L’OBBLIGO DI CUI ALL’ART. 2087 C.C. DEVE RITENERSI CORRETTAMENTE ADEMPIUTO DA PARTE DEI DATORI DI LAVORO CHE ABBIANO APPLICATO LE PRESCRIZIONI E LE MISURE CONTENUTE NEI PROTOCOLLI SUI RISCHI DI CONTAGIO COVID

,

 

di Bernardina Calafiori e Eleonora Ilario*

Con la sentenza n. 47904 del 1° dicembre 2023, la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che l’obbligo di cui all’art. 2087 c.c. deve ritenersi correttamente adempiuto da parte dei datori di lavoro che abbiano applicato le prescrizioni e le misure contenute nei protocolli sui rischi di contagio covid.

Nel caso in esame un datore di lavoro privato veniva imputato perché nel punto vendita di una catena di supermercati aveva omesso di:

  • fornire ai dipendenti i dispositivi di protezione individuale conformi e  adeguati  al  rischio derivante  dal  virus  (nella  specie,  le  dd. mascherine FFP2);
  • adottare strutture idonee a garantire una distanza interpersonale superiore al metro tra i lavoratori e la clientela;
  • indicare nel Documento di Valutazione dei Rischi le misure preventive e protettive del personale.

Il Tribunale di Savona aveva escluso la rilevanza penale  di  tali  condotte  omissive,  essendosi il datore di lavoro attenuto alle linee guida contenute tempo per tempo vigenti.

In particolare, secondo il Tribunale, l’accusa aveva mancatodiconfrontarsiconledisposizioniemergenziali “progressivamente introdotte nell’ordinamento”.

In primis, fra tutte, veniva in rilievo l’art. 29bis del d.l. 23/2020, ai sensi del quale era stato espressamente previsto che:

«Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, idatoridilavoropubblicieprivatiadempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile

mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro…»

Con tale disposizione, proseguiva il Tribunale, il Legislatore aveva consentito un «temporaneo discostamento dalla “regola giurisprudenziale della massima sicurezza (tecnologicamente) possibile», in quanto, tenuto conto “dell’esperienza fino a quel momento maturata con riferimento ad un grave fattore di rischio di assoluta novità”, solo le linee guida sarebbero risultate idonee “ad assicurare  alle  persone  che  lavorano  livelli  di sicurezza adeguati”.

Avverso detta pronuncia il Pubblico Ministero proponeva ricorso per #Cassazione.

Investita della questione, la Corte di Cassazione è giunta alle medesime conclusioni del Tribunale. Anche per i giudici di legittimità il principio di  “massima  tutela”  del  lavoratore  non  si applica con riferimento ai rischi di contagio da  covid.  Quest’ultimo  risulterebbe  infatti “sostanzialmente indefinibile”, cosicché il rispetto dei predetti protocolli e l’adozione delle misure in essi previste da parte dei datori di lavoro pertanto già costituiscono l’adempimento degli obblighi scaturenti dall’art. 2087 c.c.

In tale contesto, osserva la Cassazione facendo proprie le argomentazioni del Tribunale, “non pare possibile ricercare al di fuori delle norme emergenziali  le  misure  dovute  dal  datore  di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. perché non si può individuare ex post un diverso catalogo di misure applicabili al fine di attribuire ‘in maniera retroattiva una antidoverosità della condotta del debitore di sicurezza”.

 

*Avvocati Studio Legale Daverio & Florio

image_pdfimage_print