ILWELFARE SCONOSCIUTO – LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

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di Loris Beretta*

Qualche tempo fa abbiamo pubblicato un articolo intitolato “Il welfare sconosciuto” (Noi & il lavoro n. 1/2021 https://noieillavoro.it/lopinione/il-welfare-sconosciuto/) e siamo partiti osservando le seguenti tre situazioni:

  1. I giovani di adesso, lavoratori pubblici e privati, atipici e precari, liberi professionisti, artigiani, commercianti e industriali avranno, per pensione, nella migliore delle ipotesi, la  metà  del  loro  ultimo  salario,  stipendio  o emolumento  (vi  è  sempre  più  un  allargamento  della forbice tra persone che lavorano e pensionati per cui diminuiscono i primi ed aumentano i secondi).
  1. Oggi si vive di più e con meno soldi, i nonni che un tempo erano  la  colonna  portante  del  trasferimento di  cultura  ed  erano  sostegno  attivo  per  le  famiglie, oggi sono sempre meno presenti nel nucleo dei figli e sempre meno possono aiutare a livello economico.
  1. L’Istat ha  rilevato  che  la  più  grande  paura  per  gli italiani  è  la  non  autosufficienza  e  le  ultime  rilevazioni ne  spiegano  la  ragione:  “Circa  un  terzo  degli  over  75 presenta una grave limitazione dell’autonomia e per un anziano su 10 questa incide sia sulle attività quotidiane di  cura  personale  che  su  quelle  della  vita  domestica (8,5% nell’Ue22 – fonte ISTAT).

Ne consegue che il vero disagio sociale è rappresentato dalritrovarsidomaniadovergestirelapropriaassistenza con l’incertezza delle condizioni economiche e questo può succedere solo se non ci si informa, se non si agisce in prevenzione.

Sulla base di quanto sopra, abbiamo evidenziato che tre sono le colonne portanti per la costruzione di un futuro sereno: i) i fondi per la pensione integrativa, ii) i piani di assistenza sanitaria integrativa, iii) la gestione del danaro.

Così, mentre nella scorsa puntata è stato approfondito il metodo con cui è possibile assicurarsi un’adeguata assistenza sanitaria, oggi ci soffermiamo sugli strumenti che possono aiutare ad integrare la magra pensione futura.

Gli Strumenti Previdenziali

Fin dall’inizio della vita lavorativa è importante informarsi sullo sviluppo della propria posizione previdenziale. Questo permette di valutare l’opportunità di integrare la pensione di base per migliorare il tenore di vita futuro. Esistono varie forme di previdenza complementare a cui aderire in base alle proprie esigenze e condizione lavorativa. Tuttavia, non è così facile destreggiarsi nel mondo della previdenza, occorre informare individui e imprese al fine di rendere entrambi più consapevoli dei rischi che corrono e degli strumenti che si possono attivare per ridurli; infatti, solo maggiori conoscenze previdenziali e assicurative possono permettere di effettuare scelte individuali davvero adeguate alle aspettative di sostentamento nel proprio futuro.

La previdenza complementare è stata considerata dallo Stato una grande opportunità per integrare la pensione pubblica, questo perché tutte le riforme, a partire dal 1992 sino ad oggi, non hanno fatto altro che cercare di trovare un sistema di sostentamento delle persone che terminano la loro vita lavorativa ricercando, nel contempo, un maggior equilibrio in termini economici; questo perché il meccanismo di tutela sociale, nato nel dopoguerra, si basa sulla solidarietà tra individui e su principi naturalistici per cui tutti coloro che lavorano versano contributi che poi vengono ridistribuiti tra coloro che non possono lavorare o che smettono dilavorare; tale sistema richiede, per funzionare, che ci sia una significativa quantità di persone che lavorano e versano contributi e una minore quantità di persone che ricevono tali contributi in forma di prestazione. Questo concetto esprime la sua massima efficacia quando un Paese si compone di una popolazione al lavoro giovane e sana e una minore quantità di popolazione bisognosa di assistenza. L’Italia in questo momento non si trova in questa condizione, si trova ad avere una popolazione sempre più anziana, ad avere giovani che abbandonano il Paese, ad avere scarse opportunità di lavoro nel centro sud, senza contare che il costo del lavoro ha raggiunto livelli così alti da arrivare a disincentivare l’aumento degli stipendi riducendo ulteriormente la capacità del lavoro di contribuire a mantenere un sistema pensionistico sostenibile (spesso il netto nella busta paga del dipendente rappresenta solo circa 1/3 del costo complessivo mentre gli altri 2/3 vanno allo Stato sotto forma di imposte e contributi).

