Contratti a termine: causali, proroghe, rinvi e periodo transitorio

di Matteo Sanfilippo* 

La disciplina dei contratti a termine, di cui al d.lgs. 81/2015, è stata nuovamente modificata con il d.l. n. 87 del 12 luglio 2018, recante “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese” (c.d. Decreto Dignità), convertito dalla legge n. 96/2018. Le novità più rilevanti introdotte dalla novella legislativa sono certamente quelle in materia di durata massima e di causalità del contratto a tempo determinato, oltre che la riduzione del numero delle proroghe consentite.

Infatti, è stata ridotta la durata massima del contratto a tempo determinato da 36 a 24 mesi (art. 19, comma 2 d.lgs. n. 81/2015), con riferimento ai rapporti stipulati tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, anche per effetto di una successione di contratti o di periodi di missione in somministrazione a tempo determinato, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, indipendentemente dai periodi di interruzione. Nel dettaglio, le parti possono stipulare liberamente un primo contratto di lavoro a termine di durata non superiore a 12 mesi (senza necessità di causale). In caso di durata superiore, tale possibilità è riconosciuta esclusivamente in presenza di almeno una delle specifiche condizioni che giustificano un’assunzione a termine e precisamente, secondo quanto disposto dal nuovo art. 19 comma 1, d.lgs. 81/2015: a)“esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori; b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria”.

La novella legislativa ha quindi segnato il ritorno alle causali, come avveniva – seppur con una formulazione completamente diversa – nella vigenza dell’abrogato d.lgs. 368/2001 antecedentemente alle modifiche introdotte nel 2014.

Infatti, le “condizioni” introdotte dalla nuova disciplina risultano essere ben più restrittive di quelle in vigore fino al 2014 a causa della loro indeterminatezza, lasciando spazio a molteplici dubbi interpretativi. Le nuove causali sembrerebbero di non facile applicazione da parte dei datori di lavoro laddove la norma esprime: “esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività”. Per quanto riguarda la tipologia di causale “esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria”, nei fatti potrebbe rendere inapplicabile il contratto a termine di durata superiore a 12 mesi. Nessuna difficoltà interpretativa invece, in merito alle esigenze di sostituzione di altri lavoratori.

In caso di stipulazione di un contratto di durata superiore a 12 mesi in assenza delle condizioni di cui al comma 1, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato alla data di superamento del termine di dodici mesi (art. 19, comma 1-bis).

Proroghe e rinnovi

Quanto alle proroghe, ridotte da 5 a 4 (art. 21, co.  1), il contratto può essere prorogato liberamente nei primi 12 mesi e, successivamente, è necessaria l’indicazione della causale.

In sostanza, le proroghe del contratto (massimo 4 entro i limiti di durata massima – 24 mesi), secondo il nuovo testo del d.lgs. 81/2015 sono regolamentate nel seguente modo:

  • il primo contratto può essere prorogato liberamente nei primi 12 mesi (esempio: contratto a 8 mesi (acausale) più proroga di 4 mesi (ancora acausale);
  • successivamente ai 12 mesi la proroga può avvenire solo in presenza delle condizioni di cui all’art. 19 comma 1. In caso di insussistenza di una valida causale per la proroga del contratto superiore a 12 mesi, il contratto si trasforma a tempo indeterminato;
  • il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a ventiquattro mesi, e per un massimo di quattro volte nell’arco di 24 mesi a prescindere dal numero dei Qualora il numero di proroghe sia superiore, il contratto si trasforma a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga.

Posto l’assunto normativo sopra riportato, la Circolare ministeriale n. 17/2018 fornisce le seguenti precisazioni/interpretazioni:

  • il decreto legge non ha modificato la previsione di cui all’art 19, 3, del d.lgs. 81/2015 ai sensi del quale, raggiunto il limite massimo di durata del contratto a termine, le stesse parti possono stipulare un ulteriore contratto della durata massima di 12 mesi presso le sedi territorialmente competenti dell’Ispettorato nazionale del lavoro;
  • la proroga presuppone che restino invariate le ragioni che avevano giustificato inizialmente l’assunzione a termine;
  • si ricade invece nella disciplina del rinnovo del contratto – con l’obbligo di indicare la causale – sia nel caso di proroga senza soluzione di continuità con il precedente rapporto di lavoro quando si modificano elementi essenziali del contratto, sia nel caso di nuovo contratto a termine con decorrenza successiva alla scadenza del precedente rapporto.

