Corte Costituzionale: per la reintegra dell’art. 18 non serve più che l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento sia manifesta

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di Paolo Galbusera e Andrea Ottolina*

La Corte Costituzionale ha depositato il 19 maggio 2022 l’importante sentenza n. 125, con la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 co. 7 secondo periodo della L. 300/1970, nella parte in cui tale norma richiedeva – ai fini dell’applicazione della tutela reintegratoria di cui al co. 4 (reintegrazione nel posto di lavoro e indennità risarcitoria di massimo 12 mensilità) in favore del lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo – che il Giudice accertasse la manifesta infondatezza del fatto posto alla base del recesso.

La dichiarazione di incostituzionalità ha quindi colpito la sola parola “manifesta”, riferita appunto all’insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per ragioni economiche, produttive e organizzative. Secondo la Corte, infatti, tale requisito sarebbe del tutto indeterminato, privo di criteri direttivi e di qualsivoglia fondamento empirico, e pertanto demanderebbe al Giudice una valutazione totalmente discrezionale, con il rischio di conseguenti ingiustificate disparità di trattamento.

Oltre a ciò, la Corte aggiunge che la disposizione censurata si rifletteva sull’andamento del processo, complicandolo e aggravando in modo irragionevole e sproporzionato il già complesso accertamento circa la sussistenza o insussistenza di un fatto, aggiungendo l’ulteriore verifica della più o meno marcata graduazione dell’eventuale insussistenza dello stesso.

Ora che è caduta la distinzione tra insussistenza e manifesta insussistenza del fatto posto alla base dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, come si regoleranno i Giudici del Lavoro nell’applicazione del co. 5 dell’art. 18 (tutela risarcitoria tra 12 e 24 mensilità per i casi in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo), ovvero del co. 4 (tutela reintegratoria per i casi in cui venga accertata l’infondatezza, non più manifesta, del fatto)?

La Corte Costituzionale, nella sentenza in commento, fornisce un’indicazione in tal senso: nell’ambito del licenziamento economico, il richiamo all’insussistenza del fatto vale a circoscrivere la reintegrazione ai vizi più gravi, che investono il nucleo stesso e le connotazioni salienti della scelta imprenditoriale, mentre nell’area della tutela risarcitoria rientrerebbero tutte quelle ipotesi in cui il licenziamento è illegittimo per aspetti che esulano dal fatto stesso, quali, ad esempio, il mancato rispetto dei principi di buona fede e correttezza nella scelta dei lavoratori da licenziare, quando questi appartengono a personale omogeneo e fungibile.

Certo è che la decisione della Corte Costituzionale di eliminare il requisito della manifesta infondatezza avrà come effetto, nelle cause di impugnazione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo soggetti all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, quello di innalzare il rischio di condanna alla reintegra per i datori di lavoro. Per questa ragione, nel caso si voglia procedere con un simile licenziamento, per esempio motivato da ragioni riorganizzative, sarà ancora più importante fare un’attenta valutazione sulle ragioni poste alla base del recesso, verificare la loro effettività e congruenza e, infine, articolarle in modo chiaro ed esaustivo nella lettera di licenziamento, in modo da scongiurare il più possibile il rischio che il Giudice possa ritenere insussistente il giustificato motivo oggettivo e, quindi, reintegrare il lavoratore ai sensi dell’art. 18 co. 4 L. 300/1970.

*Avvocato in Milano

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