I LAVORATORI TRANSFRONTALIERI

, ,
di Paolo Soro * 

I c.d. “pendolari del lavoro” sono genericamente definiti nel dizionario come quei soggetti che, non risiedendo nel luogo in cui svolgono la loro attività, devono recarsi ogni giorno, e ritornare ogni sera, servendosi di mezzi di trasporto pubblici e privati. Laddove abbiamo a che fare, più nello specifico, con dipendenti che, abitando in uno Stato, si recano a lavorare in un differente Paese limitrofo, si suole parlare di lavoratori transfrontalieri (o, semplicemente, frontalieri), per i quali sono previste alcune disposizioni di carattere straordinario, considerate le peculiarità del loro status.

L’Italia confina con la Francia, la Svizzera, l’Austria e la Slovenia. All’interno del territorio nazionale vi sono, poi, le due enclave di San Marino e della Città del Vaticano. Infine, tra i “Paesi limitrofi” viene indicato il Principato di Monaco, in tal senso dovrebbe essere indicato a pieno titolo, anche la Croazia, seppure non espressamente menzionata dall’organismo ministeriale. Ebbene, per quanto riguarda gli Stati membri dell’Unione Europea (UE), le disposizioni di carattere fiscale sui lavoratori pendolari transfrontalieri sono contenute nelle convenzioni firmate dall’Italia con i seguenti Paesi:

  • Austria: Convenzione  ratificata  con  Legge  18 ottobre 1984, n. 762 (articolo 15 – paragrafo 4)
  • Francia: Convenzione  ratificata  con  Legge  7 gennaio 1992, 20 (articolo 15 – paragrafo 4)

La Slovenia fa parte dell’UE dal 2004, ma il trattato contro le doppie imposizioni Italia / Slovenia, ratificato nel 2009, non prevede una normativa specifica per i frontalieri, ai quali dunque si applicano le disposizioni dell’ordinaria tassazione prevista per i casi di lavoro dipendente svolto dal residente di un Paese, nell’altro Paese contraente.

Analoga situazione relativamente alla Croazia.

Per quanto, invece, concerne gli Stati extra-Ue, le disposizioni sui lavoratori pendolari transfrontalieri sono contenute nelle Convenzioni firmate dall’Italia con i seguenti Paesi:

  • Svizzera: Convenzione   ratificata   con   Legge   del 23 dicembre 1978,  943 (articolo 15  – paragrafo 4),    che    rimanda    all’Accordo    tra    i    due    Stati, recentemente oggetto di aggiornamento e nuova ratifica
  • San Marino:  Convenzione  ratificata  con  Legge 19  luglio 2013,  88 (paragrafo 4 nel Protocollo aggiuntivo alla  Convenzione)

Tra il Principato di Monaco e l’Italia esiste un accordo fiscale tale da dar seguito alle richieste di informazioni inoltrate dalle rispettive amministrazioni finanziarie (c.d. Common Reporting Standard); ma siamo assai lontani da un modello convenzionale “accettabile”. In ogni caso, i frontalieri italiani che lavorano a Monaco dovranno dichiarare in Italia i loro redditi.

Nessuna previsione speciale, per contro, è stabilita nel trattato fra la Santa Sede e il Governo italiano, accordo che peraltro è assai anomalo, non avendo nulla a che fare con il modello convenzionale OCSE ed essendo dettato in ossequio ai Patti Lateranensi del 1929, i quali restano assolutamente intoccabili per la Chiesa. In ogni caso, per i redditi di lavoro dipendente prodotti dai frontalieri nel Vaticano, resta ferma la loro esenzione da IRPEF, ai sensi dell’art. 3 del DPR 601/1973, qualora erogati:

  • dalla Santa Sede;
  • dagli altri enti centrali della Chiesa Cattolica;
  • dagli enti gestiti direttamente dalla Santa  Sede.

Sempre con riferimento alle tre anzidette nazioni non- UE, giova ricordare che:

  • la Svizzera è a tutti gli effetti territorio doganale (e IVA) esterno,  seppure  sia  legato  ai  Paesi  membri tramite accordi siglati a livello comunitario, accordi che    hanno    fatto    propri    determinati    principi fondamentali,  sia  in  materia  di  circolazione  dei lavoratori che in materia   previdenziale;
  • la Repubblica  di  San  Marino  ha  un  accordo  di Unione Doganale con l’UE, per cui non esistono dazi e si circola liberamente in entrata e in uscita dall’Italia; ma, ai fini IVA, resta considerato come Paese terzo;
  • la Città del Vaticano non fa parte ad alcun titolo del territorio doganale UE ed è pure considerato Paese terzo ai fini IVA; ma, come tutti sappiamo, non esiste  nessun  tipo  di  dogana  per  andare  e venire dall’Italia allo Stato del Vaticano.

