LEGGE DI BILANCIO 2024 – DETASSAZIONE PREMI PRODUZIONE

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di Marco D’Orsogna Bucci*

È stata pubblicata sul Supplemento Ordinario della G.U. numero 303 del 30 dicembre 2023 la legge numero 213, Legge di Bilancio 2024. Da un’analisi delle norme in materia di lavoro non emergono grandi novità, trattandosi di molte misure già in vigore sulle quali si è deciso soltanto di intervenire con una proroga di un ulteriore anno.

Se la manovra 2023 era fortemente influenzata dalla crisi energetica e dagli esigui margini di azione derivanti da una crescita economica in frenata e da un aumento del debito pubblico, la manovra 2024 è caratterizzata da un tentativo di cercare risorse per la riduzione del cuneo fiscale e contributivo nei redditi da lavoro dipendente, nel range risicato di una situazione economico finanziaria fortemente influenzata, da qui ai prossimi quattro anni, dal buco di finanza pubblica creato dal superbonus 110% e dalle norme di anticipo di pensionamento.

EFFICACIA NELLA CRESCITA E NELLO SVILUPPO

Il nostro paese da anni è caratterizzato da bassa crescita ed escludendo il rimbalzo del PIL post pandemia, sembra chiaro come le ricette degli ultimi anni in materia di politica economica poco impulso hanno dato alla crescita e allo sviluppo. Uno degli aspetti più critici è la bassa produttività del lavoro, sulla quale si cerca di intervenire con misure più o meno efficaci in ambito fiscale e salariale. Risultati? Molto scarsi. Le variabili che incidono sulla produttività del lavoro sono note, formazione e qualificazione professionale, costo del lavoro, burocrazia, politiche attive del lavoro, digitalizzazione, servizi sociali efficienti, crescita della popolazione.

Se guardiamo alle politiche economiche messe in campo finora troviamo interventi sporadici su formazione e qualificazione professionale, congelamento di interventi sulle Politiche Attive del Lavoro (a partire dall’inattuato d.lgs. 150/2015 nell’ambito della riforma del Jobs Act per passare al fallimento del Reddito di Cittadinanza), nessun impegno e intervento volto alla riduzione del costo del lavoro. Gli interventi sono sempre stati rivolti (comunque legittimamente) a introdurre esoneri/ bonus, innalzamento detrazioni, tutte misure orientate ad aumentare il “netto busta”. In parallelo la burocrazia è aumentata, la PA è rimasta al palo quanto a digitalizzazione, la popolazione è in forte declino, la giustizia ed i servizi sociali neanche a parlarne. Ecco che le ricette diventano l’antitesi ai provvedimenti di crescita, come ad esempio:

  • aumento della percentuale di sussidio del congedo invece che aumentare gli investimenti nei servizi alle madri lavoratrici;
  • proroga degli interventi straordinari su ammortizzatori sociali in luogo di Politiche Attive del Lavoro degne di un paese occidentale e civile;

e al contempo istituzioni scolastiche in evidente difficoltà, contratti formativi abbandonati.

 

LA DETASSAZIONE DEI PREMI DI PRODUZIONE

Per il 2024 viene riproposta la misura di intervento sulla normativa della detassazione premi produttività, prevedendo la proroga anche per il 2024 della riduzione dal 10% al 5% dell’aliquota dell’imposta sostitutiva (art. 1 comma 18 legge numero 213/2023). L’incidenza sulla produttività del lavoro di tale misura, tuttavia, è poco efficace. Il Ministero del Lavoro, nei report periodici sui depositi di contratti di secondo livello, registra un aumento nel 2023 (+21%) del deposito dei contratti e un aumento del numero di contratti attivi tra Gennaio 2024 e Gennaio 2023 (+30%). Trattasi, tuttavia e a parere di chi scrive, degli effetti del ritorno alla contrattazione decentrata post-pandemica, dal momento che si è ancora molto lontani dal raggiungere i numeri del 2019, quando i contratti depositati attivi erano 17.300 in luogo dei 9.421 registrati al 15.01.2024.

