IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE CHE RIFIUTA DI TRASFORMARE IL PROPRIO RAPPORTO DA FULL TIME A PART TIME NON PUÒ CONSIDERARSI DI PER SÉ OSTATIVO ALLA CONFIGURABILITÀ DI UN GIUSTIFICATO MOTIVO DI RECESSO

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di Bernardina Calafiori e Eleonora Ilario *

Cassazione, sez. Lav., ordinanza del 9 maggio 2023, n.12244

«La previsione dell’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015, se esclude che il rifiuto di trasformazione del rapporto in part time possa costituire di per sé giustificato motivo di licenziamento, non preclude la facoltà di recesso per motivo oggettivo in caso di rifiuto del part time, ma comporta una rimodulazione del giustificato motivo oggettivo e dell’onere di prova posto a carico di parte datoriale.

In tal caso, ai fini del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, occorre che sussistano e che siano dimostrate dal datore di lavoro effettive esigenze economiche ed organizzative tali da non consentire il mantenimento della prestazione a tempo pieno, ma solo con l’orario ridotto; l’avvenuta proposta al dipendente o ai dipendenti di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale e il rifiuto dei medesimi; l’esistenza di un nesso causale tra le esigenze di riduzione dell’orario e il licenziamento».

Così si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza in commento in relazione ad un caso di licenziamento comminato per ragioni oggettive, ritenute sussistenti ma non sufficienti dai giudici di merito.

Il caso trae origine da un licenziamento intimato ad una lavoratrice a seguito del di lei rifiuto alla trasformazione del proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

La lavoratrice impugnava il provvedimento espulsivo, che veniva ritenuto illegittimo sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello (di qui, dunque, la condanna della società a riassumere la dipendente oppure a corrisponderle un’indennità ai sensi dell’art 8, l. 604/1966), mentre veniva respinta la domanda con cui si chiedeva la declaratoria di nullità del licenziamento per ritorsività in ragione di detto rifiuto.

Nel giudizio di merito, veniva accertato che, a seguito della cessione del ramo d’azienda, costituito da un supermercato cui era addetta la lavoratrice, i soci della società cessionaria avevano deciso di prestare attività lavorativa nel punto vendita, così risultando l’esubero di una unità. Il datore di lavoro richiedeva dunque ai tre dipendenti con contratto di lavoro a tempo pieno la disponibilità alla riduzione dell’orario di lavoro. A tale richiesta due dei detti dipendenti opponevano un rifiuto, mentre uno solo di essi (e cioè la lavoratrice ricorrente), in ragione del ruolo ricoperto, veniva licenziato per giustificato motivo oggettivo.

In ragione di quanto accertato, come detto, i Giudici di merito ritenevano non giustificato il licenziamento ma non provato il suo carattere ritorsivo.

Ad analoghe considerazioni è giunta la Corte di Cassazione adita dalla lavoratrice.

In particolare, i Giudici di legittimità, con riferimento alla fattispecie esaminata, hanno ritenuto che la previsione di cui all’art. 8 della legge citata «comporta una rimodulazione del giustificato motivo oggettivo e dell’onere di prova posto a carico di parte datoriale». Cosicché il rifiuto diventa «una componente del più ampio onere di prova del datore», il quale è onerato di prova adeguata circa le «ragioni economiche da cui deriva l’impossibilità di continuare a utilizzare la prestazione a tempo pieno e l’offerta del part time rifiutata», per modo che il licenziamento risulti giustificato non già dal rifiuto alla trasformazione del rapporto in part time ma dalla impossibilità di utilizzo della prestazione a tempo pieno.

Tale enunciato appare pienamente condivisibile e comunque coerente con la giurisprudenza in materia. Per completezza del commento, si aggiunge che la Suprema Corte ha ritenuto che il recesso datoriale così consumatosi non configurasse un motivo illecito, in quanto era pur sempre emersa una giustificazione oggettiva in grado di escluderlo.

*Avvocati Studio Legale Daverio & Florio

 

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