LA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA EX ART. 25SEPTIES DEL D. LGS. N. 231/2001 ED I CONCETTI DI INTERESSE E VANTAGGIO DELL’ENTE NELLA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE N. 30813 DEL 29 MAGGIO 2024
di Marco D’Orsogna Bucci*
Una interessante sentenza della Corte di cassazione (n. 30813) del 29 maggio 2024 permette di introdurre ed esaminare il tema della responsabilità amministrativa ex decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000 n. 300”, in relazione ai reati in materia di sicurezza sul lavoro commessi nell’interesse e/o a vantaggio dell’ente.
Il caso specifico è un infortunio occorso nel 2016 ad una impiegata di una importante società multinazionale della moda. La dipendente svolgeva normalmente mansioni amministrative, operando in una postazione di lavoro classica: scrivania, sedia, personal computer. Il giorno dell’infortunio la lavoratrice era intenta ad aiutare una collega nella ricerca di prodotti, all’interno del magazzino dove c’era la postazione lavorativa appena descritta e, muovendosi, inciampava su un carrello appendiabiti, cadeva e si procurava una “infrazione del polo distale della rotula sinistra” con prognosi di guarigione definita nei 91 giorni successivi.
Contesto normativo
L’art. 2087 del Codice civile impone al datore di lavoro di adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale dei lavoratori. La disciplina legislativa in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro ha sempre avuto un approccio giustamente prevenzionistico, con importanti riforme succedutesi nel tempo (d. lgs. 626/1994 e d. lgs. 81/2008) che hanno cercato di rendere “testo unico” una vasta regolamentazione tecnico-normativa.
Il d. lgs. 231 del 2001 introduce per la prima volta nel nostro ordinamento una responsabilità penale dell’ente, con strumenti sanzionatori, di natura pecuniaria e interdittiva, che incidono significativamente sul patrimonio e sulle attività economiche degli enti colpiti dalle misure.
Tra i reati presupposto che possono essere addebitati all’ente se commessi dai vertici aziendali, dai dipendenti e/o altre figure apicali, all’art. 25-septies figurano i seguenti due reati in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro:
Omicidio colposo (art. 589 c.p.)
È punita la condotta di chiunque cagiona per colpa la morte di una persona con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute e della sicurezza sul posto di lavoro.
Lesioni colpose gravi o gravissime (art. 590 c.p.)
È punita la condotta di chiunque cagioni ad altri per colpa una lesione personale grave o gravissima con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute e della sicurezza sul posto di lavoro.
A differenza delle altre ipotesi di reato presupposto previste nel d. lgs. 231/2001 che richiedono la sussistenza del dolo (coscienza e volontarietà dell’azione criminosa), i delitti di cui sopra sono puniti a titolo di colpa. A norma dell’art. 43 del Codice penale, il reato è colposo quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
Quanto al reato di lesioni, la distinzione tra grave e gravissima è la seguente.
La lesione è grave se:
- dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa ovvero una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni;
- il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo.
La lesione è gravissima se dal fatto deriva:
- una malattia certamente o probabilmente insanabile;
- la perdita di un senso;
- la perdita di un arto o una mutilazione che renda l’arto inservibile, ovvero la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella;
- la deformazione ovvero lo sfregio permanente del viso.
I decreti legislativi 81/2008 e 231/2001 rappresentano oggi fonti normative che ruotano entrambe intorno al concetto di Valutazione del Rischio, ma con finalità diverse: i) prevenzionistico il Documento di Valutazione dei Rischi che è espressione documentale della valutazione effettuata, di vigilanza e ii) controllo il Modello Organizzativo ex d. lgs. 231/2001. Una affermazione di tale diversità la troviamo in una interessante sentenza di primo grado del Tribunale di Trani, sentenza 26/10/2009: “E’ tuttavia evidente che il sistema introdotto dal d. lgs. 231/2001 impone alle imprese di adottare un modello organizzativo diverso e ulteriore rispetto a quello previsto dalla normativa antinfortunistica, onde evitare in tal modo la responsabilità amministrativa. Non a caso, mentre i documenti presentati dalla difesa sono stati redatti a mente degli artt. 26 e 28 del d. lgs. 81/08, il modello di organizzazione e gestione del d. lgs. 231/01 è contemplato dall’art. 30 del d. lgs. 81/08, segnando così una distinzione non solo nominale ma anche funzionale” e che sulla finalità a cui deve ispirarsi il Modello Organizzativo ex d. lgs. 231/2001 la definisce in questo modo “il modello immaginato dal legislatore in questa materia è un modello ispirato a distinte finalità che debbono essere perseguite congiuntamente: quella organizzativa, orientata alla mappatura ed alla gestione del rischio specifico nella prevenzione degli infortuni; quella di controllo sul sistema operativo, onde garantirne la continua verifica e l’effettività. Non è possibile che una semplice analisi dei rischi valga anche per gli obiettivi del d. lgs. 231/2001. Anche se sono ovviamente possibili parziali sovrapposizioni, è chiaro che il modello teso ad escludere la responsabilità societaria è caratterizzato anche dal sistema di vigilanza che, pure attraverso obblighi diretti ad incanalare le informazioni verso la struttura deputata al controllo sul funzionamento e sull’osservanza, culmina nella previsione di sanzioni per le inottemperanze e nell’affidamento di poteri disciplinari al medesimo organismo dotato di piena autonomia. Queste sono caratteristiche imprescindibili del modello organizzativo”.