Resta anche molto basso il numero di dipendenti interessati e coinvolti dalla premialità, circa 1,8 milioni nella contrattazione aziendale.

Il comma 18 dell’art. 1 della legge 213/2023 ci consente di ripercorrere storicamente gli interventi del legislatore in materia di detassazione di somme e valori legate alla premialità di risultato e valutarne la loro efficacia.

Tutto ha inizio con il decreto legge 93 del 27 Maggio 2008, denominato “Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie”, con il quale il Governo di allora intendeva introdurre misure urgenti al fine di sostenere la domanda ed incrementare produttività del lavoro e potere di acquisto delle famiglie. All’art. 2 il decreto 93 prevedeva, in via sperimentale per il secondo semestre del 2008, l’applicazione di un’imposta sostitutiva (dell’irpef e delle addizionali comunali regionali) sulle remunerazioni legate all’incremento della produttività del lavoro nel settore privato, sulle retribuzioni legate all’effettuazione di lavoro straordinario nel medesimo settore. L’innovazione era forte, di semplice applicazione. L’imposta sostitutiva si applicava fino ad un massimo di euro 3.000,00 lordi annui, a determinate condizioni di carattere soggettivo. I beneficiari di tale

agevolazione dovevano rientrare all’interno di una fascia reddituale relativa all’anno precedente (il 2007), non superiore a 30.000 euro (misurata nel solo ambito del reddito da lavoro dipendente). Inoltre, allora come oggi, i soggetti esclusi dal beneficio erano i dipendenti delle amministrazioni pubbliche ex art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001. L’applicazione della detassazione sulle somme legate a produttività e lavoro straordinario, in presenza dei requisiti soggettivi della norma, era immediata e direttamente in busta paga senza passare per accordi e formalità (salvo la già citata rinuncia da parte del lavoratore). Rispetto alla tassazione ordinaria e alla progressività dell’imposizione si applicava su tali somme, al netto della quota previdenziale a carico del lavoratore, l’aliquota fissa del 10%. Con due circolari dell’Agenzia delle Entrate, la 49/E e 59/E del 2008, si andava a delimitare le tipologie delle somme oggetto dell’agevolazione, quali retribuzioni erogate a titolo di lavoro straordinario anche con modalità forfettizzata, lavoro supplementare, premi di risultato, lavoro festivo e notturno, maggiorazioni erogate sulla banca ora accantonata, sulle prestazioni rese in funzione di clausole elastiche.

La fase sperimentale della misura viene prorogata per l’anno 2009 e 2010 con qualche piccola modifica.

Con il decreto 78/2010 denominato “misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” arrivano le prime sostanziali modifiche con decorrenza dal successivo anno 2011. In ambito oggettivo, la novità sostanziale portata dall’art. 53

d.l. 78/2010 è la limitazione del beneficio fiscale alle somme erogate in attuazione di quanto previsto da accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali e correlate ad incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza. Le disposizioni in vigore con il d.l. 78/2010 avranno vita breve con l’introduzione nel nostro ordinamento delle modifiche apportate dalla legge 228/2012 e dal successivo D.P.C.M. del 22 gennaio 2013. Per quanto concerne la contrattazione collettiva di secondo livello, che avrebbe consentito l’applicazione del beneficio fiscale, il DPCM precisava che la sottoscrizione doveva avvenire da parte di “associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda”. Si introduceva anche l’obbligo di deposito del contratto di secondo livello presso la competente direzione territoriale del lavoro. Nel breve volgere di un biennio si passa quindi dalla contrattazione senza formalità ad una successiva, più rigida e dai connotati estremamente formali. Ma non è la sola variazione, esigenze di bilancio portano la somma massima sulla  quale  applicare l’imposta sostitutiva da  euro

6.000 a euro 2.500 annue. Anche la retribuzione di produttività viene delimitata nel più rigido ambito degli indicatori quantitativi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione.