In tale situazione per decidere cosa fare è importante capire come sarà il valore annuo della pensione che ci spetta. Vediamo di approfondire questo punto.

A partire dal 1996 il sistema pensionistico calcola il valore dell’assegno sulla base del metodo cosiddetto “contributivo”, perciò una persona potrà contare su una pensione che dipenderà fortemente da quanti contributi verranno versati durante la carriera lavorativa e dall’età in cui si deciderà di andare in pensione (più avanti più pensione, più si anticipa meno pensione). Per chi può vantare versamenti ante 1996 si applicherà il cosiddetto sistema “misto”, in parte composto dal vecchio metodo retributivo e in parte dal sistema contributivo.

Il calcolo dell’assegno pensionistico “contributivo” avviene applicando i c.d. “Coefficienti di trasformazione”, ossia valori percentuali che traducono in pensione annua i versamenti contributivi accumulati da un lavoratore nel corso della sua carriera. Si trattadi parametri variabili a seconda dell’età anagrafica alla quale il lavoratore consegue la pensione e sono tanto più elevati quanto maggiore è l’età del lavoratore.

Attenzione che i coefficienti di trasformazione riguardano solo le pensioni (o le quote di pensione) determinate con il sistema contributivo, ossia:

  1. I lavoratori con contribuzione versata a partire dal 1° gennaio  1996;
  2. I lavoratori  in  possesso  di  contribuzione  alla  data del 12.1995 i quali hanno l’applicazione del sistema contributivo   limitato   alle   sole   anzianità   maturate successivamente al 1° gennaio 2012, se in possesso di almeno 18 anni di contributi al 31.12.1995, oppure al 1° gennaio 1996 negli altri casi;
  3. i lavoratori che optano per la liquidazione della pensione con il calcolo contributivo ai sensi dell’articolo 1, 23 della legge 335/1995.

Il sistema è semplice, vi sono delle tabelle statistiche calcolate dallo Stato, anche sulla base dell’aspettativa di vita, che contengono i coefficienti applicabili a tutte le età pensionabili ed attualizzati periodicamente. Calcolare il proprio assegno pensionistico annuale è semplice, si prende il valore totale dei contributi versati e si moltiplica per il coefficiente di trasformazione relativo all’età in cui il lavoratore decide di uscire dal mondo del lavoro (motivo per il quale l’importo pensionistico aumenta all’aumentare dell’età anagrafica).

In passato, prima della Riforma Dini del 1995, il sistema retributivo garantiva un reddito pensionistico sino all’80% degli ultimi stipendi percepiti prima della cessazione dal servizio in corrispondenza di 40 anni di contributi versati. L’aliquota di rendimento era del 2% per ogni anno di contribuzione, troppo per poter essere sostenuto per sempre. Ecco perché dal 1° gennaio 1996 è stato introdotto il metodo contributivo, proprio per evitare il default del sistema nel suo complesso ancorando il valore dell’assegno pensionistico ad un mix di tre fattori: l’entità dei contributi annualmente versati, l’andamento del prodotto interno lordo nazionale e l’età del ritiro dal lavoro (più si allontana l’uscita maggiore sarà l’assegno perché minori, secondo i calcoli dello Stato, sono gli anni di vita rimanenti nei quali l’assegno sarà percepito, un calcolo forse un po’ cinico ma è così che funziona).

Ne consegue che il metodo contributivo “avvantaggia” chi ha lunghe carriere lavorative con retribuzioni stabili o crescenti, questo perché prende in considerazione tutto quanto è stato versato, penalizzando coloro che abbiano avuto periodi di disoccupazione non assistita (in tal senso è bene sapere che la NASPI fa maturare contributi figurativi non creando danno sulla pensione), gli autonomi e chi esce ad età particolarmente “giovani” o che abbiano lunghi periodi con retribuzioni basse.

