Il blocco dei licenziamenti vale anche per i dirigenti? La parola al Tribunale di Milano

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di Paolo Galbusera* e Andrea Ottolina*

Con la recentissima ordinanza del 17 giugno, il Tribunale di Milano ha preso posizione sulla questione relativa all’applicabilità ai dirigenti del blocco dei licenziamenti, che era stata già oggetto di due decisioni del Tribunale di Roma tra di loro contrastanti.

Con una molto discussa ordinanza del 26 febbraio scorso, infatti, il Tribunale del Lavoro di Roma aveva ritenuto applicabile anche ai dirigenti il blocco dei licenziamenti introdotto a marzo 2020 dalla normativa emergenziale e più volte prorogato sino, da ultimo, alla doppia scadenza del 30 giugno e del 31 ottobre.

Secondo la tesi del Giudice romano, il recesso intimato ad un dirigente per soppressione della posizione lavorativa, decisa in ragione di una riorganizzazione conseguente al calo di attività dell’azienda, sarebbe da considerarsi nullo proprio per la violazione del blocco dei licenziamenti, con conseguente diritto del lavoratore ad essere reintegrato. Qui di seguito le motivazioni a sostegno di questa discussa presa di posizione:

  • l’esclusione dei dirigenti dal blocco dei licenziamenti violerebbe il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione; la ratio di tale blocco, infatti, è quella di evitare che le conseguenze economiche della pandemia si scarichino automaticamente sui lavoratori dipendenti tramite la soppressione dei posti di lavoro e, di conseguenza, non sarebbe ragionevole prevedere un trattamento differente per i dirigenti, i quali peraltro sono più esposti a tale rischio, stante la maggiore elasticità del principio di giustificatezza del recesso nell’ambito del lavoro dirigenziale;
  • tale principio di giustificatezza, peraltro, sarebbe essenzialmente accomunabile al concetto di giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 3 legge 604/1966, richiamato espressamente dalla normativa emergenziale.

 

La tesi sostenuta dall’ordinanza del 26 febbraio è stata sin da subito oggetto di numerose critiche, tanto che sempre il Tribunale di Roma, con la successiva sentenza 3605 del 19.04.2021, ha cambiato diametralmente posizione rispetto alla precedente decisione, affermando che il blocco dei licenziamenti non riguarda i dirigenti, dal momento che:

  • da un lato, la norma che ha introdotto il blocco dei licenziamenti (art. 46 del Decreto Cura Italia 18/2020), più volte prorogata nel corso dei mesi successivi, ha fatto una chiara scelta di campo con l’esplicito riferimento al concetto di giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 3 della legge 604/1966, che, per espressa previsione legislativa (artt. 2 e 10 della medesima legge), non si applica al lavoro dirigenziale;
  • la normativa emergenziale ha contemperato l’introduzione del blocco dei licenziamenti in argomento con la concessione del ricorso generalizzato e pressoché gratuito alla cassa integrazione, dalla cui fruizione tuttavia sono pacificamente esclusi i dirigenti.

Comedetto, ancheil Tribunaledi Milano, conl’ordinanza del 17 giugno, si è inserito nella discussione, aderendo alla tesi secondo cui il blocco dei licenziamenti non si applica ai dirigenti.

Il Giudice milanese ha innanzitutto motivato la propria decisione richiamando le argomentazioni già utilizzate dal Tribunale di Roma nella sopra citata sentenza n. 3605/2021, facendo in particolare riferimento al dato letterale dell’art. 46 del Decreto Cura Italia e alla ratio complessiva della normativa emergenziale, che ha appunto collegato la sospensione della facoltà di licenziare alla possibilità per le aziende di usufruire degli ammortizzatori sociali per contenere i costi del lavoro, possibilità pacificamente esclusa per la categoria dei dirigenti.

Il Tribunale di Milano ha poi aggiunto ulteriori considerazioni a sostegno della propria tesi:

  • la decisione di escludere i dirigenti dal blocco dei licenziamenti ricalca la medesima misura adottata nel dopoguerra, quando vennero emanati una serie di decreti che vietavano i licenziamenti dei lavoratori a tempo indeterminato assunti prima del 25 aprile 1945, ad esclusione proprio dei dirigenti;
  • il legislatore non ha mai modificato l’art. 46 del Decreto Cura Italia nella parte relativa ai licenziamenti individuali e ciò nonostante abbia avuto almeno due occasioni di intervento, sia in sede di conversione in legge del decreto, sia in sede di modifiche apportate con il successivo dl 34/2020;
  • la diversità di trattamento tra dirigenti e le altre categorie di lavoratori non configura una violazione del principio costituzionale di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, in quanto tale norma tutela espressamente quelle fattispecie in  cui  si  verifica un’irragionevole e ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni soggettive uguali, ma non vieta in assoluto la previsione di trattamenti differenziati in caso di situazioni soggettive differenti, quali sono, da un punto di vista ontologico ed economico, quelle dei dirigenti e degli altri lavoratori.

La decisione del Tribunale di Milano, quindi, non fa che confermare  la  consolidata  interpretazione  data  alla normativa emergenziale nel corso dell’anno passato, secondo la quale, appunto, il blocco dei licenziamenti non riguarda la categoria dei dirigenti, che restano quindi licenziabili anche per ragioni riorganizzative e di contenimento dei costi.

* Avvocato in Milano – Galbusera & Partners

 

 

 

 

 

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