Patto di non concorrenza e relativo compenso: l’orientamento della giurisprudenza si evolve

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di Paolo Galbusera e Andrea Ottolina*

Ai sensi dell’art. 2125 cod. civ., il patto di non concorrenza è quel patto con il quale viene limitato lo svolgimento dell’attività del lavoratore per un periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. Per essere valido, un simile patto deve risultare da atto scritto, deve contenere il vincolo imposto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo e infine deve prevedere un corrispettivo in favore del prestatore di lavoro.

E proprio il tema del corrispettivo è uno degli aspetti più delicati e discussi in materia di patto di non concorrenza e, in particolare, la questione relativa alla sua congruità rispetto alla temporanea limitazione della libertà del lavoratore nel poter utilizzare le proprie capacità e competenze professionali. L’art. 2125 cod. civ. infatti, non fornisce alcun elemento utile alla quantificazione del compenso, rimettendo all’autonomia delle parti la determinazione della sua misura.

Sull’argomento, quindi, è intervenuta la giurisprudenza, la quale ha fissato il principio secondo cui il corrispettivo del patto di non concorrenza deve essere congruo in relazione all’oggetto, alla durata e all’ampiezza territoriale del vincolo di non concorrenza in capo al lavoratore. In mancanza di tale requisito di congruità del corrispettivo, il patto è da considerarsi nullo.

Nel silenzio del legislatore, la giurisprudenza ha riconosciuto autonomia alle parti anche nella definizione delle modalità di versamento del corrispettivo. In questo senso, in base alla prassi sviluppatasi nel tempo, le principali modalità utilizzate sono a) il pagamento di un importo fisso corrisposto alla cessazione del rapporto di lavoro; b) il pagamento di un importo fisso mensile, corrisposto nel corso del rapporto di lavoro in aggiunta alla normale retribuzione.

Ebbene,   proprio   la   modalità   di   erogazione   del compenso in corso di rapporto è stata ed è tutt’ora oggetto di ampio dibattito giurisprudenziale. Il punto di partenza della discussione, dato per pacifico, è che, nel silenzio dell’art. 2125 cod. civ., per individuare i limiti di validità del patto di non concorrenza stipulato tra le parti occorre far riferimento alle regole generali in  materia  di  contratti  e  in  particolare  all’art.  1346 cod. civ., secondo cui l’oggetto del contratto, oltre ad essere  possibile  e  lecito,  deve  essere  determinato o  determinabile.  Ed  è  proprio  sul  concetto  di determinabilità   del   compenso   che   si   registra   il contrasto giurisprudenziale, in particolare tra i giudici di merito e di legittimità.

Su questo punto, infatti, la maggior parte dei Giudici di merito, in particolare quelli del foro milanese, ritiene che la previsione del pagamento di un importo mensile, quantificato in misura fissa o in percentuale rispetto alla retribuzione, corrisposto durante la vigenza del rapporto di lavoro, rende invalido il patto di non concorrenza, in quanto tale modalità di erogazione, da un lato, introduce una variabile  legata  alla  durata  del  rapporto  di  lavoro, che conferisce al patto un inammissibile elemento di aleatorietà  e  indeterminatezza  e,  dall’altro,  facendo dipendere  l’entità  del  corrispettivo  esclusivamente dalla durata del rapporto, finisce di fatto per attribuire a tale corrispettivo la funzione di premiare la fedeltà del lavoratore, anziché di compensarlo per il sacrificio derivante  dalla  stipulazione  del  patto  stesso  (cfr. da  ultimo  Tribunale  di  Milano,  sent.  n.  1189  del 26.05.2021 est. Dr.ssa Saioni). Questa interpretazione è condivisa anche dalla Corte d’Appello di Milano, la quale ha ancora di recente ribadito che dall’indeterminatezza sopra individuata discende la nullità del patto di non concorrenza (Corte. App. Milano, sent. n. 1086 del 29.03.2021, Giudice Rel. Dr. Trentin).

La Corte di Cassazione invece, ha da sempre avuto un approccio più possibilista circa la legittimità della modalità di erogazione del compenso in corso di rapporto, confermando ancora di recente tale orientamento. Secondo i Giudici di legittimità, infatti, dire che un corrispettivo è variabile in relazione alla durata del rapporto di lavoro, non significa affatto che esso non sia determinabile in base a parametri oggettivi, atteso che si ha determinabilità quando sono indicati, anche per relationem, i criteri in base ai quali si fissa la prestazione, così sottratta al mero arbitrio (cfr. Cass. sent. n. 5540 dell’1.03.2021).

Lo stesso principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con la recentissima sentenza n. 23418 del 25.08.2021, secondo la quale addirittura il pagamento del compenso in costanza di rapporto meglio contempererebbe gli interessi di entrambe le parti. Con tale modalità di erogazione, infatti, il corrispettivo riconosciuto al lavoratore è destinato ad incrementarsi in funzione sia della durata del rapporto di lavoro, sia

dei naturali prevedibili aumenti della retribuzione, realizzando così un sostanziale ed effettivo equilibrio economico con l’obbligazione negativa a carico del lavoratore stesso.

Secondo la Cassazione, quindi, la variabilità in aumento del corrispettivo esclude la sua indeterminabilità e rende quindi valido il patto di non concorrenza così strutturato. Ciò non toglie che il medesimo corrispettivo debba comunque essere congruo rispetto al sacrificio imposto al lavoratore, ma questo è un aspetto che può essere valutato solo ex post, ossia al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Per questo motivo, nel momento in cui si decida di aderire all’interpretazione della Corte di Cassazione e si sottoscriva un patto d non concorrenza che prevede il pagamento del compenso in corso di rapporto, si ritiene prudenzialmente opportuno, al fine di evitare il rischio di declaratoria della sua nullità sotto il profilo della congruità, inserire in tale patto la previsione di un valore minimo del compenso complessivo riconosciuto al lavoratore, che verrà eventualmente conguagliato al termine del rapporto nel caso questo non sia durato a sufficienza per coprire l’intero importo base concordato tra le parti.

* Avvocato in Milano – Galbusera & Partners

 

 

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