Illegittimità dei contratti a termine acausali in caso di esigenze stabili e durevoli: un’interpretazione isolata ma potenzialmente dirompente del Tribunale di Firenze
di Paolo Galbusera* e Andrea Ottolina*
Negli ultimi anni i contratti a tempo determinato sono stati uno degli argomenti più discussi nell’ambito del mondo del lavoro, a partire dalla sostanziale liberalizzazione dell’utilizzo di tale forma contrattuale avvenuta nel 2014, con l’introduzione del concetto di acasualità da parte del d.l. 34/2014 (c.d. Decreto Poletti), sino ad arrivare all’ultima modifica introdotta dal d.l. 87/2018 (c.d. Decreto Dignità), che ha sostanzialmente riportato in vita le causali e ha provocato non pochi grattacapi alle aziende che in quel momento si trovavano a valutare la possibile proroga di rapporti a termine in scadenza oltre i 12 mesi di durata complessiva.
Come se non bastasse la già complessa gestione della questione, recentemente una sentenza di merito ha dato una nuova interpretazione della disciplina dei contratti a termine, che al momento sembra non aver ancora avuto particolare presa all’interno delle Sezioni Lavoro dei Tribunali italiani, ma che, in linea teorica, potrebbe rappresentare l’ennesimo stravolgimento di quelle (poche) certezze che si ritenevano ormai acquisite sull’argomento.
Stiamo parlando nello specifico della sentenza del Tribunale di Firenze n. 749/2019, depositata lo scorso 26 settembre dal Giudice del Lavoro Dr.ssa Davia, che, nel giudicare la legittimità dei termini apposti ad una serie di contratti acausali intercorsi tra il ricorrente e Poste Italiane (un primo contratto durato, proroghe incluse, dal febbraio 2015 al giugno 2016 e un secondo contratto dall’ottobre 2016 al gennaio 2017, per un totale di circa 20 mesi complessivi di rapporto), ne ha dichiarato la nullità, in quanto gli stessi sarebbero stati utilizzati per soddisfare esigenze durevoli e stabili del datore di lavoro e non esigenze di carattere transitorio.
Da sottolineare che entrambi i contratti a tempo determinato oggetto del giudizio, così come le relative proroghe, rispettavano dal punto di vista formale la normativa applicabile al momento della loro stipulazione (il d.lgs. 368/2001, nella versione modificata dal d.l. 34/2014, e il d.lgs. 81/2015), che non richiedeva l’indicazione di alcuna causale giustificatrice dell’apposizione del termine, imponendo solo limiti quantitativi e di durata.
Nonostante ciò, la sentenza del Tribunale di Firenze ne ha dichiarato la nullità, in quanto essi sarebbero stati “stipulati per soddisfare esigenze stabili e durevoli”, e li ha convertiti in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, condannando la datrice di lavoro al pagamento dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 28 co. 2 d.lgs. 81/2015, quantificata in dieci mensilità.
Per motivare la propria decisione, il Giudice ha ritenuto di interpretare la normativa italiana, e nello specifico il passaggio, richiamato sia dal d.lgs. 368/2001 all’art. 1 che dal d.lgs. 81/2015 all’art. 19, secondo cui “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”, facendo riferimento ai principi stabiliti dalla normativa europea (nello specifico la direttiva comunitaria n. 1999/70/CE) e la giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di lavoro a tempo determinato, secondo i quali questa tipologia contrattuale sarebbe ammissibile esclusivamente per soddisfare esigenze transitorie.
Esigenze stabili e durevoli di occupazione, prosegue la sentenza in esame, dovrebbero quindi essere soddisfatte esclusivamente tramite contratti di lavoro a tempo indeterminato, con la conseguenza che, in tali circostanze, la sottoscrizione di contratti a termine costituirebbe un abuso compiuto in violazione della legge, dal quale deriverebbe la nullità della clausola appositiva del termine ai sensi dell’art. 1418 cod. civ.
Dal punto di vista dell’onere probatorio, la sentenza precisa che è il lavoratore a dover dimostrare che i contratti a tempo determinato in realtà sarebbero stati stipulati per sopperire ad esigenze stabili e durature del datore di lavoro.
E’ subito palese la portata potenzialmente dirompente dell’interpretazione del Giudice fiorentino, in base alla quale, potenzialmente, tutti i contratti a termine acausali, seppur stipulati nel rispetto dei limiti quantitativi e temporali fissati dalla normativa in vigore al momento della loro sottoscrizione, potrebbero essere contestati e annullati in sede giudiziale, all’esito di una valutazione del tutto discrezionale sulle esigenze giustificatrici dell’apposizione del termine, pur in assenza di una specifica disposizione legislativa che ne preveda la necessaria sussistenza.
Attualmente, tuttavia, quello descritto è da considerarsi solo un rischio teorico, in quanto la sentenza del Tribunale di Firenze in argomento è da considerarsi un caso isolato, valido esclusivamente per la specifica vicenda oggetto della decisione, e non risultano al momento decisioni analoghe da parte di altri Giudici del lavoro.
* Avvocato in Milano – Galbusera & Partners