Svolta questa necessaria premessa al fine di fornire al lettore una visione generale d’insieme, occorre ora preliminarmente ricordare come vengono inquadrati i frontalieri dalla normativa comunitaria. L’art. 1, lett. B, Reg. 1408/71/CEE, stabilisce che:

“Il termine «lavoratore frontaliero» designa qualsiasi lavoratore che è occupato nel territorio di uno Stato membro e risiede nel territorio di un altro Stato membro dove, di massima, ritorna ogni giorno o almeno una volta alla settimana; tuttavia, il lavoratore frontaliero, che è distaccato dall’impresa da cui dipende normalmente nel territorio dello stesso o di un altro Stato membro, conserva la qualità di lavoratore frontaliero per un periodo non superiore ai quattromesianchese, durantedettodistacco, non può ritornare ogni giorno o almeno una volta alla settimana nel luogo ove risiede”. 

Questa definizione, che, oltre agli elementi intrinseci dello spostamento dal domicilio al luogo di lavoro attraverso una frontiera, conserva la condizione temporanea del ritorno quotidiano o settimanale al domicilio (salvo dipendenti distaccati, come appena visto), si applica tuttavia solamente alla protezione sociale dei lavoratori all’interno dell’Unione europea.

In campo fiscale, le convenzioni bilaterali contro la doppia imposizione che determinano il regime dei lavoratori frontalieri, fissano in genere definizioni maggiormente restrittive, che impongono pure un criterio spaziale, secondo il quale il fatto di risiedere e lavorare in una zona frontaliera in senso stretto, definita in modo spesso variabile in ciascuna convenzione fiscale, è considerato un elemento costitutivo del concetto di lavoro frontaliero.

Oltre a ciò, è lo stesso regime di imposizione che potrebbe poi essere diverso. Per esempio, proprio la Convenzione Italia / San Marino stabilisce che i lavoratori italiani transfrontalieri che si recano a San Marino sono soggetti a tassazione concorrente sia in Italia che a San Marino, contrariamente da quanto disciplinato nei trattati siglati con Austria e Francia.

In effetti, riguardo a quanto qui di nostro interesse, la Convenzione Italia / Francia prevede:

“Nonostante le disposizioni precedenti del presente articolo, i redditi derivanti dal lavoro dipendente di persone abitanti nella zona di frontiera di uno degli Stati, e che lavorano nella zona di frontiera dell’altro Stato, sono imponibili soltanto nello Stato del quale dette persone sono residenti”. 

Quindi, se trattasi di residenti italiani che si recano a lavorare in Francia come frontalieri, si ha la tassazione esclusiva in Italia; al contrario, se residenti francesi che si recano a lavorare in Italia come frontalieri, si ha la tassazione esclusiva in Francia.

Sempre in ottica impositiva, le cose non cambiano sulla base della Convenzione Italia / Austria:

Allorché una persona fisica residente di uno Stato contraente nei pressi della frontiera svolge un’attività di lavoro dipendente nell’altro Stato contraente, sempre nei pressi della frontiera, e attraversa abitualmente la frontiera stessa per recarsi al lavoro, essa è imponibile per il reddito che ritrae da tale attività soltanto nello Stato di cui è residente”. 

Cionondimeno, in entrambe le ultime due convenzioni, in base allo stretto tenore letterale utilizzato, pur non essendo statuiti dei limiti periodici temporali ai fini del rientro in Patria, vengono di contro fissate delle limitazioni geografiche:

  • con riferimento  alla  Francia,  si  prevede  che     le persone devono abitare nella zona di frontiera di uno Stato contraente e lavorare nella zona di frontiera dell’altro Stato contraente;
  • con riguardo all’Austria, viene specificato che deve trattarsi di un residente “nei pressi della frontiera” di uno Stato contraente, il quale si reca a lavorare “sempre nei pressi della frontiera” dell’altro Stato contraente.

