GUERRA, ECONOMIA E MERCATO DEL LAVORO

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di Stefano Lapponi *

L’economia di guerra è il restringimento dell’economia di mercato sostituita da una economia pianificata a livello centrale dove viene stabilito cosa produrre. In uno stato di guerra l’economia restringe i propri spazi di mercato e questo significa che gran parte della capacità produttiva di un Paese viene destinata allo sforzo bellico. Le risorse, energia e lavoratori, vengono convogliate per allestire e finanziare la produzione militare. Si ha quindi una riconversione industriale con l’unico obiettivo di alimentare lo sforzo bellico.

Ovviamente questo non è lo scenario che vive l’Italia ben lungi da essere vicina ad una economia di guerra. Il nostro paese si trova comunque di fronte ad uno shock esterno come quello petrolifero del 1973 o quello relativo all’emergenza sanitaria causa Covid 19. E’ di tutta evidenza che lo shock di una crisi come l’attuale, pur non pregiudicando le dinamiche dell’economia di mercato, mette in risalto ed amplifica le debolezze del sistema di mercato cui far fronte mettendo in atto misure tali da adattare il mercato all’emergenza di guerra.

Il punto debole della nostra economia è la dipendenza dell’approvvigionamento dell’energia da fonti straniere. In particolare la dipendenza dell’Italia dal gas russo.

Occorre dunque diversificare le fonti di approvvigionamento energetico, ma è chiaro che questo non potrà avvenire in tempi brevi. Nel frattempo molte fabbriche e servizi saranno costretti a chiusure temporanee per gli alti costi dell’energia e delle materie prime con grave impatto sul mondo del lavoro.

Sarà pertanto necessario porre rimedio con applicazione della Cassa integrazione con le adeguate facilitazioni già promosse in stato di emergenza ed altre misure di sostegno al reddito per garantire i lavoratori ed anche la sussistenza delle imprese stesse. Ma anche questo si teme non essere sufficiente per sostenere il mercato del lavoro.

Uno sguardo attento al mercato del lavoro rileva come l’effetto della pandemia abbia soffocato ogni segno di ripresa in termini di occupazione, ma ancor più di stabilizzazione dei contratti.

Dopo una crescita piuttosto rapida nella primavera e nell’estate 2021, il numero di occupati fatica ad aumentare: a febbraio 2022 il numero di occupati era dello 0,5 per cento inferiore ai livelli di inizio 2020.

La crisi dell’emergenza sanitaria Covid 19 ha colpito soprattutto i lavoratori con contratto a tempo determinato, non rinnovati una volta scaduti in tempo di recessione, e i lavoratori autonomi, meno protetti dei dipendenti dalla sospensione dell’attività economica. La ripresa ha però interessato solo i contratti a termine, che sono cresciuti dell’8,6 per cento rispetto a febbraio 2020.

La scena di una ulteriore sospensione dell’attività, causa crisi energetica, porterà alla drastica riduzione del numero di ore lavorate, tornate a crescere dopo la primavera, drammatica, del 2020, senza però raggiungere i livelli pre-crisi.

L’attuale scenario vede, rispetto al 2021, la riduzione del numero di ore lavorate per occupato ed un contestuale calo dell’intensità del lavoro.

Dalla politica, in modo unitario e senza diversificazioni “partitiche”, ci si aspetta risposte volte da un lato ad evitare shock all’economia di mercato e dall’altro a sostenere i redditi di lavoratori e famiglie già erosi dalla non lontana crisi pandemica.

*Odcec Macerata

 

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