Oltre alla finalità troviamo differenze anche rispetto ai destinatari, che sono i lavoratori per quanto concerne il Documento di Valutazione dei Rischi ex d. lgs. 81/2008, coloro i quali sono esposti al rischio di commettere reati colposi per quanto riguarda il Modello Organizzativo ex d. lgs. 231/2001. Il d. lgs. 81/2008, altresì, prevede al proprio interno (art. 30), come dovrebbe essere strutturato un modello integrato di organizzazione e gestione, ponendo l’accento su un aspetto fondamentale: che nel modello siano riportati i requisiti individuati dalla norma ma soprattutto che i contenuti siano efficacemente attuati. “Il modello di organizzazione e di gestione idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi: a) al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici; b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti; c) alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; d) alle attività di sorveglianza sanitaria; e) alle attività di informazione e formazione dei lavoratori; f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori; g) alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge; h) alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate”.
Da qui l’importanza di una fattiva collaborazione tra Organismo di Vigilanza e funzioni del sistema prevenzionistico quali il Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione, il Rappresentante dei Lavoratori per la sicurezza, eventuali figure apicali con specifiche deleghe, non ultima la delega ex art. 16 co.1 del d. lgs. 81/2008.
La violazione del d. lgs. 231/2001: i concetti di “interesse” e “vantaggio”
Come noto, le condizioni di sussistenza della responsabilità amministrativa ex d. lgs. 231/2001, dando per scontato che siamo in una delle casistiche di cui ai reati presupposto quindi previste esplicitamente dal decreto legislativo, sono le seguenti:
– il reato deve essere commesso nell’”interesse” o a “vantaggio” della Società;
– il reato deve essere stato commesso da un soggetto apicale e/o da un soggetto sottoposto alla direzione o vigilanza dei soggetti apicali;
– l’ente ha omesso di adottare e/o efficacemente attuare un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo ex d. lgs. 231/2001.
Torniamo al caso affrontato dalla Cassazione con cui abbiamo introdotto il presente articolo. Sia il Tribunale che la Corte di Appello di Firenze avevano dichiarato il datore di lavoro (figura coincidente con la carica di presidente del Consiglio di amministrazione) responsabile del reato di cui all’art. 590 del Codice penale, altresì la società quale responsabile dell’illecito amministrativo in relazione all’infortunio, con riferimento a quanto previsto dall’art. 25 septies del d. lgs. 231/2001. La difesa aveva puntato sulle dimensioni aziendali (società multinazionale), sulla complessità organizzativa e sulla conseguente impossibilità da parte del datore di lavoro di svolgere una completa attività di vigilanza su tutto il personale assunto.
Di norma è difficile pensare che da un infortunio sul lavoro (pensiamo ad esempio ai casi di omicidio colposo) l’ente possa trarne un vantaggio. L’analisi, tuttavia, va fatta sulla condotta illecita che ha portato al sinistro ed è probabile che si possa riscontrare in tale fase un interesse (anche solo tentato e non ottenuto). Secondo l’orientamento prevalente, dalla lettura dell’art. 5 del d. lgs. 231/2001, i concetti di “interesse” e “vantaggio” sono da considerarsi concorrenti ed alternativi, entrambi rilevanti per l’attribuzione della responsabilità amministrativa. “Interesse” come elemento valorizzato in situazione ex ante (indebito arricchimento tentato ma non per questo riuscito), “vantaggio” come dato oggettivo, che richiede una misurazione successiva al fine di quantificarne l’entità.
La Suprema corte, nella sentenza 30813/2024, riscontra un vantaggio di spesa per la società multinazionale in quanto la stessa ha mancato di organizzare il lavoro in un ambiente più grande. Affermano i giudici in tema della responsabilità amministrativa: “…alla società, la colpevole scelta gestionale in ordine alle dimensioni inadeguate del punto vendita in questione, finalizzata al vantaggio in termini di risparmio di spesa correlato alla mancata predisposizione di un ambiente di lavoro più ampio o ad una diversa organizzazione del sistema di approvvigionamento-conservazione in magazzino delle merci, oltre al costo correlato alla (omessa) formazione dei dipendenti in materia di sicurezza”. A seguito di tale sentenza alla società è stata applicata una sanzione pecuniaria pari a € 103.000,00, sulla base di quanto previsto dall’art. 12 del d. lgs. 231/2001, mentre per il reato ex art. 590 c.p. in capo al datore di lavoro è intervenuta la prescrizione.
I giudici della Suprema corte con la loro decisione confermano quindi la responsabilità amministrativa della società, come già era avvenuto nei primi due gradi di giudizio. Dalla lettura della sentenza, si deduce come la responsabilità dell’ente sia stata ricercata nella condotta del reo e le conseguenze per l’ente stesso (risparmio di spesa), ampliando quel principio consolidato in giurisprudenza che considera vantaggio il risparmio dovuto al mancato investimento in misure di prevenzione e protezione necessarie ad evitare il verificarsi di infortuni gravi e/o con esiti mortali.
Ricordiamo a tal proposito la sentenza di condanna alla società ThyssenKrupp per la nota tragedia che costò la vita a sette lavoratori. In quella circostanza i giudici stabilirono la condotta colpevole degli imputati che agendo nell’interesse della società avevano permesso il conseguimento di un preciso vantaggio economico pari all’entità dei finanziamenti stanziati per la messa in sicurezza della linea di produzione, ma non utilizzati in quanto era stata decisa la prossima chiusura dello stabilimento.
*ODCEC Lanciano
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