ARIDATECE ‘NA POLITICA ECONOMICA

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di Maurizio Centra*

Dopo essere diventati tutti virologi, da qualche mese ci siamo scoperti anche tutti strateghi militari ed esperti in geopolitica, senza trascurare l’innata attitudine per il ruolo di allenatore della nazionale di calcio. D’altronde negli anni ’30 del secolo scorso qualcuno ha definito l’Italia “un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori e di trasmigratori”. Sorvolando sulle sofferenze che le azioni dell’autore di tale frase procurarono al popolo, quello che oggi sorprende è che l’Italia, con tutte le sue straordinarie qualità, non sia mai diventato anche un popolo di economisti. In pratica, sappiamo tutto sulle varianti del Covid-19, esprimiamo pareri sulla ripresa dell’attività di medici non vaccinati, ma poi cerchiamo di evitare che curino proprio noi. Siamo consapevoli che il debito pubblico italiano sia tra i più alti al mondo, ma poi condividiamo le politiche di ulteriore indebitamento, che graverà sulle spalle delle future generazioni, che, tra l’altro, saranno sempre meno numerose.

Come poeti e artisti possiamo ritenerci ancora un esempio per altri popoli, basti pensare al recente successo internazionale del gruppo musicale Måneskin, che pur essendo di Roma confesso di non aver mai “incontrato in giro”, e in realtà anche come navigatori non ce la caviamo poi tanto male, in questo caso grazie alle imprese di Samantha Cristoforetti nella navigazione spaziale, ma come economisti, siamo piuttosto scarsini o forse distratti. Di questo debbono essersi accorti i nostri politici, che da oltre trenta anni, a partire dal c.d. avvento della seconda Repubblica, hanno ritenuto superfluo dotare il Paese di una politica economica degna di questo nome.

In questi anni non è mancata l’annuale legge di bilancio e la correlata programmazione triennale, come pure sono state emanate norme occasionali per stimolare talune attività o settori economici ed è anche stato introdotto il principio del pareggio di bilancio nella Costituzione, con la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, in coerenza con gli impegni presi in ambito internazionale (es. il c.d. Fiscal compact), ma senza un progetto elaborato in base a una precisa visione macroeconomica, allo scopo di raggiungere obiettivi chiari e misurabili.

Anche l’uomo della strada sa che la politica economica è quella disciplina che studia gli effetti dell’intervento di soggetti pubblici, in primis lo Stato, e privati nell’economia, allo scopo di indirizzarne l’andamento a livello macroeconomico e, quindi, favorire il raggiungimento di obiettivi prestabiliti. In base alle sue “declinazioni”, la politica economia comprende la politica agraria, la politica industriale, la politica di bilancio, la politica fiscale, la politica energetica e la politica monetaria.

Dalla prima rivoluzione industriale (1760 -1820) ai giorni nostri, la “mano invisibile” di Adam Smith, senza il quale l’economia non sarebbe mai ascesa al rango di scienza, si è dimostrata sempre meno in grado di favorire la crescita armonica dei sistemi economici nazionali e, in definitiva, della ricchezza. Il liberismo, di cui lo stesso Adam Smith è stato l’ispiratore, ha dimostrato di non esser in grado di produrre sistemi economici efficienti, anche sorvolando sugli aspetti di iniquità sociale che lo caratterizzano. A tal fine, si potrebbero portare esempi relativamente recenti come la reganomics negli Stati Uniti d’America (1981 – 1989) e il thatcherismo in Gran Bretagna (1979 – 1990), ma non è questo lo scopo della presente riflessione. Quello che, invece, è opportuno rilevare è che tutti i paesi con sistemi capitalistici e regimi politici democratici non rinunciano alla politica economica, tutt’altro, stabiliscono obiettivi sia di breve sia di lungo periodo e ne verificano il raggiungimento, apportando, tempo per tempo, interventi modificativi.

Dotarsi di un’adeguata politica economica non significa sempre evitare i rischi o le crisi, basti pensare a quanto sta accadendo in questi mesi alla Germania, che ha fatto scelte di politica energetica oggi rivelatisi pericolose per la salvaguardia dell’industria nazionale, nella misura in cui ha optato per l’acquisto di materie prime per la produzione di energia principalmente dalla Russia, paese con il quale i rapporti di tutta l’Unione Europea sono in crisi a causa della guerra in Ucraina, causata proprio dalla Russia.