Dette delimitazioni spaziali, viceversa, non sono affatto previste nel prima richiamato regolamento comunitario. A questo punto, si rende necessario circoscrivere in modo più preciso le aeree interessate.

Ad eccezione della Svizzera oggetto di recentissimo aggiornamento e di cui si tratterà in seguito, la normativa italiana cui fare riferimento prevede in via esemplificativa per le zone di confine concernenti il lavoro transfrontaliero: 36 Comuni, situati nelle regioni di Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta, confinanti con la Francia; 29 Comuni confinanti con l’Austria; 13 Comuni con la Slovenia; 9 castelli con San Marino oltre alla Città del Vaticano e a Paesi limitrofi quali il Principato di Monaco.

Altra anomalia è rinvenibile nella circolare 2/E-2003 dell’Agenzia delle Entrate, dove in materia di reddito dei frontalieri si afferma che:

“La disposizione si riferisce ai soli redditi percepiti dai lavoratori dipendenti che sono residenti in Italia e quotidianamente si recano all’estero in zone di frontiera o in Paesi limitrofi per svolgere la prestazione di lavoro. Non rientrano, invece, le ipotesi di lavoratori dipendenti, anch’essi residenti in Italia che, in forza di uno specifico contratto, che preveda l’esecuzione della prestazione all’estero in via esclusiva e continuativa, soggiornano all’estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di un periodo di 12 mesi” (per i quali, di regola, si applicano le retribuzioni convenzionali). 

La precisazione riferentesi alla sola “quotidianità” non appare sussistere nel disposto legislativo. Anzi, successivamente, il Legislatore (art.1, comma 175, n.147/2013) ha avuto modo di definire il frontaliere esclusivamente come quel lavoratore che:

  • ha la residenza fiscale italiana;
  • presta il lavoro in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, in zone di frontiera, o in Stati limitrofi;

oltre a prevedere una sorta di no-tax-area per i primi 7.500 euro di reddito prodotto.

Ma nessuna menzione relativamente all’obbligo di quotidiano rientro in Patria, per la qual cosa occorre riferirsi al prima citato regolamento comunitario che prevede la possibilità di un pendolarismo anche settimanale e non necessariamente solo giornaliero.

Sempre restando nel campo delle facilitazioni di carattere tributario di cui godono i frontalieri, giova ricordare che tali soggetti sono esonerati dall’obbligo di compilazione del quadro RW limitatamente agli investimenti e alle attività estere di natura finanziaria detenute nel Paese in cui svolgono la loro attività lavorativa. Questo esonero vale anche per il coniuge e i familiari di primo grado, nel caso in cui risultino cointestatari, titolari o delegati del conto corrente ove viene accreditato lo stipendio.

La predetta esenzione, peraltro, è collegata al periodo in cui il dipendente presta lavoro oltre frontiera e vale per l’intero anno fiscale se l’attività lavorativa è stata svolta all’estero in via continuativa per la maggior parte del medesimo periodo d’imposta. Laddove si faccia rientro in Italia, l’esonero è limitato e condizionato al trasferimento delle attività detenute all’estero entro sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro (Agenzia delle Entrate, provvedimento del 18 dicembre 2013, N. 151663). Attenzione che, per contro, non esiste il medesimo tipo di esenzione relativamente all’eventuale liquidazione dell’IVIE e dell’IVAFE, se dovute.

Per quanto concerne, in particolare, le situazioni che riguardano il maggior numero di lavoratori frontalieri italiani (ossia, quelli che si recano a lavorare in Svizzera), Italia e Confederazione elvetica hanno recentemente rinnovato il loro Accordo. Più precisamente, il 23/12/2020, i rappresentanti dei due Paesi hanno firmato il Protocollo, nonchè il relativo Accordo a cui questo rimanda, che modifica la Convenzione tra Italia e Svizzera per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, introducendo sostanziali cambiamenti alle consolidate regole impositive applicabili ai frontalieri, risalenti alla prima metà degli anni Settanta e formalizzate nell’Accordo a cui rimanda più precisamente il par. 4 dell’art. 15 della Convenzione Italia / Svizzera contro le doppie imposizioni.