Riepilogando, è possibile prorogare liberamente un contratto entro i 12 mesi, mentre per il rinnovo è sempre richiesta l’indicazione della causale. Con il termine rinnovo deve intendersi la riassunzione del lavoratore con un nuovo contratto a termine successivamente alla scadenza di quello precedente.

La reiterazione (rinnovo) del contratto a termine con il medesimo lavoratore determina, dal 14 luglio 2018, un aumento del costo del lavoro mediante l’aumento di 0,5 punti  percentuali del contributo addizionale fissato dalla Riforma Fornero nell’1,4%. Tale aspetto è stato puntualmente confermato anche dal Ministero del Lavoro, il quale afferma che la maggiorazione diventa incrementale in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione. Ne consegue che al primo rinnovo la misura ordinaria dell’1,4% andrà incrementata dello 0,5%. In tal modo verrà determinata la nuova misura del contributo addizionale cui aggiungere nuovamente l’incremento dello 0,5% in caso di ulteriore rinnovo. Analogo criterio di calcolo dovrà essere utilizzato per eventuali rinnovi successivi.

Purtroppo, è facile immaginare la difficoltà applicativa della norma per il contributo addizionale sia per le aziende sia per coloro che devono garantire la correttezza contributiva, senza considerare i costi penalizzanti che le aziende dovranno sostenere.

La maggiorazione dello 0,5 per cento non si applica in caso di proroga del contratto, in quanto la disposizione prevede che il contributo addizionale sia aumentato solo in occasione del rinnovo.

Rinvio alla contrattazione collettiva

Il Ministero del Lavoro conferma ampio spazio alla contrattazione collettiva, consentendo la possibilità di prevedere un termine di durata anche superiore a 24 mesi (art. 19, comma 2), a condizione che siano rispettate le causali. Per quanto concerne i contratti collettivi stipulati prima del 14 luglio 2018, che – facendo riferimento al previgente quadro normativo – abbiano previsto una durata massima dei contratti a termine pari o superiore ai 36 mesi, gli stessi, afferma il Ministero, mantengono la loro validità fino alla naturale scadenza dell’accordo collettivo. Nessuna deroga è stata invece attribuita alla contrattazione collettiva in merito al nuovo regime delle condizioni.

Tuttavia potrebbe rappresentare una efficace deroga al regime delle condizioni la contrattazione di prossimità. Infatti, l’art. 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo” convertito in legge n. 148/2011 prevede:

  1.  i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale o dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate a: maggiore occupazione, qualità dei contratti di lavoro, adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, emersione del lavoro irregolare, incrementi di competitività e salario, gestione delle crisi aziendali e occupazionali, investimenti e avvio di nuove attività;
  2. le specifiche intese di cui sopra possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento… ai contratti a termine;
  3. fermo restando il rispetto della Costituzione… le specifiche intese di cui sopra operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate e alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro

Periodo transitorio

Nella stesura originaria il decreto legge aveva previsto che le disposizioni si applicassero ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto (14 luglio 2018), nonché ai rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso alla medesima data. La legge di conversione è intervenuta introducendo la sospensione dell’entrata in vigore delle nuove norme sino al 31 ottobre 2018, limitatamente a proroghe e rinnovi.

La circolare ministeriale n. 17, che avrebbe dovuto chiarire alcuni passaggi, dedica però al periodo transitorio poche righe, ricordando che in tale periodo le proroghe e i rinnovi restano disciplinati dalle disposizioni del d.lgs. n. 81/2015, nella formulazione antecedente al d.l. n. 87/2018, mentre, alla data del 1° novembre 2018 trovano piena applicazione tutte le disposizioni introdotte con la riforma, compreso l’obbligo di indicare le condizioni in caso di rinnovi (sempre) e di proroghe (dopo i 12 mesi).

A questo punto è necessario fare una considerazione: cosa accade per proroghe e rinnovi intervenuti tra la data di entrata in vigore del decreto legge (14 luglio 2018) e la data di entrata in vigore della legge di conversione (11 agosto 2018), anche alla luce di quanto espresso nella Circolare? Ovviamente una circolare non può sostituirsi alla legge!… L’opinione è che nei casi rientranti in questo arco temporale, possa nascere del contenzioso che avrebbe potuto evitarsi.

