Rassegna di Giurisprudenza

a cura dell’avv. Bernardina Calafiori *

Tribunale di Catania, 1 dicembre 2015, n. 39401 Associazioni sindacali – Repressione della condotta antisindacale – Presupposti– Attualità della condotta o dei suoi effetti – Esaurimento della singola condotta antisindacale – Irrilevanza

Provvedimento disciplinare adottato nei confronti di un RSA – Presunzione di antinsindacalità – Insussistenza

In tema di repressione della condotta antisindacale, ai sensi dell’art. 28 della legge n. 300 del 1970, il solo esaurirsi della singola azione lesiva del datore di lavoro non può precludere l’ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo ove questo, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti tuttora persistente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell’attività sindacale. Non è configurabile alcuna presunzione di antisindacalità nel licenziamento o in qualsiasi altro provvedimento disciplinare relativo ad un RSA, sicché occorre verificare se nel caso specifico i provvedimenti posti in essere siano tali da violare il bene tutelato dall’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori sub specie di libero esercizio dell’attività sindacale.

Il caso deciso con il provvedimento in epigrafe riguardava un ricorso ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, promosso dalla oo. ss. di categoria che denunciava che il datore di lavoro avrebbe tenuto un atteggiamento ritorsivo nei confronti di una RSA in ragione della sua affiliazione sindacale, comminandole numerosi provvedimenti disciplinari, e che il datore di lavoro avrebbe rimosso dalla bacheca sindacale alcuni comunicati sindacali e avrebbe provveduto alla “chiusura forzata della bacheca”. Veniva quindi richiesto al Giudice di accerta- re l’antisindacalità della condotta e ordinare la rimozione della condotta ritenuta lesiva della libertà sindacale. La società convenuta si costituiva in giudizio rilevando che i provvedimenti disciplinari comminati alla componente della RSA erano giustificati da inadempienze e negligenze della dipendente strettamente inerenti allo svolgimento dell’attività lavorativa; che la bacheca era stata chiusa dopo che era stata constatata la rimozione del codice disciplinare e che le chiavi della bacheca erano state messe a disposizione degli RSA, che dalla bacheca era stata rimossa solo una vecchia richiesta di assemblea sindacale che si era già regolarmente svolta (e che pertanto la comunicazione rimossa non era più attuale).

Il Giudice ha rigettato il ricorso proposto dalla oo. ss., condannando la stessa alla rifusione delle spese di lite alla società.

Nel vagliare la sussistenza o meno del requisito dell’attualità della pretesa condotta anti- sindacale, il Tribunale ha richiamato l’orientamento della Corte di Cassazione, riportato nella massima in epigrafe, in base al quale non è di per sé “l’esaurirsi della singola azione lesiva” o il lasso di tempo trascorso a poter far concludere de plano per l’inattualità della condotta, dovendosi invece valutare se la condotta denunciata, seppur pregressa ed in ipotesi isolata, sia o meno idonea a produrre effetti durevoli nel tempo, suscettibili di determinare un ostacolo o una restrizione della libertà sindacale (v. Cass. 12 novembre 2010, n. 23038; Cass. 6 giugno 2005, n. 11741).

Ciò premesso, il Giudice ha ritenuto nel merito l’insussistenza di condotta antisindacale, evidenziando che:

  • la bacheca era stata riaperta e resa accessibile più di un mese prima del deposito del ricorso, per cui al momento della proposizione del giudizio la pretesa condotta antisindacale era cessata e che “non sono stati forniti elementi di fatto da cui poter desumere la permanenza di effetti intimitadatori o il pericolo di reiterazione della condotta”;
  • che la società non aveva impedito l’affissione di comunicati sindacali nonostante la bacheca fosse chiusa a chiave e aveva messo a disposizione degli RSA le chiavi della bacheca.