La Ragioneria di Stato annualmente pubblica una relazione proprio sull’andamento del sistema pensionistico e dell’assistenza sanitaria. Tra tutte una tabella è molto interessante, quella che mostra il tasso di sostituzione del reddito medio da lavoro con quello derivante dalla pensione, ossia quanto, in percentualesarà l’assegno pensionistico rispetto alla retribuzione:

 

È evidente che il sistema penalizza in modo molto significativo il lavoro autonomo mentre i lavoratori dipendenti più giovani dovranno sperare che la propria carriera sia il più possibile lunga e continuativa, in modo da non perdere anni di contributi e ritrovarsi all’età di vecchiaia con un totale di versamenti troppo esiguo; entrambi dovranno comunque sperare che il Pil riprenda a crescere assicurando un’adeguata rivalutazione del montante contributivo accumulato. L’alternativa è quella di rimanere al lavoro sino ai 70 anni di età facendo scattare coefficienti di trasformazione più elevati oppure ricorrere a forme di previdenza complementari.

 

Ecco perché pensare di integrare la propria pensione pubblica con quella complementare è divenuto un argomento fondamentale. Eppure, ancora oggi si tende a posticipare, ancora oggi le informazioni sulla previdenza complementare ci sono, ma non vengono prese in considerazione. Soprattutto il mondo dei giovani tende a non considerare importante il concetto di pensione evidenziando una mancanza di educazione familiare, oltre che da parte della pubblica amministrazione e delle organizzazioni sindacali, orientata a stabilire con grandissimo anticipo le basi per una vecchiaia serena. Così, troppo spesso, la previdenza complementare viene vissuta più che come progetto di costruzione della propria sicurezza futura come uno dei tanti prodotti offerti da un mercato di cui non si capisce il senso.

Vediamo allora che cos’è un fondo pensione, quali sonole 4 principali tipologiedifondipensioneesistenti e quali sono le 3 fasi fondamentali che regolano il funzionamento dei fondi pensione, chiuderemo la nostra analisi con qualche suggerimento sul come scegliere il fondo pensione più conveniente.

 

Cos’è un Fondo per la Pensione Integrativa 

Un fondo pensione consiste nell’accantonamento di versamenti che al termine della propria vita lavorativa si trasformano o in una rendita vitalizia oppure nel recupero integrale in unica soluzione di tutti i versamenti accantonati al riparo dall’inflazione. I fondi pensione sono costituiti da enti di diritto privato. Rispetto al sistema pensionistico pubblico il fondo pensione risulta maggiormente flessibile potendo recuperare in qualsiasi momento una quota degli importi versati a fronte di determinati bisogni che tra breve vedremo.

L’adesione è sempre volontaria e i requisiti per avere diritto alle prestazioni per anzianità o vecchiaia sono gli stessi stabiliti per la previdenza pubblica.

Le tipologie di fondo pensione sono 4:

  1. Fondo pensione aperto
  2. Fondo pensione negoziale
  3. Fondo pensione preesistente
  4. Piano individuale  pensionistico  (PIP)
  1. Fondo pensione aperto

Il fondo pensione aperto è una forma di previdenza complementare privata istituita da banche, imprese di assicurazione, società di gestione del risparmio (SGR) e società di intermediazione mobiliare (SIM). I fondi pensione aperti sono costituiti con patrimonio separato e autonomo rispetto a quello della società che li ha istituiti e sono destinati al pagamento delle prestazioni agli iscritti. Il patrimonio non può essere utilizzato per soddisfare i diritti vantati da eventuali creditori in caso di fallimento della società che ha creato il fondo.

Le somme versate sono investite dal fondo, direttamente o tramite operatori specializzati nei mercati finanziari, in immobili o in polizze assicurative, allo scopo di ottenere rendimenti che nel tempo accrescano il capitale accantonato. Di norma, sono custodite presso un depositario autorizzato (una banca o un’impresa di investimento) e, anche in questo caso, le prestazioni pensionistiche dipenderanno dall’importo complessivo dei contributi versati, dalla durata del periodo di contribuzione, dai costi sostenuti e dai rendimenti ottenuti con l’investimento.

Chi può aderire e come?

L’adesione è consentita solo ai lavoratori appartenenti ad una determinata azienda o gruppo di imprese o specifiche categorie professionali e avviene secondo le modalità fissate dagli accordi collettivi o da uno specifico regolamento aziendale (adesione collettiva). L’adesione può avvenire con modalità tacita e, se il fondo lo prevede, è possibile iscrivere anche i familiari fiscalmente a carico.

L’iscrizione al fondo pensione è possibile direttamente presso il proprio datore di lavoro o la sede del fondo pensione, con possibilità, se previsto, di iscrizione via web.