Termine per impugnazione

Altra novità introdotta dal Decreto Dignità è rappresentata dall’innalzamento del termine per impugnare in via stragiudiziale il contratto a tempo determinato, che passa da 120 a 180 giorni decorrenti dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Esclusioni

Le attività stagionali rimangono escluse dal limite di durata dei 24 mesi, dall’indicazione della causale, dalle pause intermedie e dai limiti numerici.

E’ prevista inoltre l’esclusione tout court dal campo di applicazione delle previsioni introdotte dal Decreto Dignità per i contratti a tempo determinato stipulati dalle pubbliche amministrazioni.

Contratto di somministrazione di lavoro a termine

La legge di conversione 96/2018 ha inciso anche sulla disciplina della somministrazione di lavoro a tempo determinato. Recita l’art. 31, comma 2: “Salva diversa previsione dei contratti collettivi applicati dall’utilizzatore, e fermo restando il limite disposto dall’art. 23 (i contratti a termine non devono superare il 20% dei contratti a tempo indeterminato), il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero con contratto di somministrazione a tempo determinato non può eccedere complessivamente il 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore…”

Il tetto massimo del 30% può essere interamente costituito anche dai soli lavoratori impiegati tramite agenzia per il lavoro. Inoltre, la data spartiacque per verificare il superamento o meno dei limiti di contingentamento è rappresentata dal 12 agosto 2018, data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 87/2018.

Dal limite quantitativo sono esentati i lavoratori in mobilità (legge 223/1991), i disoccupati che godono da almeno 6 mesi di trattamenti di disoccupazione o ammortizzatori sociali e i lavoratori svantaggiati e molto svantaggiati. Le esclusioni dal computo del limite quantitativo nella somministrazione sono diverse da quelle previste per i contratti a termine.

Se l’azienda ha già superato il limite del 30%, non sarà possibile effettuare nuove assunzioni né proroghe per i rapporti in corso fino a quando il datore di lavoro o l’utilizzatore non rientri entro i nuovi limiti.

Secondo quanto disposto dall’art. 38 co. 2: “Quando la somministrazione di lavoro avviene fuori dai limiti e delle condizioni di cui agli articoli 31, commi 1 e 2, (limiti quantitativi della somministrazione a tempo determinato), il lavoratore può chiedere, anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo con effetto dall’inizio della somministrazione.In sostanza, il lavoratore assunto da un’azienda che abbia superato il tetto massimo di legge potrà chiedere al giudice la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato nei confronti del datore di lavoro che ne abbia usato la prestazione senza rispettare i tetti previsti. In questa ipotesi, il giudice, se accoglie la domanda, condanna l’utilizzatore al risarcimento del danno, stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (art. 39).

Anche per i contratti di somministrazione a termine, vige l’incremento in occasione di ciascun rinnovo del contributo addizionale di 0,5 punti percentuali esaminato per i contratti a termine.

Considerazioni conclusive

Già da una prima lettura della norma, appare evidente che ci troveremo di fronte ad un significativo decremento del ricorso ai contratti a termine da parte dei datori di lavoro e ad un incremento del contenzioso in materia.

Infatti, il reinserimento delle causali per i contratti a termine potrebbe portare ad un incremento del turn-over dei lavoratori a termine, trascorsi i 12 mesi di durata, piuttosto che un aumento dei contratti a tempo indeterminato. Questo dipende dalla circostanza di evitare probabili e rischiosi contenziosi che scaturirebbero dall’interpretazione delle causali. Con riferimento al potenziale incremento del contenzioso in materia di contratti a termine, l’esame di quanto avvenuto per decenni, prima del d.l. n. 34/2014, mostrava un notevole contenzioso sulla disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato, letteralmente crollato dopo la liberalizzazione intervenuta con il citato decreto legge 34/2014 che aveva sancito il venir meno delle cause giustificative. I dati statistici parlano da soli: nel periodo ante d.l. 34/2014 il numero delle cause di lavoro relative al contratto a termine nelle sue varie declinazioni patologiche superava le 8 mila unità nel 2012 per scendere alle “sole” 490 controversie del primo semestre 2017.

*Odcec Catania

 

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