La piena entrata in funzione dell’Accordo è prevista a partire dal prossimo 01/01/2023 e riguarderà i frontalieri assunti sempre a decorrere da tale data. Giova allora preliminarmente ricordare che, in base all’Accordo tra Italia e Svizzera sulla tassazione dei lavoratori frontalieri del 1974, i frontalieri che vivono con il proprio nucleo familiare nei Comuni di frontiera e che rientrano giornalmente in Italia, pagano soltanto le imposte alla fonte in Svizzera. Il loro reddito da lavoro è esente da imposte fiscali in Italia. Viceversa, i frontalieri che non vivono nei Comuni di frontiera (o che non hanno il rientro giornaliero), pagano anch’essi le imposte alla fonte in Svizzera, ma hanno poi l’obbligo di effettuare la dichiarazione dei redditi in Italia e pagare l’imposta IRPEF sul reddito svizzero (fermo restando il diritto, sia  al credito d’imposta per quanto già pagato in Svizzera, che alla franchigia fiscale di 7.500,00 euro).

L’imposizione fiscale sul lavoro dipendente per i nuovi frontalieri dal 2023, diventa pari all’80%. Tali lavoratori saranno assoggettati a imposizione in via ordinaria anche nello Stato di residenza, che eliminerà la doppia imposizione col solito sistema del credito sulle imposte versate all’estero.

I lavoratori attualmente occupati nei Cantoni dei Grigioni, del Ticino o del Vallese che hanno lavorato nel periodo compreso tra il 31/12/2018 e la data di entrata in vigore del nuovo accordo, rientreranno nel regime transitorio applicabile agli “attuali frontalieri”. Quindi: imposizione fiscale solo in Svizzera, che però, fino al 2033, verserà una compensazione (40% dell’incassato) a favore dei Comuni italiani di confine. Dopo questa data, la Svizzera conserverà la totalità del gettito fiscale.

L’accordo, poi, ridefinisce il concetto di “lavoratore frontaliere”, precisando che è tale solo colui che:

  • risiede entro 20 km dalla frontiera;
  • lavora come   dipendente   nell’area   di   frontiera dell’altro Stato;
  • in linea di massima, rientra ogni giorno dal lavoro al proprio domicilio.

Il nuovo accordo si applica alle persone fisiche residenti nelle seguenti aree:

  • per  quanto   riguarda   la   Svizzera:   Cantoni   dei Grigioni, del Ticino e del Vallese;
  • per quanto  riguarda  l’Italia:  Regioni  Lombardia, Piemonte  e  Valle  d’Aosta;  Provincia  Autonoma  di Bolzano.

Lo Stato in cui il lavoro dipendente viene svolto si impegna a comunicare entro il 20 marzo dell’anno successivo a quello fiscale di riferimento, in formato elettronico, allo Stato di residenza del lavoratore, i dati rilevanti in relazione all’imposizione del lavoratore “frontaliere”.

L’accordo sarà sottoposto a riesame ogni cinque anni. Inoltre, è prevista una commissione paritetica composta dai rappresentanti delle autorità dei due Paesi per la composizione amichevole di eventuali contestazioni sull’interpretazione o applicazione degli articoli dell’accordo.

 

Chiuso il capitolo “Svizzera”, nella vita quotidiana, il frontaliere resta assoggettato alle normative di entrambi i Paesi. Più in dettaglio, le leggi del Paese in cui viene prestata l’attività lavorativa riguarderanno l’occupazione e le imposte sul reddito oltre che la maggior parte dei diritti di previdenza sociale, per contro le leggi del Paese in cui risiede concerneranno sostanzialmente le imposte su tutti i redditi prodotti e, ovviamente, le disposizioni in materia di residenza fiscale.

Sono previste, poi, talune facilitazioni di carattere pratico, quali: sconti sui biglietti dei mezzi pubblici necessari per passare il confine, apertura di conti correnti bancari nel Paese estero (peraltro, non obbligatori se si resta all’interno dell’euro-zona), etc.

Passando, ora, all’aspetto previdenziale, il principio base resta sempre lo stesso: lex loci laboris. Occorre sul punto fare riferimento alle disposizioni dettate dal già citato Regolamento 1408/71, il quale stabilisce che:

“Il lavoratore cui èapplicabile il Regolamentoèsoggettoalla legislazione di un solo Stato membro. Tale legislazione è così determinata:

il lavoratore occupato nel territorio di uno Stato membro è soggetto alla legislazione di tale Stato anche se risiede nel territorio di un altro Stato membro o se l’impresa o il datore di lavoro da cui dipende hanno la propria sede o il proprio domicilio nel territorio di un altro Stato membro”. 