 

  1. Piano individuale pensionistico (PIP)

 

Il PIP (Piano individuale Pensionistico di tipo assicurativo) è una forma di previdenza complementare privata istituita da imprese di assicurazione. Il patrimonio complessivo dei PIP gestiti costituisce un patrimonio separato e autonomo rispetto a quello dell’impresa di assicurazione che lo istituisce ed è distinto e finalizzato al pagamento delle prestazioni agli iscritti.

 

Come funziona?

A seconda delle caratteristiche del PIP, è possibile scegliere di collegare la rivalutazione della posizione individuale a una gestione separata, a uno o più fondi interni o Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio (OICR), ovvero a una combinazione di queste modalità.

Le gestioni separate sono caratterizzate da una composizione degli investimenti tipicamente prudenziale e nella maggior parte dei casi è garantita la restituzione del capitale versato o un rendimento minimo. I fondi pensione interni e gli OICR sono strutturati secondo comparti diversi caratterizzati da differenti combinazioni di strumenti finanziari e quindi di rischio/rendimento.

Il patrimonio complessivo del PIP non può essere utilizzato per soddisfare eventuali diritti vantati dai creditori dell’impresa di assicurazione, quindi godono di protezione.

Anche qui le prestazioni di cui è possibile beneficiare dipenderanno dall’importo complessivo dei contributi versati, dalla durata del periodo di contribuzione, dai costi sostenuti e dai rendimenti ottenuti.

 

Chi può aderire e come?

I PIP sono destinati a tutti coloro che, indipendente- mente dalla situazione lavorativa, intendano costru- irsi una pensione integrativa. L’adesione è libera e individuale. Se il PIP lo prevede è possibile iscrivere i familiari fiscalmente a carico.

L’iscrizione può avvenire direttamente presso la sede dell’impresa di assicurazione che ha istituito il PIP oppure tramite agenti incaricati, oppure, se previsto, ci si può iscrivere anche via Web.

 

Quali contributi versare e come sono investiti? 

Vediamo ora quali sono i contributi versabili e quali sono le linee di investimento, ossia quale uso fanno i fondi dei soldi ricevuti.

In tutti i quattro tipi di Fondo sulla posizione individuale è possibile versare la quota annua del Trattamento di fine rapporto (TFR), un contributo individuale nella misura prevista dagli accordi collettivi (o anche in misura maggiore) ovvero entrambi; quando un lavoratore decide di versare un contributo personale al fondo pensione anche l’azienda ha la facoltà di aggiungere un proprio contributo (ad esempio molti accordi aziendali prevedono che se il lavoratore decide di versare una certa percentuale al proprio fondo pensione anche l’azienda verserà in aggiunta la stessa percentuale a proprio carico).

Al di là del TFR, l’importo dei versamenti e la scelta della linea di investimento possono sempre essere modificati nel corso del periodo dell’adesione. In caso di scelta di un fondo diverso sussiste la trasferibilità di quanto accumulato in un fondo verso un altro.

Che tipo di prestazioni si possono ottenere? 

I fondi per la pensione integrativa sono più flessibili rispetto al sistema pensionistico pubblico.

Al momento del pensionamento e, a condizione di avere almeno cinque anni di partecipazione al fondo, è possibile ricevere:

  1. tutto il capitale accumulato in rendita, che costituirà la pensione complementare;
  2. fino a un massimo del 50% del montante accumulato in capitale e il restante in rendita;
  • tutta la posizione in capitale, ma solo se il 70% del montante accumulato (capitale  iniziale  e  interessi maturati nel tempo) dà come risultato una rendita annua inferiore al 50% dell’assegno sociale.

La pensione complementare può essere reversibile in favore sia del coniuge sia di un’altra persona indicata come beneficiario. In caso di premorienza durante la fase di accumulo il capitale può essere riscattato dagli eredi o dalle persone designate.

Prima dell’età pensionabile, è possibile godere di un’anticipazione sul capitale versato per far fronte a eventi inattesi.

Anticipazioni 

  1. Spese sanitarie  straordinarie  documentate  connesse a    interventi    e    terapie    conseguenti    a    gravissime condizioni (anche del coniuge o dei figli).

