LA DEFISCALIZZAZIONE PER LE MANCE DEI CLIENTI

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di Giovanna Alvino* e Mario Fusco*

La Legge di Bilancio 2023 introduce un regime fiscale specifico relativamente alle somme corrisposte a titolo di liberalità (mance), al personale impiegato nel settore ricettivo e della somministrazione di pasti e bevande, assoggettandole a un’imposta sostituiva dell’Irpef e delle relative addizionali territoriali con aliquota del 5 per cento.

Il pregio della nuova disciplina non consiste solo nel definire la fattispecie a livello giuridico e applicativo, ma anche nel facilitare il rispetto della legalità senza penalizzare troppo il percipiente. Anche in giurisprudenza l’imponibilità di queste somme non era del tutto scontata, nonostante la sentenza della Cassazione 26512/2021 le avesse ricomprese nel reddito di lavoro dipendente; con tale sentenza, infatti la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, aveva classificato come reddito da lavoro dipendente quanto percepito, a titolo di liberalità, dal dipendente, giacché ritenuto nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito, fissata dall’articolo 51, primo comma, del Tuir, assoggettandolo conseguentemente a tassazione secondo le ordinarie aliquote Irpef. Secondo la Cassazione infatti le mance vanno dichiarate e ciò che è incassato come compenso supplementare deve essere inserito all’interno della dichiarazione dei redditi. Insomma siamo innanzi ad un vero e proprio obbligo di natura fiscale che grava sul contribuente- lavoratore. Nel Tuir viene indicato che il reddito di lavoro subordinato è formato “da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.

Sintetizzando, nel testo post riforma Irpef del 2004 è inclusa una nozione onnicomprensiva di reddito da lavoro dipendente, non più relativa al mero salario conseguito dal lavoratore. Per questo motivo le mance vanno tassate, proprio come accade ad esempio per il lavoro straordinario. Se andiamo a ritroso negli anni siamo davanti ad una vera e propria inversione a U, infatti l’analisi dei lavori preparatori alla riforma introdotta con il d.lgs. 314/1997 poteva farle ritenere escluse da tassazione, con l’eccezione delle mance ai croupier, la cui corresponsione rientra in un preciso obbligo datoriale, legalmente riconosciuto dall’articolo 4 del d.p.r. 1420/1971 e giurisdizionalmente tutelabile, le mance non sembravano costituire reddito da lavoro dipendente, secondo la relazione della Commissione parlamentare consultiva, a proposito della citata legge delega. Per la loro peculiare natura aleatoria, infatti, sarebbero potute rimanere estranee alla definizione di “retribuzione”, tanto che, le stesse, non vengono ricomprese nella base imponibile contributiva previdenziale (si vedano le sentenze della Cassazione 11502/1995, 8598/1992 e 5520/2001), sono riscosse direttamente dal cliente e non hanno alcuna relazione con il datore di lavoro, il quale non può neppure determinarne l’entità (Ctr Cagliari, sez. Sassari, 65/8/2014). Viceversa, le mance dei croupier sono già normate, essendo imponibili nella misura del 75%, secondo quanto previsto dall’articolo 51, comma 2, lettera i) del Tuir, e godono, cioè, di una esenzione parziale del 25 per cento. La nuova disciplina (articolo 1, commi 58-62), dunque, mette ordine, anche se solo nel settore privato e a favore dei titolari di reddito di lavoro dipendente di importo non superiore a 50mila euro. Per tali lavoratori le mance costituiscono redditi di lavoro dipendente e, salva espressa rinuncia scritta, sono soggette a un’imposta sostitutiva sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali con un’aliquota del 5%, entro il limite del 25% del reddito percepito nell’anno relativamente alle prestazioni di lavoro. Tali somme sono escluse dalla retribuzione imponibile ai fini del calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale e dei premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattieprofessionalienonsonocomputatenelcalcolo del trattamento di fine rapporto, ma fanno cumulo con gli altri redditi di lavoro per il riconoscimento della spettanza o per la determinazione di deduzioni, detrazioni o benefìci di qualsiasi titolo, anche di natura non tributaria. Per l’accertamento, le sanzioni e il contenzioso si applicano, in quanto compatibili, le ordinarie disposizioni in materia di imposte dirette.

In attesa di chiarimenti, il riferimento reddituale dei 50mila euro dovrebbe essere quello relativo all’anno precedente, mentre la formula utilizzata dal legislatore «anche attraverso mezzi di pagamento elettronici, riversate ai lavoratori» dovrebbe essere letta estensivamente, sia per le somme ricevute in denaro, sia per quelle riscosse dai lavoratori anche se non fatte transitare per il datore di lavoro. Infine, lo sforamento del 25% potrebbe avere una connotazione di franchigia e non annullare l’agevolazione se si supera tale plafond.

*Odcec Napoli

 

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