Grazie alle scelte di politica economica fatte nel tempo, che l’alternanza dei partiti alla guida del governo federale non hanno sostanzialmente modificato, la Germania ha conquistato il ruolo di paese leader nell’ambito dell’Unione Europea ed è stata in grado di gestire gli enormi costi della riunificazione del 1990, quandoiterritoridella Repubblica Democratica Tedesca (RDT) sono stati incorporati nella Repubblica Federale Tedesca (RFT). Ma non solo, è una scelta di politica economica anche la recente decisione di dotarsi di uno “scudo” contro i crescenti costi dell’energia, del valore di 200 miliardi di euro, riattivando a tal fine il Fondo per la stabilizzazione dell’economia, creato nel 2020 durante la pandemia da Covid-19, mediante il quale lo Stato federale si accollerà buona parte dei maggiori costi dell’energia, a favore sia degli imprenditori sia dei privati cittadini tedeschi.

Sebbene l’iniziativa dello “scudo” tedesco meriterebbe un’analisi approfondita, in termini di compatibilità con le regole dell’Unione Europea in materia di concorrenza e non solo perché la proposta italiana sul price cap non è stata del tutto condivisa dagli altri paesi europei, in questa sede aiuta a dimostrare come l’intervento dello Stato nell’economia sia utile e, in taluni casi, necessario a favorire la crescita economica ovvero ad evitare la decrescita. Anche questo esempio ci convince del fatto che l’Italia non sia diventato anche un popolo di economisti, sebbene uno dei suoi figli, il Prof Franco Modigliani, sia stato insignito del premio Nobel nel 1985 e, per ironia della sorte, sia stato uno dei massimi esponenti della scuola postkeynesiana a livello mondiale.

Chi ha a cuore il futuro del nostro Paese auspica che la classe politica, in particolare quella di governo, comprenda come sia necessaria una politica economica chiara e ambiziosa, che eviti gli errori degli anni passati. Ad esempio, allo shock petrolifero del 1973 e alla scelta referendariasull’energianuclearedel 1987 nonèseguita una politica energetica basata sulle fonti rinnovabili e la diversificazione dell’approvvigionamento di quelle fossili.

Quando viene da professionisti che stanno in “prima linea” nell’economia reale, l’auspicio diventa una richiesta, basata sui punti di forza nazionali. L’Italia non sarà forse un popolo di economisti, ma è sicuramente un popolo di uomini e donne di grandi capacità, che dimostrano tutti i giorni il loro valore nell’industria, nel turismo, nella moda, nel terziario avanzato, nelle professioni e nell’agricoltura evoluta, solo per fare degli esempi. È noto che più di un terzo dei componenti di un’autovettura tedesca di alta gamma è progettato e realizzato in Italia, che dal 1971 a Modena esiste un centro di ricerca para universitario unico nel suoi genere, l’ISSAM Design institute, nel quale vengono giovani di tutto il mondo a studiare meccanica e design per il settore automobilistico, che la metà dei marchi del lusso posseduti dai due più grandi operatori francesi del settore sono italiani e che se l’industria dei semi conduttori in Europa non è scomparsa, nel periodo della “globalizzazione sfrenata”, lo si deve anche a una fabbrica italiana con sede a Catania, che oggi è anche un esempio virtuoso di convivenza tra un operatore italiano e uno francese.

Ciò nonostante, osserviamo che mentre inizia il dibattito parlamentare su una delle leggi di bilancio meno espansive della storia, quella per l’anno 2023, uno dei leader del governo italiano sottragga del tempo prezioso ai suoi incarichi istituzionali per spiegarci che il ponte sullo Stretto di Messina è un’opera ecologica o meglio green, come si dice oggi, e che, una volta realizzato, non creerà problemi al passaggio degli stormi di uccelli, perché essendo esseri intelligenti (gli uccelli) saranno in grado di evitare i tralicci del ponte senza finirci contro. Di questo, ovviamente, gli siamo grati!

*Odcec Roma

 

 

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