Quando: in qualsiasi momento

Quanto: fino al 75% del capitale accumulato Imposizione fiscale: l’aliquota varia tra il 15% e il 9% in base agli anni di partecipazione alla previdenza complementare

  1. Acquisto e  ristrutturazione  documentati  della  prima casa di abitazione (per sé e per i figli).

Quando: dopo 8 anni di partecipazione alla previdenza complementare

Quanto: fino al 30% del capitale accumulato

Imposizione fiscale: si applica un’aliquota del 23%

– Motivi personali e familiari

Quando: dopo 8 anni di partecipazione alla previdenza complementare

Quanto: fino al 30% del capitale accumulato

Imposizione fiscale: si applica un’aliquota del 23%

Le richieste di anticipazione possono essere ripetute, anche con riferimento alla medesima causale, purché le somme ottenute non superino il limite massimo erogabile.

Riscatti

Per altre situazioni è invece possibile riscattare in tutto o in parte la posizione individuale:

  • Invalidità permanente  o  inoccupazione  superiore ai   48   mesi,   dimissioni   o   licenziamento,   decesso dell’aderente.

Quanto: tutta la posizione individuale

Quando: in qualsiasi momento al ricorrere delle condizioni previste dalla normativa

Imposizione fiscale: si applica un’aliquota del 23% per i riscatti della posizione individuale a seguito di dimissioni e licenziamento; negli altri casi, è prevista un’aliquota agevolata che varia tra il 15% e il 9%, in base al numero di anni di partecipazione alla previdenza complementare

  • Inoccupazione non inferiore a 12 mesi (e non superiore a 48 mesi), in caso di ricorso da parte del datore di lavoro a mobilità, cassa integrazione guadagni, ordinaria o straordinaria

Quanto: fino ad un massimo del 50% della posizione individuale

Quando: in qualsiasi momento al ricorrere delle circostanze previste dalla normativa

Imposizione fiscale: si applica un’aliquota agevolata che varia tra il 15% e il 9%, in base al numero di anni di partecipazione alla previdenza complementare.

In alternativa al riscatto, se mancano non più di 5 anni alla pensione di vecchiaia, è possibile chiedere al PIP il pagamento di una Rendita Integrativa Temporanea Anticipata (cosiddetta RITA). Per poterne beneficiare occorre aver cessato l’attività lavorativa, avere almeno 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare e 20 anni di contribuzione versata alla previdenza obbligatoria.

È possibile richiederla anche fino a 10 anni prima dell’età pensionabile se si è inoccupati da più di 24 mesi.

In entrambi i casi, la rendita verrà corrisposta fino al conseguimento dell’età per la pensione di vecchiaia prevista nel sistema pensionistico obbligatorio.

Le agevolazioni fiscali 

Al risparmio previdenziale lo Stato riconosce specifiche agevolazioni fiscali:

  • i contributi  versati  al  fondo  sono  deducibili  dal reddito  IRPEF  fino  a  164,57  euro  l’anno.  Entro lo  stesso  limite  si  possono  portare  in  deduzione anche  i  versamenti  effettuati  a  favore  di  familiari fiscalmente a carico (non è invece inclusa nel limite di deducibilità l’eventuale quota di TFR versato);
  • i rendimenti della gestione finanziaria sono tassati con un’aliquota massima del 20% anziché del 26% come per la maggior parte delle forme di risparmio finanziario;
  • la pensione  complementare  e  il  capitale  sono soggetti   a   imposte   con   un’aliquota   agevolata che  varia  tra  il  15%  e  il  9%  in  base  agli  anni  di partecipazione al fondo (viene tassata solo la parte relativa  ai  contributi  precedentemente  dedotti  e alle quote di TFR versate);
  • le anticipazioni o riscatti della posizione individuale per  far    fronte    a    spese    impreviste    personali    o familiari sono assoggettati a imposizione fiscale con un’aliquota agevolata che varia tra il 15%  al 9% in base al numero di anni di partecipazione; per alcune tipologie di richieste (ad esempio l’anticipazione per ristrutturare o acquistare la prima casa di abitazione o il riscatto a seguito di dimissioni e licenziamento) si applica l’aliquota del 23%.

Cerchiamo ora di capire come scegliere il fondo pensione più conveniente.

Pochi sanno che la resa finale dei contributi versati al fondo dipende non solo dalla capacità di investire bene da parte di questo, ma anche dai costi che ogni fondo trattiene per la propria gestione.

