Verbale di conciliazione in sede sindacale ed effettiva assistenza al lavoratore CASS. CIV. SEZ. LAV. 9 GIUGNO 2021, N. 16154

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di Bernardina Calafiorie Alessandro Daverio*

Verbale di conciliazione in sede sindacale – impugnabilità – esclusione – effettiva assistenza – presenza rappresentante sindacale

«In tema di atti abdicativi di diritti posti in essere dal lavoratore subordinato, le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti previsti da disposizioni inderogabili di leggi o di contratti collettivi e contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale non sono impugnabili, a patto che l’assistenza prestata dai rappresentanti sindacali al lavoratore sia stata effettiva, e ciò in quanto deve potersi ritenere che lo stesso sia stato posto nella condizione di comprendere a quali diritti rinunciare e in quale misura.

In concreto, la presenza del sindacalista al momento della conciliazione lascia presumere un’adeguata assistenza, anche in ragione del conferimento di un mandato implicito» 

Come noto, l’art. 2113 prevede che le rinunce e le transazioni disposte dal dipendente non siano valide se riguardano diritti derivanti da disposizioni inderogabili di legge o di contratto collettivo. Tuttavia, la stessa norma prevede comunque un termine a pena di decadenza (6 mesi) entro il quale l’atto che contiene le rinunce debba essere necessariamente impugnato per invocarne la nullità. A tale stringente regime di invalidità (e di impugnazione) sono sottratte le transazioni (e le rinunce) ove siano intervenute in una delle sedi di cui al comma 6 dell’art. 2113 cit.

Nella prassi, le sedi sindacali assumono un ruolo preminente per la sottoscrizione di verbali di conciliazione (di natura spesso “tombale”) tra dipendente e datore di lavoro, contenti molteplici rinunce del dipendente. Con orientamento ormai consolidato, la Corte di Cassazione ritiene, tra l’altro, che l’inoppugnabilità di tali verbali debba altresì essere condizionata al requisito della “effettiva assistenza” da parte del sindacalista al lavoratore, nella predetta sede sindacale. Questi – secondo l’orientamento in questione – dovrebbe essere messo nelle condizioni di conoscere la natura abdicativa delle rinunce e del valore complessivo del verbale da sottoscrivere.

Nel caso della sentenza in commento un dipendente e il suo datore di lavoro nel 2009 avevano sottoscritto un verbale di conciliazione “tombale” che prevedeva la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e la corresponsione di un incentivo all’esodo a fronte della rinuncia da parte del dipendente ad ogni pretesa derivante dal rapporto medesimo. Il dipendente aveva invece richiesto al Giudice del Lavoro di Milano il pagamento di alcune differenze retributive a titolo di lavoro straordinario. Tale domanda si fondava sul presupposto che in occasione del verbale sottoscritto in sede sindacale, non fosse stata fornita una effettiva assistenza al lavoratore da parte del sindacalista ivi presente, che non avrebbe potuto così comprendere la effettiva portata delle proprie rinunce.

In particolare, la prova della mancata “effettiva” assistenza sarebbe stata che il sindacalista non era persona di fiducia e comunque conosciuta dal dipendente e che comunque non avrebbe dato informazioni specifiche.

I Giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) rigettavano le domande del dipendente, il quale proponeva ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte confermando le decisioni dei precedenti gradi ha affermato alcuni interessanti principi in materia. In primo luogo, ha confermato la necessità di una effettiva assistenza in occasione della sottoscrizione dei verbali di conciliazione in sede sindacale.

Ciò in quanto, secondo la Corte sarebbe “idonea a sottrarre il lavoratore a quella condizione di inferiorità, che, secondo la mens legis, potrebbe altrimenti indurlo ad accordi svantaggiosi”.

La Corte ha poi specificato che per realizzare lo scopo anzidetto possa essere sufficiente l’idoneità del rappresentante sindacale. Ad avviso della stessa Corte infatti: “la compresenza del predetto [sindacalista] e dello stesso lavoratore al momento della conciliazione lascia presumere l’adeguata assistenza del primo, chiamato a detto fine a prestare opera di conciliatore”.

Pertanto, secondo la pronuncia è sufficiente la presenza contestuale di sindacalista e dipendente per garantire l’inoppugnabilità degli accordi intervenuti nella sede sindacale, senza ulteriori accertamenti.

Detto principio, di certezza del diritto, pare senz’altro più rispondente alla lettera della norma (art. 2113 cit.).

In concreto, tuttavia, gli orientamenti riguardo l’effettività dell’assistenza sono più diversificati e occorre sempre prestare attenzione alle modalità di sottoscrizione degli accordi di conciliazione.

 

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