Con l’annualità 2015 si chiude la fase sperimentale della premialità di risultato. La legge 208/2015 (legge di stabilità 2016), all’articolo 1, comma 182, nella versione attualmente  in  vigore,  prevede  che, “salva espressa rinuncia scritta del prestatore di lavoro, sono soggetti ad una imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 10 per cento”… (5% per l’anno 2023 e 2024)

…”entro il limite di importo complessivo di 3.000 euro lordi, i premi di risultato di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili sulla base di criteri definiti con il decreto di cui al comma 188, nonché le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa”. Requisiti significativi per l’applicazione del beneficio fiscale della riforma strutturale diventano: 1) la variabilità del premio di risultato, intesa come incertezza di percepire il premio sulla base del raggiungimento o meno di indici quantitativi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione presenti nel contratto di secondo livello; 2) l’incremento di almeno uno degli indici quantitativi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione in relazione ad un congruo periodo precedente. Su quest’ultimo punto la posizione dell’Agenzia delle Entrate espressa in risposta ad un interpello (n. 130/2018) è poco convincente rispetto alla lettura della norma in quanto definisce il raggiungimento del requisito dell’incremento misurandolo rispetto ad un serie storica, non rispetto ad un indicatore obiettivo determinato dalle parti oppure rispetto ad un periodo congruo definito dall’accordo, come del resto riportato nel Decreto Interministeriale del 25 Marzo 2016, attuativo della norma. E’ auspicabile che nell’ambito della Riforma Fiscale si trovi la possibilità di superare tale interpretazione restrittiva che, in ogni caso, non sembra giustificata dalla logica dell’impianto e degli obiettivi della legge 208/2015.

Con la legge 208/2015 si introdusse, inoltre, la possibilità per i lavoratori di convertire le somme di cui al comma 182 dell’art. 1 in welfare aziendale. Il comma

184 dell’art. 1 della medesima legge, infatti, nella versione attualmente in vigore, così come modificata dall’art. 1 della legge 232/2016, prevede che somme e valori di cui all’art. 51 del TUIR comma 2 e ultimo periodo del comma 3, non concorrono nel rispetto dei limiti previsti dal TUIR a formare il reddito da

lavoro dipendente, né sono assoggettati ad imposta sostitutiva in caso di conversione di premi di risultato e assimilati, fermo restando due condizioni: 1) la previsione nella contrattazione collettiva di secondo livello della possibilità di convertire i premi di risultato in denaro in welfare; 2) la volontà alla conversione da parte del lavoratore.

 

CONCLUSIONI

La storia della detassazione sulle retribuzioni legate alla premialità ci mostra un graduale passaggio da misura volta a salvaguardare il potere d’acquisto o riduzione del cuneo fiscale, con accessibilità semplice e immediata, tipizzata dalla normativa sperimentale degli anni 2008-2011, a “presunto” strumento incentivante la produttività del lavoro. I risultati, purtroppo, sono stati nel passaggio di scarso rilievo, per varie ragioni che possiamo semplificare con: a) approccio cauto da parte delle aziende alla contrattazione di secondo livello se non già presente;

  1. b) scarsa incidenza sul costo-azienda; c) irrigidimento progressivo dei requisiti di accesso alla detassazione soprattutto in relazione al concetto di incremento di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione.

In tutto ciò, l’art. 1 comma 18 della legge 213/2023, misura temporanea prevista per il solo 2024 (dopo l’inserimento 2023), difficilmente potrà stimolare la sottoscrizione di nuovi accordi aziendali poiché salvo rari casi, la misurazione dei risultati e la conseguente erogazione di premi potenzialmente agevolabili avverrebbe nella successiva annualità 2024. Sostanzialmente la misura si aggiungerebbe alle altre previsioni volte a ridurre il cuneo fiscale, seppur con impatto minimo. Non si coglieva quindi particolare esigenza di riduzione della percentuale di imposizione e se proprio si voleva intervenire, lo si poteva fare incentivando l’utilizzo di piani di flexible welfare quali strumenti di premialità. Così facendo, invece, si rischia l’effetto contrario rendendo di minor convenienza la conversione dei premi in welfare, senza raggiungere risultati significativi sia nel campo della produttività del lavoro che nella salvaguardia del potere d’acquisto dei lavoratori e delle famiglie.

 

* Odcec Lanciano

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