Sì, anche i fondi pensione, come le banche, decurtano dei costi di gestione i versamenti effettuati. I costi applicati dai fondi pensione hanno un impatto significativo sulla prestazione per questo è importante consultare la “Scheda dei costi” contenuta nel documento “Informazioni chiave per l’aderente”, che viene consegnato al momento dell’adesione e che nessuno legge. Il consiglio è di non aspettare di aver scelto il fondo a cui aderire per leggere l’informativa e scoprire solo in un secondo momento quali sono i costi, ma di andare sul sito web di COVIP, dove si trova l’elenco dell’Indicatore Sintetico dei Costi (ISC) di tutte le linee di investimento e il Comparatore dei costi delle forme pensionistiche, per confrontare la diversa onerosità degli strumenti previdenziali che il mercato offre. Si tratta di un indicatore di facile e immediata lettura che mostra in percentuale e in ragione del tempo, l’impatto dei costi di gestione sul montante versato. L’ISC è calcolato secondo una metodologia definita da COVIP, in modo analogo per tutte le forme pensionistiche complementari, facendo riferimento a un aderente-tipo che versa un contributo annuo di 2.500 euro e ipotizzando un tasso di rendimento annuo del 4%. Per il calcolo dell’ISC vengono utilizzati i costi standard applicati dalle forme pensionistiche, senza tenere conto delle eventuali agevolazioni riconosciute a particolari categorie di aderenti.

E’ importante ricordare che per compiere scelte previdenziali consapevoli e adeguate è necessario conoscere le caratteristiche delle forme pensionistiche e, non da ultimo, valutare i costi applicati, in quanto possono avere un impatto significativo sulla pensione che verrà erogata. Infatti, occorre tenere presente che, a parità di condizioni, all’aumentare dei costi sostenuti minore sarà la prestazione pensionistica ricevuta al momento del pensionamento.

Ad esempio, un ISC del 2% invece che dell’1% può ridurre il capitale accumulato dopo 35 anni di partecipazione al piano pensionistico di circa il 18 per cento (ad esempio da 100.000 a 82.000 euro).

Consultando le tabelle pubblicate nelle sezioni Fondi pensione negoziali, Fondi pensione aperti e PIP è possibile conoscere l’ISC dei comparti in cui sono articolate le forme pensionistiche, distinti per differenti periodi di permanenza (2, 5, 10 e 35 anni). Per facilitare il confronto dell’onerosità fra comparti con caratteristiche di investimento simili, nelle tabelle è indicata anche la categoria di investimento (garantito, obbligazionario, bilanciato e azionario) di riferimento di ciascun comparto.

Di seguito il link per conoscere l’impatto dei costi per ciascun fondo: https://www.covip.it/per-gli-operatori/ fon d i – p ens ion e / c o s t i – e – r end i m ent i – d ei- fon d i – pensione/elenco-schede-costi

 

Riepilogando: 

per pianificare il proprio percorso previdenziale in modo corretto non basta più aspettare che ci pensi lo Stato, occorre anche valutare con larghissimo anticipo quali potrebbero essere le varie fonti di reddito di cui si potrà disporre una volta usciti dal mondo del lavoro; da quanto visto sopra ne consegue che aderire alla previdenza complementare può significare precostituirsi un capitale aggiuntivo su cui poter contare sia nel caso di eventi imprevedibili sia nel caso in cui sia arrivato il momento di smettere di lavorare. Ovviamente una volta presa la decisione ci sono delle informazioni da assumere e delle valutazioni da fare. Innanzitutto verificare quale sia il fondo di riferimento del contratto collettivo applicabile al settore di appartenenza del proprio datore di lavoro, conoscere l’accordo collettivo aziendale o l’eventuale regolamento welfare aziendale vigente in azienda e in conseguenza capire qual è l’importo che è possibile versare al fondo oltre al proprio TFR. Occorre poi conoscere i costi applicati dal fondo pensione che potrebbero incidere sull’assegno pensionistico integrativo, nonché valutare le linee di investimento offerte sia dal fondo di categoria sia da altri fondi privati e quali sono i connessi rischi finanziari rispetto la prestazione che si potrà ottenere.

Per i lavoratori autonomi le informazioni da acquisire sono le stesse e conseguentemente sarà necessario anche stabilire quale sia la quota di versamento più adatta all’idea di livello di reddito che un domani potrebbe essere ritenuto adeguato per sé e per la propria famiglia nel periodo di pensionamento.

Qualora tutto questo sembrasse troppo complicato il consiglio è di rivolgersi ad un esperto in materia pensionistica.

*Odcec Milano

 

 

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