La “rinascita” delle co.co.co.

di Roberta Jacobone * 

Come è risaputo, il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183” ha profondamente rivisto la disciplina di tutti i contratti di lavoro,
ampliando e rafforzando il concetto di subordinazione come norma generale ed ordinaria applicabile ai diversi rapporti di lavoro. Viene introdotto il concetto di “etero-direzione” ed “etero-organizzazione” per definire una direzione ed un’organizzazione proveniente da fonte esterna, intesa come persona terza che dirige ed organizza lo svolgimento del lavoro, privando quindi il prestatore della propria autonomia.

In quest’ottica, risulta davvero difficile trovare spazio per un lavoro autonomo che non sia svolto in forma solo imprenditoriale o solo professionale, le figure inter- medie sono relegate ai margini di una normativa che le annovera tra quelle posizioni a rischio elevato. Tra queste figure si possono collocare i “nuovi” collaboratori, che in realtà nuovi non sono, ma ci riportano al passato e all’art. 409 del c.p.c. che cita da sempre “….i rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuati- va e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato.” L’abrogazione, ad opera dell’art. 52 del d.lgs. 81/2015, dei commi da 61 a 69-bis del d.lgs. 276/2003, ha segnato la scomparsa del progetto che fino al 24 giugno 2015 era la condizione necessaria, salvo alcune eccezioni, per poter stipulare i contratti di collaborazione. Il lato positivo di questa abrogazione è che il prestatore di lavoro autonomo non deve per forza essere vincolato ad un progetto e raggiungere un obiettivo predefinito. Il collaboratore prima era legato anche temporalmente a questo risultato atteso, tant’è che il contratto a progetto terminava al raggiungimento appunto del risultato medesimo. Per questo motivo, c’è anche chi ha valutato l’ipotesi che i contratti a progetto in corso, che continuano ad essere regolati dal d.lgs. 276/2003, potrebbero essere addirittura prorogati se l’obiettivo non è ancora stato raggiunto e necessita di ulteriore tempo. In effetti, l’art. 52 del d.lgs. 81/2015 non pone una scadenza precisa per i contratti a progetto (come invece stabilisce l’art. 53 per le associazioni in partecipazione con apporto di solo lavoro) poiché la natura del contratto stesso legava la prestazione appunto al raggiungi- mento del progetto medesimo e la scadenza predefinita poteva essere meramente indicativa. Solo ora il Ministero del lavoro, con la recente circolare n. 3 del 1° febbraio 2016, esplicita che “… i contratti a progetto potranno pertanto esplicare effetti fino alla loro scadenza …”, scadenza però che sin dall’origine poteva essere esclusivamente legata al raggiungimento del progetto.

Rimosso il vincolo del progetto, oggi il collaboratore può operare liberamente e senza limiti temporali, essendo la sua prestazione legata unicamente alla modalità di svolgimento della medesima. Infatti, una collaborazione può essere definita tale solo se non si concretizza in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione non sono organizzate dal committente, anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. Quindi, prima di stipulare un contratto di collaborazione è opportuno che il datore di lavoro risponda a tre semplici domande: le prestazioni sono esclusivamente personali e continuative? Sono organizzate da qualcun altro? Sono vincolate a tempi e luoghi definiti? Se la risposta è SI a tutte le domande, la prestazione rientra nell’ambi- to esclusivo del lavoro subordinato e nessun altro inquadramento sarebbe percorri- bile, senza che gli eventuali benefici siano vanificati dagli inevitabili rischi.

Chi in passato abbia instaurato un con- tratto a progetto, pur consapevole della sua “poca genuinità”, dal 1° gennaio può accedere alla stabilizzazione dei collaboratori sottoscrivendo un atto di concilia- zione presso una delle sedi ex art. 2113, comma 4 del codice civile oppure davanti alle commissioni di certificazione. La sanatoria prevede l’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di soggetti già parte di contratti di collabo- razione (ancorché cessati) con il beneficio dell’estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro. La procedura di stabilizzazione consente di avvalersi dell’esonero contributivo biennale in vigore per il 2016, al pari di coloro che hanno usufruito dell’esonero triennale assumendo il collaboratore entro la fine del 2015 e senza accedere ad alcuna stabilizzazione. In quest’ultimo caso, di fatto, è stato cessato un contratto di collaborazione per avviarne uno subordinato, lasciando però intatta la situazione pregressa che potrebbe comunque essere oggetto di accertamento ispettivo. Qualora, in tale sede, il rapporto di collaborazione venisse riqualificato come lavoro subordinato ex ante, ecco venire meno i requisiti che consenti- vano l’accesso all’esonero contributivo che andrà quindi disapplicato con conseguente recupero del pregresso, indebitamente fruito.

Rimanendo in tema ispettivo, Il Ministero del lavoro, con la circolare sopracitata, fornisce indicazioni operative al proprio personale in relazione ai “nuovi” collaboratori e, tra le righe, denota il confine tra autonomia ed etero-organizzazione, quando scrive che il collaboratore “….sia tenuto ad osservare determinati orari di lavoro e sia tenuto a prestare la propria attività presso luoghi di lavoro individuati dallo stesso committente….”. La differenza quindi tra collaborazione e lavoro subordinato può ricercar- si nell’imposizione del committente della modalità e dei luoghi di svolgimento della prestazione, che fa venire meno l’autonomia del collaboratore. Viceversa, se le parti concordassero in sede contrattuale le modalità di coordinamento necessarie per un corretto adempimento del rapporto, la predeterminazione consensuale di tempi e metodi non creerebbe pregiudizio alla genuinità della collaborazione. Una con- ferma in questa direzione sembrerebbe darla anche il disegno di legge di tutela del lavoro autonomo e istitutivo del “lavoro agile”, che andrebbe a modificare l’art. 409 del c.p.c. specificando che “… la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo tra le parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa.” Il rinvio esplicito all’accordo tra le parti sarebbe un passo avanti importante.

* Odcec Crema

 

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