Ulteriore principio assolutamente inderogabile da qualsivoglia normativa domestica dei Paesi membri UE, è quello del divieto di discriminazione (c.d. “parità di trattamento”) tra i residenti dello Stato estero e i residenti del luogo. In base a tale principio, le persone che risiedono nel territorio di uno degli Stati membri alle quali sono applicabili le disposizioni del Regolamento, sono soggette agli obblighi e sono ammesse ai benefici della legislazione di ciascuno Stato membro alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato.

Di norma, il Regolamento si applica a tutte le legislazioni relative ai settori di sicurezza sociale riguardanti:

  • le prestazioni di malattia e di maternità;
  • le prestazioni d’invalidità, vecchiaia e superstiti;
  • le prestazioni per infortunio sul lavoro e malattie professionali;
  • gli assegni in caso di morte;
  • le prestazioni di disoccupazione;
  • le prestazioni familiari.

Viceversa, il regolamento non si applica:

  • all’assistenza sociale medica;
  • ai regimi di prestazioni a favore delle vittime di guerra;
  • ai regimi speciali di pubblici impiegati e personale assimilato.

Rimane, inoltre, sempre in essere il divieto di cumulo delle prestazioni erogate da diversi Stati.

Nonostante quanto appena sopra riportato, corre l’obbligo di evidenziare che, poiché il Regolamento 1408/71, di fatto, ha creato solo un meccanismo di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale nell’UE, persistono delle inevitabili lacune ai fini di una completa ed effettiva armonizzazione.

I sistemi possono infatti variare notevolmente da uno Stato membro all’altro, causando non pochi problemi di carattere operativo quali, per esempio, l’assenza di una definizione comune del concetto di inabilità al lavoro e delle differenze nella valutazione del grado di invalidità, nonché la diversità dei sistemi di calcolo degli anni di contribuzione considerati e dell’età necessaria per ottenere il trattamento di pensione.

Il Regolamento non tiene poi debitamente conto dell’introduzione in alcuni Stati membri di nuove forme di prestazioni sociali che possono anche non corrispondere alle categorie tradizionali della sicurezza sociale che figurano nel Regolamento stesso come, ad esempio, la specifica “assicurazione dipendenza” in Germania. Poiché, inoltre, il sistema comunitario instaurato dal Regolamento non copre i regimi convenzionali di sicurezza sociale, vi è un’assenza totale di coordinamento – in particolare– nel settore del prepensionamento e delle pensioni complementari, che determina l’impossibilità pratica di esportare compiutamente le prestazioni corrispondenti.

Per quanto riguarda nello specifico l’accesso alle prestazioni sanitarie transfrontaliere, i familiari del lavoratore frontaliere ne hanno diritto a condizione che esista un accordo in questo senso tra gli Stati interessati o tra le autorità competenti di tali Stati. I frontalieri pensionati e i loro familiari, invece, perdono questo diritto cosa che, a parere di chi scrive, non appare affatto in linea coi principi fondamentali dell’Unione.

In conclusione, pare opportuno richiamare l’attenzione su quello che rappresenta uno dei principali problemi del lavoro frontaliero e che concerne le correlazioni tra i regimi di imposizione diretta e i sistemi nazionali di sicurezza sociale. Laddove i contributi sociali siano versati in un Paese e le imposte in un altro, i lavoratori transfrontalieri sono avvantaggiati (ovvero, svantaggiati) in funzione dello Stato in cui sono stabiliti gli obblighi di versamento delle imposte e dei contributi.

Per esempio, relativamente alle fattispecie Francia/Italia, la norma stabilisce l’imposizione nello Stato di residenza, se la residenza e l’occupazione sono nella zona di frontiera. Bisogna, però, tenere conto che:

  • in Italia si hanno imposte dirette elevate e trattenute sociali ridotte
  • in Francia, al contrario, imposte dirette ridotte e trattenute sociali elevate.

Il risultato che ne consegue sarà un prelevamento particolarmente corposo per i frontalieri italiani che lavorano in Francia, poiché pagano i contributi sociali in Francia e l’imposta sul reddito in Italia (ossia, pagano i contributi nel Paese dove sono previsti in misura superiore e le imposte nel Paese dove le stesse sono più elevate), e viceversa nelle situazioni opposte.

*Odcec Roma

 

image_pdfimage_print