È LEGITTIMO IL TRASFERIMENTO AD ALTRA SEDE DEL LAVORATORE CHE USUFRUISCE DEI PERMESSI EX L. 104/1992 IN CASO DI SOPPRESSIONE DEL POSTO DI LAVORO

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di Bernardina Calafiori e Michele Pellegatta*

Un dipendente impugnava giudizialmente il provvedimento con cui il datore di lavoro aveva disposto il di lui “trasferimento da Ravenna a Forlì” chiedendo che venisse accertato il suo diritto a rendere la prestazione lavorativa “presso gli stabilimenti e gli uffici siti nel territorio del Comune di Ravenna, in quanto assistente con continuità il padre disabile ai sensi dell’art. 33, comma 5, legge n. 104/1992”. 

Il Tribunale di Ravenna prima e la Corte d’appello di Bologna poi confermavano la legittimità del provvedimento aziendale.

La Corte di merito, in particolare, facendo propri i principi ribaditi dalla Corte di Cassazione (Cass. n. 24015/2017), riteneva “provati dal datore di lavoro l’effettività delle ragioni tecniche, organizzative e produttive del trasferimento, insuscettibili di essere diversamente soddisfatte e il rifiuto dell’appellante di un’offerta di una posizione lavorativa alternativa a Ravenna”. 

Avverso detta sentenza il lavoratore proponeva ricorso per cassazione.

Con la sentenza n. 33429 pubblicata l’11 novembre 2022 la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore.

La sentenza, nel confermare il ragionamento della Corte d’appello di Bologna, contesta innanzitutto l’assunto del ricorrente laddove

“propugna in astratto la piena sovrapposizione fra il cd. obbligo di repêchage e i limiti al trasferimento del lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, di cui all’art. 33, comma 5, l.104/1992”.

Sulla scorta del precedente delle SS.UU. con la sentenza n. 16102/2009, la Corte rileva che “la n.104/1992, art. 33, comma 5 non configura, in generale un diritto assoluto e illimitato, poiché esso può essere fatto valere allorquando, alla stregua di un equo bilanciamento fra tutti gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive ed organizzative del datore di lavoro”.

È pur vero che la norma di legge richiamata non prevede l’inciso “ove possibile” laddove parla del trasferimento,

ma secondo la Suprema Corte la “la scelta operata dal legislatore significa soltanto che in detta ipotesi l’interesse della persona disabile prevale sulle ordinarie esigenze produttive e organizzative del datore di lavoro, ma non esclude che il medesimo interesse pure prevalente […] debba conciliarsi con altri interessi rilevanti”.

E la giurisprudenza di legittimità, sul punto, ha individuato situazioni di fatto “riconducibili in via sistematica all’art. 2013 c.c., che si distinguono dalle ordinarie esigenze di assetto organizzativo, quali la soppressione del posto” che, per la particolarità delle esigenze sottese a dette situazioni – riconducibili “a valori di rilevo costituzionale” – determina “la inapplicabilità, in caso di soppressione del posto di lavoro […] della tutela di cui alla legge 104/1992, art. 33, comma 5”. 

Lasentenza, infine, concludeilproprioragionamento rilevando come “alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale sopra richiamato” la tutela rafforzata cui ha diritto

“il lavoratore che assista con continuità il familiare invalido opera nei confronti delle ordinarie esigenze tecniche, organizzative e produttive, legittimanti la mobilità con il limite della soppressione del posto o di altre situazioni di fatto insuscettibili di essere diversamente soddisfatte”.

Tale era la situazione nel caso concreto esaminato dalla Corte territoriale, che era stata ritenuta provata unitamente al rifiuto del lavoratore al trasferimento, di qui il rigetto del ricorso del lavoratore.

* Avvocato Studio Legale Daverio & Florio

 

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