal punto di vista qualitativo e renderà pertanto la sua collaborazione più proficua anche nell’ottica imprenditoriale.

Congiuntamente a ciò si dovrà valorizzare il risparmio che tale opzione comporta con la riduzione già citata degli infortuni e dei costi connessi ed alla stessa stregua per una altrettanto significativa diminuzione del “turnover” del personale e di problematiche connesse con ritardi della prestazione lavorativa, ivi compresi eventuali provvedimenti giudiziari.

E’ in questo contesto che, allora, può intervenire il legislatore valorizzando e stimolando le attività sopra menzionate, non più in una logica schiettamente punitiva e repressiva, bensì di promozione di una cultura della prevenzione; ciò può avvenire con diverse modalità.

Senza pretesa di completezza ogni forma di beneficio fiscale per coloro i quali investano in SGSL o nella realizzazione di un MOG, ritualmente realizzato ed implementato, potrebbe favorire lo sviluppo di queste forme di controllo preventivo in seno alla prestazione lavorativa.

In maniera del tutto speculare, premiare, con diverse modalità, quegli enti che si sottopongano a certificazioni, controlli ed altre forme di verifica della corretta esecuzione della prestazione lavorativa può rappresentare un ulteriore incentivo per favorire iniziative similari. Salvo nuovi interventi dall’ottobre di quest’anno entrerà in vigore per alcuni specifici ambiti di lavoro – principalmente i cantieri nel settore edile

– il meccanismo della patente a punti che si innesta in un percorso simile a quello sopra delineato, cioè individuazione di requisiti minimi connessi al tema della prevenzione e sicurezza sul lavoro, senza i quali non si possa svolgere determinate attività.

Naturalmente sarà solo la prassi operativa che ci permetterà di rilevare se questa novella possa rappresentare un primo efficace segnale di quel cambio di paradigma di cui si è lungamente parlato in questo scritto oppure l’ennesima risposta “di pancia” del legislatore per placare le ire connesse ad eventi tragici occorsi sul nostro territorio.

*Avvocato in Monza

 

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