LA OMESSA O INFEDELE DENUNCIA MENSILE ALL’INPS CON MODELLI DM10 CIRCA I RAPPORTI DI LAVORO E LE RETRIBUZIONI EROGATE INTEGRA EVASIONE CONTRIBUTIVA E NON SEMPLICE OMISSIONE CONTRIBUTIVA

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di Bernardina Calafiori e Alessandro Montagna*

Con la sentenza n. 20446 del 2.03.2022, pubblicata, mediante deposito in cancelleria, in data 24.06.2022, la Suprema Corte, dando continuità ad un orientamento invalso – e, prima della sentenza sopra citata, ribadito anche da Cass. 25.08.2015 n. 17119 – ha enunciato un importante principio di diritto in tema di obblighi contributivi verso le gestioni previdenziali e assistenziali.

Secondo la Suprema Corte, infatti, l’omessa o infedele denuncia mensile all’INPS attraverso i modelli DM10, circa i rapporti di lavoro e le retribuzioni erogate, integra una vera e propria “evasione contributiva” – quale prevista dall’art. 116, comma 8, lett. b), della Legge n. 388 del 22.12.2000, a mente del quale “in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30 per cento; la sanzione civile non può essere superiore al 60 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge” – e non già la meno grave fattispecie della “omissione contributiva”, tipizzata nella lettera a) della medesima norma (art. 116, comma 8, della Legge n. 388 del 22.12.2000).

A tale conclusione, invero, la Suprema Corte è pervenuta facendo riferimento ad una presunzione relativa – ossia: suscettibile di essere superata mediante prova in senso contrario – in base alla quale deve presumersi una finalità datoriale di occultamento dei dati, soprattutto in caso di reiterazione dell’omissione e/o dell’imprecisione delle comunicazioni concernenti lo svolgimento dell’attività lavorativa all’ente titolare del rapporto contributivo – sicché grava sul datore di lavoro l’onere di provare l’assenza d’intento fraudolento.

Il ragionamento svolto dalla Suprema Corte per addivenire ad una tale conclusione è logicamente fondato su un’argomentazione stringente.

Al riguardo, la Suprema Corte ha opportunamente messo in luce che, ai fini della possibilità di configurare un occultamento della base contributiva e, dunque: ai fini dell’integrazione della fattispecie di “evasione contributiva” (art. 116, comma 8, lett. b, della Legge n.388 del 22.12.2000) non è necessario che manchi qualsivoglia elemento documentale che renda possibile l’eventuale accertamento della posizione lavorativa o delle retribuzioni.

Ben diversamente, a detta della Suprema Corte, è sufficiente, a tal fine, che la denuncia obbligatoria sia mancata o incompleta o non conforme al vero, posto che, in tal modo, l’Ente previdenziale di riferimento non viene messo in condizione di avere contezza dei presupposti di fatto e di diritto sottesi alla corretta determinazione della base imponibile: con la conseguenza, in definitiva, che l’omissione o l’infedeltà della denuncia “ove non meramente accidentale, episodica o strettamente marginale, deve considerarsi di per sé sintomatica della volontà di occultare i rapporti e le retribuzioni, stante l’ovvia possibilità che la mancanza di successivi accertamenti o riscontri nell’arco temporale dei termini prescrizionali consentano de facto ai soggetti obbligati di sottrarsi totalmente o parzialmente all’adempimento dell’obbligo contributivo”.

Di qui, dunque, il principio di diritto sopra enunciato.

* Avvocato Studio Legale Daverio & Florio

 

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