Sotto altro profilo, con riferimento ai provvedimenti disciplinari a carico della RSA, il Giudice ha evidenziato che le contestazioni disciplinari si riferivano tutte a inadempienze relative allo svolgimento dell’attività lavorativa e che, di contro, non era stato fornito alcun elemento probatorio utile a dimostrare che i provvedimenti disciplinari fossero in qualche modo finalizzati ad impedire o ostacolare l’attività sindacale. Il Giudice ha quindi con- divisibilmente escluso che possa ritenersi sussistente una presunzione di antisindacalità dei provvedimenti disciplinari, incluso il licenziamento, adottato nei confronti di un membro della RSA. In mancanza di specifiche allegazioni e prove di un intento intimidatorio o ritorsivo il ricorso è stato quindi rigettato.

Tribunale di Milano, ordinanza del 1° agosto 2015 Estinzione del rapporto – Licenziamento– Social network – Giudizi offensivi pubblicati dal dipendente e rivolti al datore di lavoro – Giusta causa di licenziamento – Sussiste

Deve ritenersi sussistente la giusta causa di licenziamento inflitto al dipendente che sul suo profilo di un noto social network pubblica fotografie scattate durante l’orario di lavoro corredate da giudizi offensivi nei confronti del datore dovendosi ritenere che, essendo dette immagini accessibili a chiunque e, senz’altro, a tutta la cerchia delle conoscenze più o meno strette del lavoratore, ciascuno era perfetta- mente in grado di sapere che l’espressione di discredito era riferita alla società datrice, dovendosi escludere che possa trovare applica- zione la tutela di cui all’art. 18, comma 4 della legge 300/1970, così come riformato dalla legge Fornero, che vale nei casi in cui il licenziamento sia stato intimato per un fatto che rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili. La tutela di cui all’art. 18, comma 4, della Legge n. 300/1970 per il caso in cui il licenziamento sia stato intimato per un fatto che rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili opera solo avuto riguardo alle condotte per le quali i contratti collettivi e i codici disciplinari contemplano una sanzione conservativa, non una sanzione espulsiva: è la tipizzazione favorevole al lavoratore che vin- cola, in principio, il datore di lavoro e, nell’eventuale fase di impugnazione, il Giudice.

Per contro, in assenza di una espressa previsione legislativa, non possono ritenersi vincolanti le tipizzazioni delle ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo. L’art. 30, comma 3, Legge 183/2010 impone al Giudice di tener conto dei casi di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi, così come degli elementi e dei parametri fissati da tali contratti, ma fa salva la possibilità per lo stesso di ritenere sussistente la giusta causa di licenziamento a fronte di una condotta non espressamente contemplata dagli accordi sindacali.

Il caso deciso con l’ordinanza indicata in epigrafe riguardava il giudizio di impugnazione del licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore al quale era stato contestato di avere pubblicato su facebook foto scattate sul luogo di lavoro e commentate con frasi ingiuriose nei confronti del datore di lavoro.

Le foto risultavano “postate” in orario lavorativo. Al lavoratore era stato contestato altresì di avere effettuato da un personal computer aziendale numerosi accessi a siti internet “del tutto estranei all’attività lavorativa e nella quasi totalità dei casi di contenuto pornografico”. Esperita l’istruttoria e ritenuti provati i fatti commessi dal lavoratore, il Giudice ha rigettato il ricorso e dichiarato la legittimità del licenziamento.

Con riferimento alle foto pubblicate su facebook il Giudice ha evidenziato che le stesse erano state scattate nei locali aziendali durante l’orario di lavoro e che quindi erano provati l’allontanamento dal posto di lavoro e l’interruzione della prestazione.

Le frasi inserite dal lavoratore a commento delle stesse foto costituivano inoltre “un’ingiuria idonea, per le modalità con le quali è stata manifestata, a determinare una lesione dell’immagine aziendale”. Nelle motivazioni dell’ordinanza viene inoltre osservato che “quanto alla navigazione su siti pornografici non pare davvero potersi dubitare che un simile comportamento sia del tutto idoneo, anche di per sé solo considerato, a determinare un’irrimediabile lesione del vincolo fiduciario”. Viene inoltre evidenziata la gravità del fatto che l’accesso ai siti web sia stata realizzato durante l’orario di lavoro, con conseguente interruzione della prestazione, abbandono del posto di lavoro e con l’utilizzo di strumenti aziendali estranei alle mansioni di competenza. Il Giudice si è anche soffermato sulle previsioni disciplinari del contratto collettivo applicato, precisando che in base alle previsioni dell’art. 18, comma 4, dello Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla cd. Riforma Fornero, il licenziamento è da ritenersi illegittimo nelle ipotesi in cui sia stato intimato a fronte di condotta per la quale il contratto collettivo o il codice disciplinare preveda espressamente una sanzione conservativa.

Il Giudice inoltre deve tenere conto delle tipizzazioni delle ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi, ma rimane salva la possibilità del medesimo di dichiarare la legittimità del licenziamento a fronte di una condotta non espressamente contemplata dagli accordi sindacali.

Tribunale di Milano, sentenza 2 marzo 2015, n. 456. Indici rivelatori della subordinazione- Assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, di controllo e disciplinare del datore di lavoro- Altri indici sussidiari – Rilevanza 

E’ possibile ritenere accertata la natura subordinata di un rapporto di lavoro quando sia provato l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro. In via sussidiaria ma tra loro concorrente quantomeno per una valutazione in via presuntiva, possono costituire indici rivelatori della subordinazione la collaborazione e l’inserimento continuativo del lavoratore stesso nell’impresa, il vincolo di orario, la forma della retribuzione, l’assenza di rischio. Il caso deciso con la sentenza in epigrafe riguardava un gruppo di volontari che avevano prestato la propria attività a favore di un’associazione che svolgeva un servizio di trasporto di de- genti in ambulanza. I volontari sostenevano che la loro attività sarebbe stata in realtà remunerata ed invocavano l’art. 2 della legge 11 agosto 1991 n. 266, secondo cui “l’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario”, ed inoltre “la qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l’organizzazione di cui fa parte”. I ricorrenti sostenevano altresì che l’attività veniva svolta secondo le modalità tipiche della subordinazione ed era organizzata in turni rigidamente predeterminati che essi erano tenuti a rispettare. Secondo la tesi sostenuta dai ricorrenti, inoltre, non possono ricorrere gli estremi della prestazione di volontariato nel caso in cui, per l’attività espletata, siano state corrisposte somme di danaro, essendo onere della parte convenuta in giudizio per il riconoscimento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato dimostrare che la loro corresponsione sia avvenuta, invece, a titolo di rimborso spese, non superando l’ammontare di queste e richiamavano a tal proposito l’orientamento giurisprudenziale già espresso da Cass. 18 aprile 2013, n. 9468.

Il Giudice ha respinto tale tesi difensiva affermando che in ogni caso i ricorrenti rimanevano onerati della prova della sussistenza degli elementi tipici della subordinazione.

Veniva rilevato che in ogni caso i compensi documentati risultavano tutti a titolo di rimborso spese e gli stessi compensi venivano ritenuti compatibili con la misura di un rimborso spese giornaliero alla luce della prestazione resa. Dall’istruttoria svolta emergeva inoltre che a fronte della richiesta da parte dell’associazione di espletare il servizio ciascuno era libero di dare la propria disponibilità o meno, ed in caso di impossibilità del singolo operatore l’associazione provvedeva a sostituirlo senza problematica alcuna. Da ciò si deduceva quindi la non obbligatorietà della prestazione resa dai ricorrenti in favore dell’associazione convenuta. Il giudice ha quindi rigettato il ricorso ritenendo non raggiunta la prova della sussistenza degli indici tipici della subordinazione.

* sociofondatore Studio Legale Daverio & Florio

image_pdfimage_print